Ludovico Ariosto, I Cinque canti

Cinque canti

Ludovico Ariosto, I Cinque canti

Cinque canti

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Dai Cinque canti (versione fin italiano contemporaneo):

Canto primo

α

Oltre il fatto che Rinaldo e Orlando avevano ucciso a più riprese molti membri dei malvagi Maganzesi, benché le offese e i torti reciproci fossero con saggia decisione sopite dal re, e che in quel tempo l’uccisione di Pinabello e di Bertolagi aveva tolto loro il riso, insorsero nuova invidia e nuovo odio, che posero la Francia e re Carlo in gran pericolo.

β

Ma prima che di questo vi dica altro, signore, vogliate che io vi conduca (poiché vi ci condurrò senza fatica) là dove il Gange ha le sue dorate spiagge, e vi mostri una luminosa montagna che sembra quasi reggere sopra di sé il cielo, con il grande tempio nel quale ogni cinque anni le fate immortali tengono consiglio.

Alcina, al gran consiglio delle fate chiede vendetta per il suo onore offeso. E con l’aiuto dell’Invidia malvagia sollecita nel profondo l’animo di Gano. Mentre l’Imperatore di Francia premia il valore di tutti i suoi guerrieri. Poi Gano condotto a forza dove si trova Alcina, infine trama la disastrosa rovina di re Carlo.

