Ariosto, Orlando furioso, Canto II – Versione in italiano contemporaneo

cavalieri

Ludovico Ariosto, Orlando furioso, Canto II

Versione in italiano contemporaneo di Giorgio Baruzzi

 

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Canto II_Orlando F_testo originale pdf

 

Inizia il duello tra Rinaldo e Sacripante. Rinaldo abbandona il duello per correre a Parigi sulle orme di Angelica. Re Carlo invia Rinaldo in Inghilterra a procurare truppe di rinforzo. Impaziente, Rinaldo insiste per prendere il largo da Calais nonostante il tempo burrascoso, e la sua nave è così in balia del vento. Frattanto Bradamante incontra Pinabello, maganzese e gran fellone, dal quale apprende che il suo  Ruggiero è prigioniero nel castello d’acciaio del mago Atlante, che cavalca un cavallo alato, l’ippogrifo. Pinabello finge di guidarla alla meta, ma perfidamente la fa precipitare in un pozzo con l’intento di ucciderla.

 

  1. Ingiustissimo Amore, perché così raramente fai corrispondere i nostri sentimenti? Per cui, perfido, accade che ti sia così caro il discorde desiderio che vedi in due cuori? Non mi lasci andare verso l’amore corrisposto e mi trascini verso l’amore contrastato e tormentato. Mi rendi restio verso chi desidera il mio amore, mentre vuoi che adori e ami chi mi odia.
  2. Fai sì che Angelica a Rinaldo sembri divinamente bella, mentre lui a lei sembra orrendo e sgradevole. Quando le pareva bello ed ella lo amava, lui la odiava quanto si possa odiare. Ora si affliggeva e si tormentava invano, così gli era ben resa la pariglia. Lei lo odiava, e il suo odio era tale che piuttosto che lui preferiva la morte.
  3. Rinaldo con grande arroganza gridò al Saraceno: -Scendi, ladrone, dal mio cavallo! Non sono solito tollerare che mi vengano sottratte cose mie, e a chi vuol farlo lo faccio costar ben caro. Voglio poi toglierti anche questa donna, perché lasciartela sarebbe un grande errore. Un cavallo tanto perfetto, una donna così meritevole non credo che debbano finire in mano a un ladro.-
  4. Sacripante, non meno altezzoso, rispose: -Tu dici una menzogna sostenendo che io sia un ladrone: chi dicesse ladro a te lo direbbe (da quanto ne posso apprendere per fama) con maggior fondamento. Ora si vedrà con le armi chi di noi due sia più meritevole della donna e del destriero, benché, riguardo a lei, concordo con te che non esista al mondo cosa più degna.-
  5. Come sono soliti talvolta due cani mordaci, mossi da invidia o da altro motivo di odio, avvicinarsi digrignando i denti e con gli occhi torvi e più rossi della brace, e poi azzannarsi, ardenti di rabbia, con feroci ringhi e con i peli irti sul dorso, così, dopo le grida e le offese, Sacripante e Rinaldo misero mano alle spade e si scagliarono l’un contro l’altro.
  6. L’uno era a piedi, l’altro a cavallo: ora quale vantaggio pensate che potesse avere il guerriero saraceno? Non ne ebbe però in realtà nessuno, perché a cavallo valeva forse ancora meno di un paggio inesperto. Infatti  Baiardo, per suo istinto naturale, non voleva recare danno al suo padrone: né con le briglie né con gli sproni Sacripante poteva fargli muovere un sol passo come voleva.
  7. Quando pensava di farlo avanzare, il cavallo si fermava e quando lo voleva trattenere lui galoppava o trottava. Poi chinava la testa sotto il petto, si impennava e sgroppava, e scalciava a ripetizione. Il saraceno, vedendo che quello non era un momento favorevole per domare questa bestia impetuosa, mise le mani sull’arcione davanti, si sollevò e scese a terra dal lato sinistro. 
  8. Liberatosi Sacripante con un agile salto dall’ostinata furia di Baiardo, ebbe inizio uno scontro degno di nota, tra una coppia di cavalieri di tal valore. Risuonarono entrambe le spade, ora con suoni gravi ed ora acuti: il martello di Vulcano era più lento nella fucina piena di fumo dove forgiava sull’incudine i fulmini di Giove. 
  9. Mostrarono tutta la loro maestria nel combattere con la spada, ora con allunghi, ora con finte, ora con parate: ora li vedevi avanzare eretti, ora rannicchiarsi, ora proteggersi con lo scudo, ora scoprirsi un poco, ora protendersi in avanti, ora ritrarsi, ribattere i colpi e spesso schivarli, girarsi attorno e dove uno arretrava, l’altro subito avanzava. 
  10. Ecco Rinaldo abbattere con la spada un tremendo colpo su Sacripante. Lui parò con lo scudo, che era d’osso, con una piastra d’acciaio solida e bel temprata. Benché fosse molto grosso, la spada di Rinaldo, Fusberta, lo tagliò, con un colpo che fece gemere e risuonare la foresta. L’osso e l’acciaio si spezzarono come ghiaccio, lasciando il Saraceno intorpidito al braccio.
  11. Quando la timorosa Angelica vide quel duro colpo fare tale danno, per la gran paura mutò espressione sul bel viso, come il condannato vicino all’ora del supplizio. Non le parve il caso di tardare oltre, se non voleva essere preda di Rinaldo, quel Rinaldo che lei tanto odiava, quanto lui disperatamente la amava. 
