Ariosto, Il palazzo di Atlante (Canto XII_OF)

Palazzo_Atlante

Ludovico Ariosto, Il palazzo di Atlante (o Il secondo castello di Atlante)

(Orlando furioso, XII, 1-37)

Versione in italiano contemporaneo di Giorgio Baruzzi

Mentre è all’affannosa ricerca di Angelica, Orlando crede di vedere la donna prigioniera di un cavaliere che la trascina via. Inseguendoli giunge a un meraviglioso palazzo, nel quale entra: si tratta in realtà dell’ennesimo incantesimo del mago Atlante di Carena, che ha attirato con l’inganno in questo castello Ruggiero e altri paladini per stornare dal figlio adottivo il suo destino funesto. Atlante trattiene i vari personaggi all’interno del palazzo, facendo loro credere che dentro ci sia la persona o la cosa ricercata. L’episodio è una metafora della vita umana intesa come eterna ricerca di qualcosa di irraggiungibile, affine alla selva del canto iniziale in cui avviene la fuga di Angelica. Proprio quest’ultima libera Orlando, Sacripante e Ferraù dalla prigionia, facendosi poi beffe di loro grazie al suo anello magico.

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Canto XII_Orlando F_testo originale_1-37pdf

  1. Cerere, tornando in fretta dalla madre Idea nella valle solitaria, là dove l’Etna preme sulle spalle del gigante Encelado, fulminato da Giove, non trovò la figlia Proserpina dove l’aveva lasciata, lontana da ogni sentiero battuto; e dopo essersi ferita le guance, il petto, i capelli e gli occhi, alla fine sradicò due pini. 
  2. Poi li accese col fuoco di Vulcano, dando a essi il potere di non spegnersi mai, e tenendone uno per mano, sul carro trainato da due draghi, esplorò le selve, i campi, il monte, la pianura, le valli, i fiumi, gli stagni, i torrenti, la terra e il mare; e dopo aver cercato in superficie in tutto il mondo, andò nel fondo del Tartaro.
  3. Se Orlando avesse avuto un potere simile a quello della dea Eleusina, come ne aveva il desiderio, per cercare Angelica non avrebbe tralasciato selva, campo, stagno, ruscello, valle, monte, pianura, terra o mare, né il cielo o il fondo dell’oblio eterno, nell’inferno. Ma poiché non aveva il carro e i draghi, l’andava cercando meglio che poteva.
  4. L’aveva cercata in Francia e ora si propose di cercarla in Italia e in Germania, per la nuova e per la vecchia Castiglia, per poi attraversare il mare dalla Spagna alla Libia. Mentre pensava a questo, sentì giungergli all’orecchio una voce che sembrava piangere. Si spinse avanti e sopra un gran destriero vide trottare un cavaliere, che portava in braccio e sull’arcione davanti con la forza, contro il suo volere una tristissima fanciulla. 
  5. Lei piangeva, si dibatteva e mostrava gran dolore. Chiamava in aiuto il valoroso principe di Anglante. Appena egli vide la bella fanciulla, gli sembrò colei che aveva cercato ovunque in Francia e attorno, di notte e di giorno.
  6. Non dico che fosse lei, ma sembrava la nobile Angelica che lui amava tanto. Lui, che vide la sua donna, la sua dea, portata via così, misera e addolorata, spinto da ira e furia cieca, tuonò contro il cavaliere con voce orrenda, lo richiamò e lo minacciò, e intanto spronava Brigliadoro a briglia sciolta.
  7. Quel fellone non si fermò e non gli rispose, intento a mantenere quella nobile preda di grande valore, e scappò tra quei boschi così veloce che il vento sarebbe stato lento a seguirlo. Uno fuggiva e l’altro inseguiva, mentre si sentivano risuonare le selve profonde di un alto lamento. Correndo arrivarono in un gran prato, al centro del quale si ergeva un grande e ricco palazzo.