  1. Tra le rocciose montagne della Scizia e il flessuoso fiume Indo si eleva un monte che quasi confina con il cielo, e tanto eleva la sua vetta, che alla sua altezza nessun altro si avvicina: qui, sul più solitario e selvaggio colle, attorniato di orrende balze e di desolazione, si trova un tempio, il più bello e il più adorno, che il sole illumini fra quelli cui gira attorno. 
  2. Da terra fino alla prima cornice misura cento braccia d’altezza. Altre cento da essa fino alla cima della cupola d’oro che in alto la racchiude. La circonferenza della base è dieci volte tanto, se non è errata la valutazione di chi potè agevolmente misurarla. Un bel corso d’acqua cristallino, rilucente e puro, tutto lo circonda e gli fa da sponda e muro.
  3. Ha cento facciate, ha cento angoli, tra i quali vi è la stessa distanza. Ogni lato ha due colonne, come sostegno dell’alto frontespizio, tutte della medesima grossezza. Ne costituiscono le basi e i capitelli, interamente d’oro e cosparse di smeraldi, di zaffiri, di diamanti e di rubini lucenti.
  4. Gli altri ornamenti li può immaginare chi mi ascolta o legge, senza che io ne canti o scriva. Qui Demogorgone, che disciplina e governa le Fate, che dà loro forza o di essa le priva, per lunga consuetudine e secondo un’antica legge, quando giunge il termine ogni cinque anni, le convoca a consiglio e tutte le raduna lì da ogni parte del mondo.
  5. Qui si ascolta, si discute e si parla di ciò che di bene o di male sia loro accaduto: a chi siano stati arrecati un danno o un’offesa non si manca di dare consiglio o soccorso; se vi è stato un diverbio tra di loro, si trova presto una conciliazione e si cancellano le ruggini del passato. Sicché si trovano tutte unite contro ogni estraneo con cui siano in conflitto.
  6. Giunto l’anno e il giorno in cui dovevano ritrovarsi insieme al quinquennale consiglio, tutte accorsero, chi dalla Spagna, chi dall’India, chi dall’Ircania e chi dal mar Rosso. Senza servirsi di cavalli o di carri trainati da buoi, senza adoperare navi, volavano per l’aria scura, sprezzando ogni consuetudine umana e ogni legge di natura.
  7. Alcune erano condotte da grandi navi di vetro, sospinte da dietro dal soffio dei mantici di innumerevoli e feroci demoni, tanto che nell’aria mai vi fu un vento più forte. Altre venivano in volo nell’aria, sul collo degli angeli dell’inferno, come cercò di fare, con suo danno, Simon Mago nel confronto con San Pietro, per cui morì. Alcune, come Dedalo, avevano le ali.
  8. Avevano lettighe adorne, chi d’oro, chi d’argento e chi di varie gemme. Alcune ne trasportavano otto, altre dieci di quella schiera, che è solita scomparire quando sorge il sole. Tutti erano più neri della pece, con piedi strani, lunghe code e corna. Cavalli alati, grifoni e altri uccelli bizzarri ne conducevano molte sopra carri volanti.
  9. Queste, che ora chiamiamo Fate e che dagli antichi furono dette, con nomi più graziosi, Ninfe o Dee, ornate di preziose gemme e di molto oro nelle vesti e nei capelli, si presentarono all’alto consesso con bella compagnia e con grandi ricchezze, studiandosi di non essere superate da altre per magnificenza e di non essere da altre precedute nell’arrivare.
  10. Solo Morgana, come le volte precedenti, non vi arrivò ben vestita o in fretta, ma quando tutte le altre erano ormai radunate insieme e avevano già iniziato a parlare. Alfine comparve, triste, con i capelli scompigliati e sciolti, smorta e trascurata, vestita come quando Orlando le aveva dato la caccia e l’aveva catturata.
  11. Con fare triste salutò il gran collegio e andò a sedersi in luogo appartato. Poi, come presa da un ossessivo pensiero, chinò la fronte e gli occhi a terra, senza far motto. Mentre le altre erano ammutolite per lo stupore, fu Alcina la prima a parlare, ma non di botto. Prima volse attorno gli occhi una o due volte, poi pronunciò queste parole:
  12. Poiché costretta da prepotente forza costei non può lagnarsi senza spergiuro, né chiedere né farsi vendetta per la malvagia offesa che per molto tempo ha patito, quello che lei non può fare a noi spetta di fare, poiché è opportuno che le circostanze favorevoli o avverse ci accomunino, e che si provveda a vendicarla, benché lei non lo chieda.
  13. Non occorre che io narri come e quando (perché la storia in tutto il mondo è risaputa) e quante volte e in quanti modi Orlando, con un’offesa che ci colpisce tutte, abbia ferito Morgana, a cominciare dalla prima volta, quando uccise il drago e i tori presso la fontana, fino a quando poi le tolse Gigliante il biondo, che amava più di ogni altra cosa che aveva al mondo.
