Ariosto, Orlando furioso, Canto V Versione in italiano contemporaneo

cavalieri

Ludovico Ariosto, Orlando furioso, Canto V

Versione in italiano contemporaneo di Giorgio Baruzzi

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Canto V_Orlando F_testo originale pdf

 

La principessa Ginevra, vittima delle macchinazioni di Polinesso, viene ingiustamente accusata da Lurcanio, fratello del suo amato Ariodante: questi si sarebbe ucciso per la disperazione dovuta al suo tradimento. Rinaldo assume la difesa della giovane, svela gli inganni rivelatigli da Dalinda, e uccide in duello Polinesso.

 

  1. Tra gli animali della terra, che siano quieti e in pace o che giungano a scontrarsi e a combattere tra di loro, non accade mai che il maschio aggredisca la femmina: l’orsa con l’orso vaga sicura per il bosco, la leonessa giace vicino al leone, la lupa vive sicura con il lupo e la mucca non ha paura del toro. 
  2. Quale abominevole pestilenza, o quale Megera è venuta a turbare i cuori degli uomini? Visto che spesso marito e moglie litigano e si ingiuriano, il marito picchia in viso la moglie causandole neri lividi, e il letto nuziale è bagnato di lacrime e talvolta persino di sangue, a causa di una stolta ira.
  3. Mi sembra non solo un gran male, che un uomo percuota in volto una bella donna o le torca un capello, ma un delitto contro la natura e contro Dio. Non credo che sia un uomo chi l’avvelena o la uccide con un laccio o con un coltello, ma un demone dall’aspetto umano. 
  4. Di tal sorta dovevano perciò essere i due malfattori che Rinaldo allontanò dalla ragazza, da loro condotta in quell’oscura valle, affinché di lei non vi fosse più traccia. L’ho lasciata nel momento in cui si accingeva a raccontare la sua sfortunata storia al paladino che l’aveva aiutata, e ora così proseguo questa storia.
  5. La donna cominciò: -Tu ascolterai la storia con ogni evidenza più crudele che si sia sentita a Tebe, o ad Argo, o a Micene o in altro luogo del mondo noto per i suoi crimini. E se il sole, portando la sua luce attorno alla terra, qui è più distante che da altre parti, credo che sia perché viene malvolentieri da noi, vedendo individui così crudeli. 
  6. Azioni violente contro i nemici se ne sono viste tante in ogni tempo, ma voler uccidere chi si prodighi per il nostro bene è troppo ingiusto ed empio. Affinché meglio possa spiegarti veramente perché costoro volessero sgozzarmi nel fiore degli anni senza alcun valido motivo, te ne racconterò fin da principio le ragioni. 
  7. Voglio che tu sappia, signor mio, che fin da giovanissima entrai al servizio della figlia del re, e che crebbi assieme a lei, raggiungendo a corte un alto grado. Amore crudele, invidioso della mia condizione, mi fece divenire, misera me!, sua seguace: fece apparire ai miei occhi il duca di Albania come il più bello dei cavalieri e dei giovani. 
  8. Poiché egli sembrava amarmi moltissimo, io fui indotta ad amare lui con tutto il mio cuore. Si può udire il parlare, vedere il volto ma ci si può ingannare su quel che c’è nel petto. Credendo alle sue parole e amandolo, non potei fare a meno di andare a letto con lui, e non mi preoccupai di essere, tra tutte le camere reali, in quella che più segreta aveva la bella Ginevra, dove ella teneva le cose a lei più care, e dove il più delle volte ella dormiva.
  9. In quella stanza si può entrare tramite un balcone scoperto, fuori dall’edificio. Facevo salire di qui il mio amante, gettandogli io stessa dal balcone la scala di corda ogni volta che desideravo averlo con me. Lo feci venire tutte le volte che Ginevra me ne dava l’opportunità, poiché era solita cambiare stanza da letto, ora per evitare il calore estivo e ora il freddo invernale. 
  10. Non fu mai visto da nessuno salire, perché quell’ala dal palazzo dà su alcuni edifici diroccati, dove nessuno passa mai né di giorno né di notte. 
  11. La nostra segreta relazione amorosa proseguì per molti giorni e mesi. L’amore in me crebbe sempre di più, e ne fui tanto presa che dentro mi sentivo bruciare tutta dalla passione. Ne fui così accecata, che non compresi che lui fingeva molto e mi amava poco, benché i suoi inganni avrebbero dovuto essermi visibili per mille evidenti indizi. 