  8. Il maestoso palazzo era costruito con vari marmi finemente lavorati. Il cavaliere corse dentro attraverso la porta dorata, con la fanciulla in braccio. Dopo non molto giunse Brigliadoro, che portava in sella l’infuriato e feroce Orlando. Questi, appena fu dentro, si guardò intorno, ma non vide più né il guerriero né la fanciulla.
  9. Smontò subito da cavallo e come un fulmine si addentrò nelle stanze più interne dove il palazzo era abitato: correva di qua e di là, senza trascurare di cercare in ogni camera, in ogni loggia. Dopo aver frugato invano ogni stanza a pianterreno, salì per le scale, e non meno tempo e fatica perse a cercare di sopra, di quanto avesse fatto di sotto.
  10. Vide i letti ornati di seta e d’oro: nulla si vedeva dei muri e delle pareti perché, come il suolo ove si poggiava il piede, erano del tutto coperte da cortine e da tappeti. Il conte Orlando andò su e giù e ritornò, ma non riuscì ad allietare gli occhi, vedendo di nuovo Angelica, o quel ladro che aveva portato via il suo leggiadro viso.
  11. E mentre correva invano da una parte all’altra, pieno di pensieri e di affanno, trovò qui Ferraù, Brandimarte e il re Gradasso, il re Sacripante e altri cavalieri che andavano in alto e in basso e non meno di lui vagavano senza esito, e si lamentavano del malvagio e invisibile signore di quel palazzo.
  12. Tutti andavano cercando il signore del palazzo, tutti lo accusavano di furto a loro danno: uno era all’affannosa ricerca del destriero che gli aveva sottratto, un altro era arrabbiato per aver perso la donna; un altro lo accusava di altre cose. Così restavano lì, non sapendo come uscire da quella gabbia, e molti, presi in questo inganno, erano rimasti lì per intere settimane e mesi.
  13. Orlando, dopo aver cercato più e più volte per tutto quello strano palazzo, disse fra sé: -Potrei stare qui, sprecare tempo e fatica invano, e il ladro potrebbe averla portata via da un’altra uscita ed essere molto lontano.- Così pensando uscì nel verde prato, che circondava interamente il palazzo.
  14. Mentre girava attorno a quell’edificio immerso nel bosco, tenendo sempre lo sguardo volto a terra, per cercare di scorgere qualche traccia di passaggio recente, a destra o a sinistra, si sentì chiamare da una finestra, alzò gli occhi e gli sembrò di udire la voce divina di Angelica. Gli sembrò di vedere il viso che lo aveva reso tanto diverso da quel che era.
  15. Gli sembrò di udire Angelica, che supplicando e piangendo gli diceva: -Aiuto, aiuto! Ti raccomando la mia verginità, più della mia anima o della mia vita. Dunque in presenza del mio caro Orlando essa da questo ladro mi sarà tolta? Dammi la morte con le tue mani piuttosto che lasciarmi a così infelice sorte.-
  16. A queste parole Orlando tornò più volte in ogni stanza, con molta passione e fatica, ma alleviata anche da grande speranza. A volte si fermava, e sentiva una voce, che sembrava quella di Angelica (se lui era in un posto, essa risuonava in un altro) che chiedeva aiuto, e non sapeva capire da dove venisse.
  17. Ma tornando a Ruggiero, che io lasciai quando dissi che, attraverso un sentiero ombroso e buio, inseguendo il gigante e la donna era uscito dal bosco in un grande prato, io dico che arrivò là dove prima era giunto Orlando, se riconosco il luogo. Il gran gigante attraversò la porta del castello, mentre Ruggiero gli era appresso e non cessava di inseguirlo.