  14. Parlo di quello che forse non sapete, e se pure qualcuna lo sa, non tutte lo sanno. Più di ogni altra lo so io, perché ebbi necessità di recarmi presso il suo lago quel medesimo anno: alcune sue ancelle (ma Morgana certo non se ne accorse) mi hanno raccontato tutto. Per me, che appunto ne sono a conoscenza, è doveroso che lo dica, tanto più che io le sono sorella e amica.
  15. È giusto che io vi racconti meglio quelle vicende che, come dicevo, non sono ben conosciute. Dopo che Orlando ebbe fatto prigioniera mia sorella, la ebbe derubata, afflitta e lasciata senza speranza, non cessò di tormentarla fin quando ella fece il giuramento che tra noi fate non s’usa mai violare. E non ci esime da esso il dire che qualcuno ci ha costrette a farlo.
  16. Non è una specifica offesa e non riguarda solo lei, ma tutte. E se poi anche fosse solo sua, tutte dobbiamo unirci per vendicarla, e non lasciarla offesa da sola, poiché siamo compagne e sorelle tutte. E anche se lei negasse a parole, dobbiamo considerare quello che il suo cuore vuole.
  17. Se tolleriamo l’offesa, oltre a mostrare segno di debolezza e di viltà, e a permettere che si tronchi il sostegno principale al nostro regno, la sua autorità e grandezza, avremo consentito che osino di nuovo agire così, e che altri si propongano di infliggerci danno peggiore: chi si vendica, oltre che offende chi l’ha offeso, si difende da molti. –
  18. E proseguì a parlare, convincendo le fate a vendicare la comune offesa, tanto che se io volessi proseguire a raccontarvi tutto quel che disse impiegherei un intero giorno. Non discuto che facesse questo per Morgana e per le altre che le stavano attorno, ma sono convinto che fosse mossa più dal proprio interesse, che da quello di Morgana e delle altre.
  19. Alcina non poteva togliersi dal cuore che Ruggiero le fosse sfuggito a quel modo, e non so se il suo cuore le fosse, notte e giorno, assalito più da sdegno o più da amore. E tanto più profondo era il suo dolore, quanto meno lo poteva manifestare, perché dell’onta che aveva patito era colpevole la fata Logistilla.
  20. Non avrebbe infatti potuto lagnarsi del ricevuto oltraggio, senza accusarla. Ma poiché in quel consesso non era ammesso trattare di liti che vi fossero tra le fate, né potevano essere ricordate, parlò dell’offesa fatta a Morgana, e con ogni argomento possibile si adoperò per vendicarla. Infatti ben comprese che, pur senza parlare di sé, avrebbe fatto anche il proprio interesse, se faceva quello della sorella.
  21. Alcina disse che, siccome le offese fatte a Morgana riguardavano tutte loro, se ne doveva far anche una tale vendetta che non ferisse il solo Orlando, ma che colpisse tutti i paladini che militavano sotto le superbe insegne imperiali di Carlo Magno. Con tale proposta si proponeva di avere di nuovo Ruggiero nelle sue mani.
  22. Ben sapeva che era divenuto cristiano, barone e paladino di re Carlo, e che se fosse stato pagano, come lo era prima, avrebbe avuto maggiore speranza di recuperarlo. Ma poiché ora era armato della fede cristiana, invano avrebbe potuto tentarlo senza l’aiuto di altri. Infatti, se da sé sola avesse cercato di vincerlo, lo avrebbe visto attorniato da una protezione troppo grande.
  23. Per questo provava feroce odio, aspro sdegno, profonda ostilità e bruciante rabbia contro re Carlo e contro ogni barone del suo regno, contro tutti i popoli dell’Occidente, sembrandole che il loro valore fosse troppo avverso e ostile ai suoi propositi. Né poteva sperare di sottomettere Ruggiero, se assieme a lui o prima di lui non avesse portato Carlo alla rovina.
  24. Odiava l’imperatore, odiava Orlando, che era l’altra colonna portante dell’impero, tanto che in mezzo a loro Ruggiero non poteva cadere in mano sua, né essere vinto dalla forza delle arti magiche. Dopo che Alcina ebbe parlato, l’uditorio non restò senza ascoltare le lagnanze per altre offese. Falerina, infatti, pianse il suo drago morto e la distruzione del suo bell’orto.
  25. Dopo che Falerina ebbe nel dettaglio descritto le offese fatte a lei e ne ebbe chiesto vendetta, salì alla tribuna e cominciò a parlare Dragontina, fin quando ebbe portato tutte le sue ragioni. Qui raccontò del grande furto che Astolfo e alcuni altri della sua gente avevano fatto dei suoi prigionieri, dentro le proprie case, tanto che nessuno vi era rimasto.