  12. Dopo alcuni giorni egli manifestò un nuovo amore per la bella Ginevra. Io non so di preciso se gli fosse nato allora o se già prima dell’amore per me ne fosse innamorato. Tu pensa quanto fosse divenuto arrogante verso di me, quanto avesse dominio sul mio cuore, poiché mi rivelò la sua infatuazione per Ginevra e fu senza pudore al punto da chiedermi di aiutarlo in questo suo nuovo amore. 
  13. Ben mi diceva che questa sua infatuazione non era paragonabile al suo amore per me, e che questo che aveva per lei non era vero amore. Però, fingendo di esserne innamorato, sperava di poterla poi legittimamente sposare. Sarebbe stato facile ottenere questo da parte del re, qualora lei lo volesse, perché per nobile discendenza e per condizione non c’era nel regno nessuno, dopo il re, più degno di lui. 
  14. Mi persuase che, se con il mio aiuto fosse diventato genero del re (poiché avrei dovuto comprendere che lui si sarebbe elevato al suo cospetto quanto ci si potesse elevare) me ne avrebbe reso grande riconoscenza e non avrebbe mai dimenticato un così grande favore. Infine, disse che mi avrebbe tenuta sempre come amante, davanti per importanza alla moglie e a ogni altro. 
  15. Io, che ero disposta a fare qualsiasi cosa pur di farlo contento, né seppi né volli mai contraddirlo, e fui contenta solo nei giorni in cui ritenni di averlo compiaciuto. Colsi l’occasione che si presentò per parlare di lui e per lodarlo molto, feci tutto il possibile e dedicai ogni sforzo per avvicinare Ginevra al mio amante.
  16. Feci con le intenzioni e con i fatti tutto quello che potevo fare, e Dio lo sa, ma con Ginevra non potei mai ottenere di renderle grato il mio amante. Questo perché tutti i suoi pensieri e tutti i suoi desideri erano rivolti a un nobile cavaliere, bello e cortese, giunto in Scozia da un paese lontano. 
  17. Giovanissimo era venuto dall’Italia, assieme a un suo fratello, a vivere in questa corte. Divenne poi tanto valente con le armi che la Bretagna non aveva un guerriero più forte. Il re lo amava e lo dimostrò coi fatti, poiché gli donò castelli, territori e diritti feudali di notevole valore e lo fece grande al pari dei grandi baroni. 
  18. Quel cavaliere di nome Ariodante era gradito al re, e ancor più gradito era alla figlia, perché era straordinariamente valoroso, ma soprattutto, a lei era caro perché sapeva che la amava. Né il Vesuvio, né l’Etna, né Troia mai avvamparono di tante fiamme quanto il cuore di Ariodante che tutto ardeva d’amore, come lei ben sapeva.
  19. L’amore sincero per Ariodante e la sua integra fedeltà, fece sì che io non trovassi da lei un favorevole ascolto nei confronti del duca, e non mi fornì mai alcuna risposta che lasciasse ben sperare. Anzi, quanto più io la supplicavo a suo nome e cercavo di ottenere per lui il favore di Ginevra, sempre più ella lo biasimava, lo disprezzava e gli diventava ostile.
  20. Io consolai il mio amante spesso, esortandolo ad abbandonare la vana impresa, dicendogli che non sperasse di farle cambiare idea, perché lei era troppo presa da un altro amore. Gli dissi con chiarezza che era così infiammata di Ariodante che tutta l’acqua del mare non avrebbe spento che una piccola quantità del suo immenso fuoco amoroso. 
  21. Polinesso (questo il nome del duca), avendo più volte udito questo da me, e ben compreso e visto da sé che il suo amore non era per nulla gradito, non solo si ritrasse dalla sua grande passione, ma così male tollerò di vedersi preferire un altro, che la trasformò tutta in ira e in odio. 
  22. Pensò di porre tra Ginevra e il suo amante una tale discordia, una tale animosità e una così profonda inimicizia, che mai più si sarebbero potuti riconciliare. E pensò di mettere Ginevra in una condizione di indicibile ignominia a cui non avrebbe potuto sottrarsi né da viva né da morta. Del suo iniquo proposito non volle parlare con me e con nessun altro, se non con se stesso. 