  18. Non appena mise piede dentro il castello, cercò nel grande cortile e sotto le logge, ma non vide più né il gigante né la donna, e in ogni direzione volse lo sguardo invano. Andò e tornò molte volte di sopra e di sotto, ma non trovò mai quel che desiderava: non sapeva immaginare dove, così in fretta, quel fellone si fosse nascosto con la donna.
  19. Nonostante avesse molto cercato, per quattro, per cinque volte, di sopra e di sotto, nelle camere, nelle logge e nelle sale, tornò di nuovo a farlo, senza tralasciare di cercare sotto le scale. Infine si allontanò, nella speranza che la donna e il suo rapitore fossero nel bosco vicino: ma una voce, come quella che aveva richiamato Orlando, chiamò anche lui e lo fece ritornare di nuovo nel palazzo.
  20. Una stessa voce, una persona che a Orlando era sembrata Angelica a Ruggiero sembrò Bradamante, che lo teneva fuori di sé per amore. Se parlava con Gradasso o con qualcun altro di quelli che andavano errando nel palazzo, quel che lui vedeva sembrava a tutti quel che ciascuno più di tutto per sé bramava e desiderava.
  21. Questo era un nuovo e insolito incantesimo creato dal mago Atlante di Carena, affinché Ruggiero fosse tanto occupato in quella fatica, in quella dolce pena, da allontanare l’influsso funesto, quell’influsso che lo avrebbe condotto a morire giovane. Dopo il castello d’acciaio, che a nulla era servito, e dopo Alcina, Atlante ancora ci provava.
  22. Atlante tramava di condurre in questo incantesimo non solo Ruggiero, ma anche tutti gli altri che in Francia avevano maggior fama di valore, affinché Ruggiero non fosse ucciso per mano loro. E mentre li costringeva a dimorare qui, perché non patissero la fame aveva così ben fornito di cibo tutto il palazzo che donne e cavalieri vi stavano a loro agio.
  23. Ma torniamo ad Angelica, che con sé aveva quell’anello tanto straordinario che se tenuto in bocca la rendeva invisibile e al dito la proteggeva da ogni incantesimo. Aveva trovato, nella caverna in montagna, cibo, una cavalla, una veste e quanto le serviva, e aveva progettato di tornarsene in Oriente al suo bel regno.
  24. Avrebbe voluto volentieri la compagnia di Orlando o di Sacripante: non perché ella avesse l’uno più caro dell’altro come amante, perché anzi parimenti ai loro desideri si era negata, ma perché dovendo attraversare tante città, tanti villaggi per arrivare in Oriente, aveva bisogno di compagnia e di una guida, e non poteva sperare di trovarne una più fidata di loro.
  25. Ora l’uno ora l’altro aveva molto cercato, prima di trovarne un indizio o una traccia, ora in città, e ora in villaggi, e ora in alti boschi, e ora in altri luoghi. Fortuna alla fine la portò là dove si trovavano Orlando, Ferraù e Sacripante, con Ruggiero, con Gradasso e con molti altri che Atlante aveva avvolti in quello strano groviglio.
  26. Qui Angelica entrò nel castello, invisibile al mago, e cercò dappertutto, nascosta dal suo anello. Trovò Orlando e Sacripante, invano smaniosi di trovarla in quel luogo. Vide che Atlante, evocando con un incantesimo la sua immagine, ingannava ora l’uno ora l’altro. Rifletté a lungo su chi di loro dovesse prendere come scorta, senza risolversi a decidere.
  27. Non sapeva valutare chi fosse per lei la scelta migliore, se il conte Orlando o il fiero re dei Circassi. Orlando l’avrebbe potuta meglio salvare nelle circostanze più pericolose, ma se lo avesse scelto come sua guida lo avrebbe anche reso suo signore, e non vedeva come poter poi diminuire il suo potere, ogni volta che, stanca di lui, volesse ridimensionarlo o in Francia rimandarlo.