  26. Poi l’Aquilina e poi la Silvanella, poi la Montana e poi quella dal Corso. La fata Bianca e la fata Nera, e un’altra intrappolata da Borso. Poi Griffonetta, e poi questa e poi quella (sicché parlar di tutte io non potrei) via via si lagnavano, chi di Oliviero, chi di Rinaldo e chi di Uggiero (Uggieri il Danese).
  27. Chi di Dudone e chi di Brandimarte quando era ancora vivo, e chi di Carlo stesso, si lagnavano. Tutti da qualche parte avevano arrecato loro danno e oltraggio manifesto, spezzati gli incantesimi e disprezzate le arti magiche cui la natura e il cielo talora cedono. A stento ogni cento di loro ne trovavi una che non avesse subito offesa alcuna.
  28. Quelle che non hanno motivo di dolersi per se stesse, il male subito dalle altre pesa loro tanto che se ne lamentano e se ne dichiarano offese non meno che se le riguardasse personalmente. Non potevano tollerare che si dicesse che le loro arti magiche non fossero un’efficace difesa contro le forze e gli animi arroganti dei paladini e dei cavalieri erranti.
  29. Per questo tutte (eccetto la sola Morgana, che aveva fatto il giuramento che mai, né esplicitamente né con l’inganno avrebbe causato danno a Orlando), tutte quante ve ne sono fra l’uno e l’altro polo, fra quanto il sole riscalda e il vento raffredda, tutte approvarono quello che Alcina aveva detto, e tutte chiesero che lo si attuasse.
  30. Dopo che Demogorgone, saggio sovrano, ebbe ascoltato tutte le lamentele del gran Consiglio, disse: – Se dunque l’oltraggio riguarda tutte, acconsento alla vendetta generale; che sia Orlando, che sia Carlo, che sia la gente di Francia, che sia tutto l’Impero estinto e non rimangano segni né vestigia, e neppure si possa dire: «Qui ci fu Parigi».-
  31. Come nelle condizioni di pericolo spesso Roma e altre repubbliche hanno fatto, cedendo il potere di molti a uno solo, con il compito di evitare danni, così in quel luogo ad Alcina fu dato l’incarico di pensare a quale violenza o a quale inganno si dovesse ricorrere, poiché poi ciascuna di loro subito le sarebbe venuta in aiuto per ogni sua richiesta.
  32. Come chi è restio a spendere i suoi denari, né si compiace subito di ogni acquisto, cerca in lungo e in largo alla fiera della Sensa, e guarda da ogni parte, e tace, infine si sofferma dove trova un’immensa quantità di cose che fanno per lui, e qui esamina ora questa ora quella, ne prende cento, e ancora non si decide, 
  33. mette da parte questa e lascia quella, poi quella che ha lasciato la riprende di nuovo, poi la rifiuta e passa a un’altra, cambia e poi cambia di nuovo, a alla fine ne prende una, così Alcina era alle prese con una gran massa di profondi pensieri, ed era restia a decidersi. Vagava con il pensiero in cento direzioni, e non sapeva ancora decidere su quale soffermarsi.
  34. Dopo molto rimuginare, si decide infine, e le pare che l’Invidia debba essere quella che porterà alla rovina il grande Impero d’occidente, facendo che appunto sia come indica il nome. Ma di chi, piuttosto, debba dare l’intestino da rodere a quella malvagia peste, non sa vedere, né credere che piaccia maggiormente al gusto di lei, che l’animo dell’iniquo Gano.
  35. Un tempo Gano era stato tanto autorevole per Carlo, che nessuno gli stava alla pari per importanza. Poi, assieme ad Astolfo, Rinaldo, Orlando e gli altri che avevano mostrato il loro valore contro Marsiglio e contro Agramante, avevano fatto sì da togliergli tale prestigio. Per cui il meschino, che era tutto gonfio di fumo e di vento, viveva mal contento.
  36. Gano, superbo, pieno di rancore e malevolo, odiava a morte tutti i grandi dignitari di Carlo. Non sopportava di vedere che qualcuno, senza intrighi e senza il suo intervento si fosse sistemato a corte. Tuttavia, con tono di voce basso e falsi sorrisi, sapeva simulare bontà e ricorrere a ogni sorta di ipocrisia, tanto che chi non conosceva la sua vera natura lo avrebbe lodato come un santo.
  37. Poi, quando si trovava in prossimità di Carlo (vi fu infatti un tempo in cui ogni giorno era con lui), rodeva di nascosto come un tarlo, colpiva questo e quello come capitava. Così raramente diceva la verità e così bene sapeva nasconderla, che persino i Greci sarebbero stati da lui ingannati. Come dissi, Alcina ritenne degno cibo per l’Invidia il suo animo pieno di vizi.
  38. Fra i monti inaccessibili dell’Himalaya, che sembrano sorreggere il cielo sopra le spalle, fra le nevi perenni e il ghiaccio immobile discende una profonda e oscura valle da cui, attraverso un antro orribilmente fondo e cupo, all’Inferno si va lungo un diritto sentiero. Questa è una delle sette porte che conducono al regno della Morte.
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