  23. Maturato il suo pensiero mi disse: “Dalinda mia (così mi chiamo), devi sapere che come torna a ricrescere dalla radice l’albero che hai troncato tante volte, così la mia disgraziata testardaggine, benché sia stata troncata dai suoi falliti propositi, non cessa di germogliare , perché in qualche modo vorrebbe appagare questo suo desiderio.
  24. Non lo desidero tanto per piacere, quanto perché vorrei vincere la sfida, e non potendo effettivamente farlo, se almeno lo potessi fare con l’immaginazione, potrebbe giovarmi. Ogni volta che mi accoglierai, proprio quando Ginevra sarà andata nuda a letto, voglio che tu prenda ogni veste che lei abbia deposta e che tutta te ne vesta. 
  25. Cerca di imitarla, come si adorna e come si acconcia i capelli, e cerca più che puoi di sembrare lei, poi verrai sul balcone a calare giù la scala. Io verrò da te immaginando che tu sia colei di cui vestirai i panni, così spero che, ingannando me stesso, il mio desiderio possa in breve tempo estinguersi”.
  26. Così egli disse. Io, che ero fuori di me, non compresi che questa cosa che lui insisteva a chiedermi, era un inganno anche troppo evidente, e dal balcone, con le vesti di Ginevra addosso, gettai la scala con cui spesso salì da me, e non mi accorsi dell’inganno prima che esso producesse dannose conseguenze. 
  27. In quel periodo Polinesso aveva scambiato con Ariodante le seguenti parole o simili (poiché erano stati grandi amici, prima di diventare rivali per Ginevra). Il mio amante cominciò a dirgli: “Mi meraviglio che avendoti io tra tutti i miei pari sempre rispettato e amato, io sia da te così mal ricompensato. 
  28. Sono ben certo che comprendi e conosci l’amore di vecchia data che c’è tra Ginevra e me, tanto che ormai sono sul punto di chiederla in sposa al mio re. Perché interferisci? Perché ancora rivolgi il tuo cuore a lei, senza costrutto? Io avrei certamente rispetto per te, per Dio, se mi trovassi nella tua condizione e tu nella mia”. 
  29. Ariodante gli rispose: “E io di te mi meraviglio ancor di più, perché io mi sono innamorato di lei prima ancora che tu solamente l’avessi vista, e so che sai quanto grande è l’amore tra noi, che non può essere più ardente di quel che sia. Solo di essermi moglie vuole e desidera, e so che certamente sai che lei non ti ama. 
  30. Perché dunque non hai tu rispetto per me, in nome della nostra amicizia, che tu dici che io dovrei avere per te, e che io in effetti avrei se tu le piacessi più di me? Non meno di te mi aspetto di poterla avere in moglie, perché sebbene tu sia più ricco da queste parti, io non sono al re meno di te gradito, ma soprattutto sono più di te amato da sua figlia”.
  31. Gli disse il duca Polinesso: “Oh, è grande questo tuo errore, al quale ti ha condotto il tuo folle amore! Tu credi di essere più amato, io credo la stessa cosa, ma chi abbia ragione lo si può vedere alla prova dei fatti. Tu rendimi palesi quali rapporti hai con lei e io ti rivelerò tutto sui miei, e chi di noi due veda di avere minor favore presso di lei, ceda il passo a chi ne ha di più, e si procuri altro. 
  32. Sono pronto, se tu vuoi che io giuri, a non dire alcuna cosa che tu mi confidi, così come io voglio che tu mi assicuri che quello che ti dirò tu non lo riveli”. Concordarono, dunque, sui giuramenti, e giurarono ponendo le mani sui Vangeli. Dopo aver promesso sul loro onore di tacere, Ariodante incominciò per primo. 
  33. Disse in modo corretto e onesto come stavano le cose tra lui e Ginevra. Che ella gli aveva giurato a parole e per iscritto che non sarebbe mai stata sposa d’altri se non di lui, e gli prometteva che se il re glielo avesse negato, avrebbe rifiutato tutti gli altri matrimoni e avrebbe vissuto sola per tutta la sua vita. 
  34. E sperava, per il valore che aveva mostrato in battaglia in più occasioni, e che avrebbe mostrato a lode, a onore e a beneficio del re e del suo regno, di essere tanto apprezzato dal suo signore da essere ritenuto degno di sposare sua figlia, sapendo poi che lei ne era così contenta. 