  28. Invece avrebbe potuto manipolare il Circasso a suo piacere, se anche lo avesse molto portato in alto. Questa sola ragione la indusse a fare di Sacripante la sua scorta, facendo mostra di nutrire per lui fedeltà e amore. Si tolse l’anello di bocca e mostrò il suo vero volto, togliendo la sua falsa immagine dagli occhi di Sacripante. Credeva di mostrarsi solo a lui, invece sopraggiunsero anche Orlando e Ferraù.
  29. Sopraggiunsero Ferraù e Orlando, infatti l’uno e l’altro allo stesso modo giravano di su di giù, dentro e fuori del gran palazzo, cercando lei, che era la donna da loro adorata. Tutti corsero dalla donna, poiché nessun incantesimo glielo impediva: infatti l’anello che Angelica infilò al dito vanificò ogni incantesimo di Atlante.
  30. Due di questi guerrieri di cui canto avevano la corazza indosso e l’elmo in testa. Non li avevano mai deposti, né di notte né di giorno, da quando erano entrati in questo castello, poiché per loro erano facili da indossare, come una veste, essendoci abituati. Anche Ferraù, il terzo cavaliere, era armato, tranne che non aveva e non voleva avere l’elmo, finché non avesse conquistato quello che il paladino Orlando aveva tolto ad Almonte, fratello di re Troiano. 
  31. L’aveva giurato quando cercava invano nel fiume il fine elmo di Argalìa, ma benché qui fosse vicino a Orlando, non per questo lo aveva sfidato, perché mentre erano là dentro, non si poterono riconoscere.
  32. Quel castello era così incantato che non potevano riconoscersi. Né notte né giorno si toglievano mai la spada, la corazza o lo scudo dal braccio. I loro cavalli ancora sellati, coi morsi che pendevano dall’arcione, mangiavano in una stanza, vicino all’uscita, sempre fornita di orzo e paglia.
  33. Atlante non poté impedire che i tre guerrieri rimontassero in sella per correre dietro alle guance rosee, alle dorate chiome e ai begli occhi neri di Angelica, che fuggì frustando la sua cavalla, perché non vedeva volentieri i tre innamorati tutti insieme, mentre forse li avrebbe presi per guida uno dopo l’altro.
  34. E dopo averli fatti allontanare dal palazzo, tanto che non doveva più temere che il mago malvagio usasse contro di loro il suo malefico inganno, strinse tra le rosee labbra l’anello che le evitò più di un pericolo: sparì subito ai loro occhi e li lasciò stupiti e costernati.
  35. Benché la sua prima intenzione fosse stata di volere con sé Orlando o Sacripante, perché la scortassero in estremo Oriente, nel regno di suo padre Galafrone, entrambi le vennero subito a sdegno, e cambiò il suo volere in un istante: senza più doversi legare all’uno o all’altro, pensò che il suo anello bastasse a sostituire entrambi.
  36. Così ingannati, quelli volgevano verso il bosco la faccia istupidita da una parte e dall’altra in fretta, come talvolta fa il cane se gli viene sottratta la lepre o la volpe a cui dava la caccia, perché d’improvviso si è nascosta in qualche stretta tana, in un folto cespuglio o in un fosso. Rideva di loro la sfrontata Angelica, non vista, e osservava il loro cammino.
  37. In mezzo al bosco c’era una sola strada: i cavalieri pensarono che la donzella fosse andata davanti a loro attraverso quella, poiché non si poteva procedere se non per quella. Orlando corse, Ferraù non indugiò e Sacripante altrettanto spronò e punse il cavallo. Angelica invece trattenne le briglie e dietro di loro, con minor fretta, li seguì.