  35. Poi disse: “A questo punto sono io, e non credo che qualcuno mi sia vicino, e non cerco più di questo, e non desidero avere del suo amore un segno più esplicito. E non vorrei di più di quanto da Dio è concesso per una legittima unione. E sarebbe vano chiedere di più, poiché so che per virtù ella supera ogni altra”.
  36. Dopo che Ariodante ebbe esposto la pura verità, sul compenso che si aspettava per i propri meriti, Polinesso, che già si era prefisso di rendere Ginevra ostile al suo amante, cominciò: “Sei da me molto lontano e voglio che tu stesso lo riconosca, e che, visto il fondamento della mia felicità, tu ammetta che solo io sono felice. 
  37. Con te lei finge, non ti ama né ti apprezza, nutrendoti solo di speranza e di chiacchiere. Oltre a questo, lei attribuisce sempre il tuo amore a una infatuazione infantile, quando parla con me. Io ho sperimentato ben altre prove di esserle caro, che promesse e fantasie, e te le riferirò sotto il vincolo della segretezza, anche se sarebbe più opportuno che tacessi.
  38. Non passa mese che tre, quattro, sei e talvolta dieci volte io la incontri nudo, abbracciato a lei, immerso in quel piacere che sembra tanto giovi alla passione amorosa. Perciò tu puoi ben vedere se al mio piacere sono paragonabili le vane parole che ricevi. Cedimi il passo dunque, e volgiti ad altro, poiché ti trovi in una condizione di tale inferiorità rispetto a me”.
  39. Ariodante gli rispose: “Non voglio crederti, e so per certo che menti e che ti sei costruito tu nella fantasia queste infamie, perché io desista dal mio intento. Ma poiché esse sono troppo infamanti nei suoi confronti, dovrai sottoporre quello che hai detto alla prova delle armi, perché voglio subito mostrarti che non solo sei bugiardo, ma anche traditore”.
  40. Il duca aggiunse: “Non sarebbe giusto che noi venissimo alle armi per qualcosa che posso mostrarti con evidenza, quando tu voglia, davanti agli occhi”. Ariodante rimase smarrito a queste parole, e un tremore freddo gli attraversò le ossa. Se gli avesse creduto veramente fino in fondo la sua vita sarebbe venuta meno in quell’istante.
  41. Con il cuore trafitto di dolore, con il viso pallido, con la voce tremante e con l’amaro in bocca rispose: “Quando mi farai vedere questa tua incredibile avventura, prometto di abbandonare ogni pretesa su di lei, che sarebbe con te così generosa e con me così avara. Ma non contare che io voglia crederti se prima non lo vedo con questi miei occhi”.
  42. “Quando sarà il momento giusto ti avvertirò”, soggiunse Polinesso, e se ne andò. Credo che non fossero trascorse più di due notti quando concordammo che il duca venisse da me. Dunque, per far scattare la trappola che aveva così accortamente preparata, andò dal rivale e gli disse di nascondersi la notte seguente tra le case disabitate, di fronte al palazzo, indicandogli un luogo di fronte al balcone da cui era solito salire.
  43. Ariodante sospettò che egli cercasse di farlo andare lì, in luogo isolato, per tendergli un agguato e ucciderlo, con la falsa scusa di mostrargli quel che gli aveva detto su Ginevra, che gli sembrava impossibile.
  44. Decise di andarci, ma in modo da non essere meno pronto, così da non temere di morire se fosse stato aggredito. Aveva un suo fratello saggio e coraggioso, il più famoso guerriero a corte, chiamato Lurcanio, e si sentiva più sicuro con lui che se avesse avuto dieci uomini al suo fianco.
  45. Lo chiamò, volle che fosse armato e la notte lo condusse con sé, senza rivelargli il motivo, perché non l’avrebbe detto né a lui né a nessun altro. Lo fece stare lontano da sé a distanza di un lancio di pietra e disse: “Se mi senti chiamare, vieni da me, ma se non senti nulla, non muoverti di qui senza che ti chiami, se mi vuoi bene”.
  46. Il fratello disse: “Vai pure, non dubitare”. Così Ariodante andò tranquillo e si nascose tra le case disabitate di fronte al mio occulto balcone. Venne da un’altra parte l’ingannatore e traditore, che era così contento di gettare infamia su Ginevra. Mi diede il solito segnale convenuto, a me che ero ignara del suo inganno. 