Ariosto, Il palazzo di Atlante – Analisi del testo

(o Il secondo castello di Atlante)

I due castelli

L’episodio del Palazzo (o secondo castello) di Atlante appare nel XII canto. L’episodio si ricollega a quello del primo castello di Atlante (“il castel d’acciar”) in cui il mago aveva già attirato con l’inganno Ruggiero, l’amato figlio adottivo, che voleva preservare dall’infausto destino di essere ucciso a tradimento dopo la conversione e le nozze con Bradamante, da cui doveva aver origine la dinastia estense. Nel primo castello Atlante attira i cavalieri con giovani fanciulle, con la promessa di piaceri e dolce compagnia. 

Il secondo castello

Castello_AtlanteNel secondo castello l’incantesimo del mago è più potente: i cavalieri vi sono attirati dalle loro stesse ossessioni che prendono forma di un’immagine sfuggente e irreale, ma al tempo stesso irresistibile e seducente. I paladini che entrano nel castello dimenticano tutto, concentrandosi nella ricerca del loro oggetto del desiderio. Il magico palazzo di Atlante attira molti paladini (Orlando, Ferraù, Sacripante…) facendo loro credere che al suo interno vi sia la cosa o la persona che cercano. L’affannosa quanto vana ricerca, che impegna i cavalieri per mesi, ha lo scopo di tenere Ruggiero lontano dai pericoli. I guerrieri dentro il palazzo incantato non possono riconoscersi, quindi non c’è il rischio che possano battersi tra di loro. All’inizio del Canto è Orlando a cadere nel tranello, inseguendo un’immagine che ha le sembianze di Angelica rapita da un cavaliere. In seguito la stessa sorte tocca a Ruggiero, convinto che Bradamante sia rapita da un gigante.

Una metafora della vita

Il palazzo rappresenta una metafora della vita, in cui spesso gli uomini perseguono affannosamente obiettivi illusori, che non riescono a raggiungere, per i quali consumano tempo e fatica inutilmente. Tale tema compare in più punti del poema, come nell’episodio de La fuga di Angelica (Canto I) e, successivamente, in quello del viaggio di Astolfo sulla Luna (Canto XXXIV).

Nel regno dell’illusione

Il mago Atlante dà forma a un regno dell’illusione. Nel Palazzo i grandi cavalieri cristiani e saraceni vagano per le stanze attratti dalla visione della donna amata, di un nemico irraggiungibile, di un cavallo rubato, di un oggetto perduto. Essi agiscono con monotona ripetitività, ripetendo più volte gli stessi gesti, cercando in modo ossessivo e frenetico, come automi, in tutte le stanze, in tutti i luoghi del palazzo. Non riescono più staccarsi da quelle mura, poiché se cercano di allontanarsene, si sentono richiamare, e l’illusoria apparizione invano inseguita di nuovo li cattura e li induce a rientrare. 

Atlante e Angelica

Nella prima parte del canto a tirare le fila è l’invisibile signore del castello, nella seconda è invece Angelica, divenuta invisibile grazie all’anello, a orientare i movimenti dei personaggi. L’alternanza di apparizione e scomparsa che domina il canto è legata da un lato all’illusoria immagine della donna evocato da Atlante e dall’altra all’Angelica reale che appare e scompare grazie all’anello.

Angelica astuta e volubile.

A un certo punto, infatti, la vera Angelica compare inaspettatamente nel palazzo di Atlante e ne vanifica l’incantesimo grazie al suo anello magico. L’Angelica autentica si svela ai paladini, sostituendo l’immagine illusoria creata dal mago. Angelica si mostra come una donna astuta e calcolatrice, che vorrebbe la scorta di Orlando o del re di Circassia per raggiungere sana e salva il Catai, ma non pensa minimamente di concedersi a nessuno dei due. Quando li ha trovati medita a lungo su quale sia la scelta migliore e alla fine sceglie Sacripante perché, anche se è meno valoroso di Orlando, sarà più facile per lei liberarsene quando non le servirà più. Inaspettatamente viene però vista, oltre che da Sacripante, anche da Orlando e da Ferraù che si lanciano di nuovo al suo inseguimento. Ormai lontana dal palazzo, nonostante abbia in precedenza progettato di farsi scortare da loro, repentinamente cambia idea, convinta che il suo prezioso anello magico possa bastare per il suo viaggio. Così, i paladini restano basiti quando lei scompare, diventando invisibile grazie all’anello. La donna si diverte a vederli mentre guardano stupefatti verso il bosco e mentre vagano a vuoto, alla sua ricerca. 

L’elmo conteso

Ferraù è privo dell’elmo poiché il suo, o meglio quello di Argalìa, era finito nel fiume e lo spettro del guerriero da lui ucciso lo aveva rimproverato e invitato a procurarsene uno in battaglia, per cui lui aveva giurato di conquistare quello di Orlando già posseduto da Almonte, il fratello di Troiano. 

Nel seguito dell’episodio tra Ferraù e Orlando scoppia una lite e i due iniziano a duellare, con Orlando che si toglie l’elmo per non avere un vantaggio sull’avversario. Angelica per schernirli porta via l’elmo di Orlando, approfittando della sua invisibilità, e benché involontariamente consente a Ferraù di prenderne possesso. 

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