  47. Io con la veste bianca e ornata di fregi d’oro nel mezzo e ai bordi, e con una rete dorata, tutta ornata di bei fiocchi rossi intorno al capo (abbigliamento che solo Ginevra usava e nessun’altra), udito il segnale, andai sul balcone, situato in un punto che si vedeva davanti e da ogni lato. 
  48. Lurcanio intanto, temendo che il fratello potesse essere in pericolo, o forse spinto dal desiderio, che è comune a tutti, di spiare quel che accada agli altri, l’aveva pian piano seguito, restando nell’ombra e nei punti più bui della strada, e si era nascosto a meno di dieci passi da lui, nel medesimo punto. 
  49. Non sapendo io nulla di tutto questo, venni al balcone con l’abito che ho detto, così come avevo fatto molte volte per il solito scopo. Le vesti si vedevano nitide alla luce della luna, e non essendo io molto diversa da Ginevra, d’aspetto e di corporatura, il mio volto fu scambiato per il suo. 
  50. E poiché poi la distanza tra il balcone e le case disabitate era parecchia, Polinesso facilmente fece apparire vero quello che era falso ai due fratelli, che stavano nell’ombra fredda delle tenebre. Ora puoi pensare quale repulsione, quale dolore provò Ariodante. Giunse Polinesso e s’aggrappò alla scala di corda che gli mandai giù poi salì sul balcone. 
  51. Appena giunse gli gettai le braccia al collo, non pensando di essere vista, lo baciai sulla bocca e per tutta la faccia, com’ero solita fare quando veniva. Lui si prodigò più del solito ad accarezzarmi, alimentando il suo inganno. Ariodante che assisteva al doloroso spettacolo, poveretto, da lontano vide il tutto. 
  52. Ne fu tanto addolorato che subito decise di uccidersi, e pose a terra il pomo della spada perché, gettandosi sulla punta, voleva trafiggersi. Lurcanio, che con grande stupore aveva visto il duca salire da me, ma che non aveva riconosciuto chi fosse, vedendo le intenzioni del fratello, si mosse e gli impedì di trafiggersi il petto, in quel momento di disperazione. 
  53. Se fosse stato più lento o di poco più lontano non sarebbe giunto in tempo e non ci sarebbe riuscito. Gridò: “Ah povero fratello, fratello pazzo, perché hai perduto la ragione al punto che una donna debba condurti alla morte? Che possano tutte scomparire come nebbia al vento! 
  54. Cerca di far morire lei, che merita di morire, e riserva la tua morte a una causa più onorevole. Era degna del tuo amore quando il suo inganno non era manifesto, mentre ora è da odiare ben forte, poiché con i tuoi occhi vedi con certezza quanto sia puttana e di quale specie! Conserva queste armi che rivolgi contro te stesso per denunciare e sostenere di fronte al re questo tradimento”.
  55. Quando Ariodante vide giungere sopra di sé il fratello, abbandonò il suo gesto estremo, ma la sua intenzione di uccidersi poco venne meno. Quindi si alzò in piedi, con il cuore non solo ferito ma trapassato da un’angoscia infinita, e tuttavia finse con il fratello, di non avere più quell’impeto di disperazione che prima aveva nel cuore. 
  56. Il mattino seguente, senza dir parola a suo fratello o ad altri, si mise per strada sospinto dalla sua mortale disperazione, e per più giorni non se ne seppe nulla. Tutti, tranne Polinesso e Lurcanio, ignoravano chi avesse indotto Ariodante a partire. Alla corte del re in tutta la Scozia si parlò molto di lui, facendo varie supposizioni. 
  57. Dopo otto o più giorni giunse alla corte un viandante davanti a Ginevra, recando la cattiva notizia che Ariodante era annegato di sua volontà cercando la morte, non per colpa di tempeste provocate dai venti di borea o di levante. Da uno scoglio che si sporgeva molto alto sul mare aveva spiccato un gran tuffo gettandosi a capofitto. 
  58. Costui diceva: “Prima di arrivare a questo gesto, disse a me, che aveva per caso incontrato per strada: ‘Vieni con me, affinché Ginevra sappia tramite te quel che mi è accaduto. Dille poi che la ragione di quello che tu mi vedrai fare, che or ora farò, è stata solo perché ho visto troppo: felice se fossi stato senza occhi!’.
  59. In quel momento eravamo sopra il promontorio di Capobasso, che sporge alquanto sul mare in direzione dell’Irlanda. Dette queste parole, dalla vetta di uno scoglio lo vidi tuffarsi a testa in giù e andare sott’acqua. In mare lo lasciai e in fretta sono venuto a portarti la notizia”. Ginevra, sbigottita e pallida in viso, restò mezza morta a quella notizia. 
  60. Oh Dio, che cosa disse e fece, quando si ritrovò da sola nel suo fidato letto! Si percosse il seno, si stracciò la veste e si scarmigliò e strappò i biondi capelli, ripetendosi spesso le parole che Ariodante aveva detto nell’estremo passo: che la causa del suo stato crudele e doloroso veniva tutta dall’avere visto troppo.
  61. La notizia che costui si era ucciso per il dolore si diffuse ovunque. Piansero la sua morte il re, i cavalieri, le dame di corte. Più di tutti suo fratello si mostrò in lutto, e fu così sommerso dal dolore che seguendo il suo esempio fu sul punto di uccidersi per andar con lui. 
  62. Molte volte si ripeté che era stata Ginevra ad avergli ucciso il fratello e che era stata quell’azione disonesta che le aveva visto fare che lo aveva spinto a morire. Il desiderio di vendicarsi di lei divenne così cieco, e l’ira e il dolore lo dominarono a tal punto che non si curò di perdere il favore e di procurarsi l’odio del re e di tutto il regno. 
  63. Andò davanti al re, quando la sala era ricolma di gente, e disse: “Sappi, signore, che la sola colpevole di togliere la ragione a mio fratello, così che si desse la morte, è stata tua figlia. Infatti un dolore così grande gli ha trafitto l’animo, per aver visto lei intenta ad atti osceni, sicché più della vita preferì la morte.
  64. Egli la amava e, poiché i suoi desideri non erano disonesti, non voglio nasconderlo: sperava di poterla meritare come moglie da te, per il suo valore e per il suo fedele servizio. Ma mentre il poveretto si contentava di respirarne il profumo da lontano, vide un altro salire a lei per coglierne il desiderato frutto, sottraendolo a lui”. 
  65. E proseguì raccontando che egli aveva visto Ginevra venire sul balcone, e mandare giù la scala, con la quale era salito un suo amante, a lui ignoto, che per non essere riconosciuto aveva cambiato i vestiti e nascosto i capelli. Soggiunse che con le armi egli voleva provare che era vero tutto quello che diceva.
  66. Tu puoi immaginare quanto il padre di Ginevra fosse addolorato, quando sentì accusare la figlia, sia perché udì di lei quel che non avrebbe mai pensato, e ne restò sconvolto, sia perché sapeva che sarebbe stato costretto a condannarla a morte (se nessun guerriero avesse preso le sue difese, smentendo Lurcanio).
  67. Non credo che ti giunga nuova, signore, la nostra legge che condanna a morte ogni donna e donzella, che faccia dono di sé a un altro che non sia il suo consorte. Viene giustiziata, se nell’arco di un mese non trova un cavaliere così forte in sua difesa, che sostenga che sia innocente e non degna di morire contro il suo falso accusatore. 
  68. Il re ha emesso un bando, per liberarla da questa sorte (perché comunque gli sembra che sia stata accusata a torto), con cui intende darla per moglie, con una grande dote, a chi la difenderà dall’accusa infamante. Ancora non si sente che alcun guerriero sia comparso, anzi si scrutano l’un l’altro, poiché quel Lurcanio è così forte con le armi che sembra che ogni guerriero lo tema. 
  69. La crudele sorte ha voluto che suo fratello Zerbino non si trovi nel regno, poiché se ne va da molti mesi come cavaliere errante, mostrando di sé gloriose prove di valore con le armi. Infatti, se quel cavaliere valoroso si trovasse più vicino, o in un luogo dove potesse in tempo ricevere la notizia, non mancherebbe di venire in aiuto alla sorella.
  70. Il re, che intanto cerca ancora di sapere per altra via, piuttosto che con le armi, se le accuse contro di lei sono false o vere, se che sua figlia muoia accada a ragione o a torto, ha convocato alcune cameriere che avrebbero dovuto sapere se le accuse fossero vere. Per cui io mi aspettai che, se fossi anch’io stata convocata, Polinesso e io saremmo stati troppo in pericolo. 
  71. La notte stessa uscii fuori dalla corte e andai dal duca, mostrandogli quanto fosse importante, per la vita di entrambi, che io non fossi convocata dal re. Mi lodò e disse di non aver paura. Per suo consiglio mi convinsi poi ad andare a una sua fortezza qui vicino, in compagnia di due uomini ai suoi ordini. 
  72. Hai sentito, signore, con quante prove avessi reso Polinesso sicuro del mio amore, e se doveva avermi cara per tali riguardi tu lo vedi chiaramente. Ora senti il premio che ne ho ricevuto, guarda la grande ricompensa per i miei grandi meriti, vedi se una donna deve, per il fatto di amare molto, sperare di essere mai amata. 
  73. Infatti quest’uomo ingrato, perfido e crudele, alla fine ha cominciato a dubitare della mia fedeltà. Ha sospettato che io a lungo andare potessi rivelare i suoi volpini inganni. Ha finto di volermi mandare in un luogo sicuro, perché mi allontanassi e mi nascondessi finché le intense e rabbiose ricerche del re si attenuassero, mentre in realtà mi voleva mandare dritta alla morte. 
  74. Segretamente ha ordinato alle mie guide che, quando mi avessero condotto in questa foresta, come degno premio per la mia fedeltà mi uccidessero. Il suo proposito si sarebbe realizzato, se tu non fossi accorso alle mie grida. Vedi come Amore tratta bene chi lo segue!- Questo raccontò Dalinda a Rinaldo, mentre intanto proseguivano il loro cammino. 
  75. A Rinaldo piacque molto quest’avventura più di ogni altra, di aver trovato la donzella che gli aveva raccontato tutta la storia, che dimostrava l’innocenza della bella Ginevra. E se aveva confidato di aiutarla, anche se fosse stata accusata con ragione, ora andò a sostenere la prova delle armi con ben maggior baldanza, poiché trovò evidenti le calunnie nei suoi confronti.
  76. Rinaldo andò più veloce che potè verso la città di Santo Andrea, dove si trovava il re con tutta la famiglia e dove doveva svolgersi la singolar tenzone per la causa della figlia del re, finché giunse in un luogo distante poche miglia da essa. Giunse in quel posto, vicino alla città, dove incontrò uno scudiero che aveva notizie più recenti: 
  77. un misterioso cavaliere era venuto a prendere le difese di Ginevra, con insegne mai viste e sconosciuto, in quanto sempre si nascondeva molto. Da quando era venuto, nessuno gli aveva visto il volto, e lo scudiero che lo serviva diceva giurando: -Io non so dire chi sia.-
  78. Non cavalcarono a lungo che si trovarono alle mura e davanti alla porta della città. Dalinda aveva paura di andare più avanti, ma poi andò, rassicurata da Rinaldo. La porta era chiusa, e Rinaldo chiese a chi la sorvegliava: -Che cosa significa questo?- Gli fu risposto che era chiusa perché tutta la popolazione si era raccolta a vedere lo scontro tra Lurcanio e un cavaliere misterioso che si stava svolgendo dall’altra parte della città, dove c’era un’area spaziosa e pianeggiante, e che la battaglia era già iniziata. 
  79. La guardia aprì la porta a Rinaldo, poi subito la richiuse alle sue spalle. Rinaldo attraversò la città deserta, ma lasciò la ragazza al primo ostello, dicendole di restare lì al sicuro, finché fosse tornato da lei, che sarebbe stato presto. 
  80. Poi rapido si diresse verso il campo di battaglia, dove i due guerrieri avevano combattuto aspramente infliggendo e ricevendo molti colpi e ancora continuavano a farlo. Vi era Lurcanio, che combatteva animoso a favore della causa contro Ginevra, mentre l’altro ben reggeva l’impresa che aveva scelto, di difenderla. 
  81. Con loro nell’area recintata c’erano sei cavalieri a piedi, armati di corazza, assieme a Polinesso, che montava un possente destriero di buona razza. Essendo maestro di Palazzo, gli era affidata la sorveglianza del campo di battaglia. Egli era in cuore contento di vedere Ginevra in gran pericolo e aveva un’espressione arcigna.
  82. Rinaldo passò in mezzo alla gente, aprendosi la strada in sella al possente destriero Baiardo, e chi vedeva la sua impetuosa cavalcata fu ben veloce a cedergli la strada. Rinaldo comparve prepotentemente in mezzo e aveva ben l’aspetto del migliore dei più valorosi cavalieri, poi si fermò di fronte al punto dove si trovava il re. Tutti si avvicinarono per ascoltare quello che chiedeva.
  83. Rinaldo disse al re: -O gran signore, non lasciar proseguire la battaglia. Sappi che chiunque di questi due muoia, lo lascerai morire a torto. L’uno crede di aver ragione, e sbaglia, e dice il falso, e non sa di mentire, ma quello stesso errore che ha indotto suo fratello a morire lo ha spinto a combattere. 
  84. L’altro non sa se abbia ragione o torto, ma solo per nobiltà e bontà corre il pericolo di essere ucciso, per non lasciar morire una donna così bella. Io porto la salvezza a chi è innocente, porto il contrario a chi vive nella menzogna. Ma, per Dio, prima ferma questo duello, poi degnati di ascoltare quello che voglio narrarti.-
  85. Il re fu così scosso dall’autorevolezza di un uomo così degno di rispetto, come Rinaldo gli sembrava dall’aspetto, che diede ordine e fece segno di interrompere la battaglia. Rinaldo allora raccontò con chiara evidenza al re, assieme ai baroni del regno, ai cavalieri e a molta altra gente, l’inganno che Polinesso aveva ordito contro Ginevra. 
  86. Poi si offrì di provare con le armi che quello che diceva era vero. Fu convocato Polinesso, ed egli comparve tutto turbato nell’aspetto, anche se con audacia cominciò a negare. Rinaldo disse: -Ora vedremo con le armi chi ha ragione.- L’uno e l’altro erano armati, il campo di battaglia era già pronto, cosicché senza indugio iniziarono il duello.
  87. Oh quanto il re e tutto il suo popolo trepidarono, affinché si provasse l’innocenza di Ginevra! Tutti confidarono che Dio mostrasse con evidenza che era stata accusata di impudicizia ingiustamente. Del resto Polinesso aveva reputazione di essere crudele, superbo, avaro, ingiusto e ingannatore, sicché a nessuno sembrò strano che lui avesse tramato quell’inganno.
  88. Polinesso si era messo in posizione, col volto afflitto, il cuore che gli tremava, con il viso pallido, e al terzo squillo di tromba mise la lancia in resta. Così anche Rinaldo si lanciò contro di lui, perché desideroso di farla finita in breve, e si propose di trafiggergli il petto con la lancia, e riuscì pienamente nel suo intento, perché gli cacciò metà della lancia dentro il petto. 
  89. Conficcato nel tronco della lancia lo gettò a terra, lontano dal destriero più di sei braccia. Rinaldo scese subito da cavallo e gli afferrò l’elmo, prima che si alzasse, e glielo tolse. Ma quello, che non poteva più opporre resistenza, gli chiese pietà con espressione sottomessa, e gli confessò, con il re e la corte che udivano, la storia del suo inganno che l’aveva portato alla morte. 
  90. Non riuscì a raccontare tutto, perché a metà della narrazione le parole, la voce e la vita lo abbandonarono. Il re, che vide la sua figliola liberata dalla morte e dalle accuse infamanti, si rallegrò, gioì e riconfortò, più che se, avendo perduto la corona, l’avesse proprio in quel momento recuperata, così che rese onori a Rinaldo in modo straordinario. 
  91. Quando si tolse l’elmo lo riconobbe, perché altre volte lo aveva visto, così ringraziò Dio perché di un tale aiuto lo aveva fornito. L’altro cavaliere, sconosciuto, che aveva portato soccorso a Ginevra in quella drammatica circostanza, e che si era armato in sua difesa, era rimasto in disparte a osservare il tutto. 
  92. Fu pregato dal re di dire il suo nome o almeno di lasciarsi vedere in volto, affinché potesse concedergli un premio, come richiedeva il merito da riconoscere al suo lodevole intento. Egli, dopo ripetute preghiere, si tolse l’elmo dalla testa e rese evidente e certo quello che seguiterò a dirvi nel prossimo canto, se vi piacerà udire la storia.

 

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