  12. Voltò il cavallo e nella fitta foresta lo spinse al galoppo per un sentiero disagevole e stretto, e spesso volgeva indietro il viso stravolto, perché le sembrava di avere Rinaldo alle spalle. Non aveva fatto molta strada, fuggendo, quando in una valle incontrò un eremita, con la barba lunga fino a metà del petto, di aspetto devoto e venerabile.
  13. Indebolito dall’età e dal digiuno, se ne andava sopra un lento asinello, e sembrava, più di chiunque altro, di coscienza integerrima e volta al bene. Non appena egli vide il delicato viso della donzella che sopraggiungeva, la sua coscienza, sebbene fosse debole e poco vigorosa, tutta per grazia divina gli si ridestò.
  14. La donna chiese al fraticello quale fosse la strada che potesse condurla a un porto sul mare, poiché voleva scappare dalla Francia, per non dover più sentire neppure nominare Rinaldo. L’eremita, che ne sapeva di magia, non cessò di confortare la donzella, promettendole di sottrarla presto a ogni pericolo, e infilò una mano in una tasca.
  15. Ne trasse un libro e fece un incantesimo: non aveva finito di leggere la prima pagina che fece comparire uno spirito demoniaco con le sembianze di un valletto, al quale ordinò quel che voleva che facesse. Quello se ne andò, obbligato a seguire le magiche formule, dove i due cavalieri si stavano affrontando nel bosco. Non riposavano certo all’ombra, ma lui con grande coraggio s’interpose in mezzo a loro.
  16. Disse: -Per cortesia, uno di voi mi spieghi, quand’anche uccidesse l’altro, a che cosa questo gli gioverebbe. Quale ricompensa riceverete per le vostre fatiche, finito che sia tra voi il duello, se il conte Orlando, senza bisogno di contese o giostre e anche senza aver sconfitto un avversario, conduce verso Parigi la donzella che vi ha indotto a questo feroce scontro? 
  17. A un miglio da qui ho incontrato Orlando che con Angelica se ne va a Parigi, entrambi ridendo e prendendosi gioco di voi perché state combattendo senza alcuna utilità. Meglio sarebbe, forse, siccome non sono lontani, seguire le loro tracce, perché se sarà in mano di Orlando a Parigi, non ve la lascerà mai più rivedere.
  18. A quella notizia avreste visto i cavalieri turbarsi, abbattuti e sbigottiti, accusarsi di essere stati ciechi e stupidi, perché il loro rivale si era così preso gioco di loro. Il valoroso Rinaldo si accostò al suo cavallo, con sospiri che sembravano usciti dal fuoco, e giurò con sdegno e con furore che se avesse raggiunto Orlando gli avrebbe strappato il cuore. 
  19. Andò dove Baiardo lo stava aspettando, vi si lanciò sopra e galoppò via, e al cavaliere che lasciò appiedato nel bosco non fece cenno di saluto e non l’invitò in groppa con sé. Il focoso cavallo urtava e travolgeva, spronato dal suo padrone, tutto quello che lo ostacolava: fossati, fiumi, rocce o spine non potevano farlo deviare dal suo corso. 
  20. Signore, non voglio che vi sembri strano se Rinaldo ora subito si impadronì del destriero, mentre prima per più giorni l’aveva inseguito invano, senza che mai potesse afferrargli le briglie. Il destriero, intelligente come un uomo, non si era fatto inseguire per tante miglia per capriccio, ma perché aveva capito che il suo signore amava quella donna e voleva guidarlo dove lei andava.
  21. Quando Angelica era fuggita dal campo cristiano, il buon destriero l’aveva vista e tenuta d’occhio. Il cavallo, che non aveva nessuno in sella perché Rinaldo era sceso per combattere contro un barone che con le armi non era meno abile di lui, ne aveva seguito le tracce da lontano, desideroso di metterla in mano al suo padrone. 
  22. Desideroso di attirarlo dove si trovava, gli si era messo davanti in mezzo al bosco, ma non voleva lasciarlo montare in sella, perché non lo volgesse in un’altra direzione. Per merito suo, Rinaldo aveva trovato la donzella una o due volte, ma senza successo, perché prima fu Ferraù a impedirlo, poi Sacripante, come avete udito.
  23. Ora anche Baiardo credette al demone che aveva dato a Rinaldo false indicazioni su Angelica, così restò  come di consueto fermo e docile al suo servizio. Rinaldo lo spinse al galoppo a briglia sciolta, fremente d’ira e d’amore, sempre in direzione di Parigi, e andava tanto veloce, spinto dal desiderio, che non solo un destriero, ma persino il vento gli sembrava lento.
  24. Di notte a stento fermò l’inseguimento, per il desiderio di affrontare Orlando, tanto aveva creduto alle false parole del messaggero dell’astuto mago. Non cessò di cavalcare di giorno e di sera, finché giunse a Parigi, dove re Carlo, sconfitto e mal ridotto, aveva radunato i resti del suo esercito. 
  25. Poiché da Agramante, re d’Africa, si aspettava battaglia e assedio, Carlo con grande cura aveva raccolto validi combattenti e vettovaglie, fatto scavare fossati e rinforzare le mura. Provvide a procurarsi, senza perder tempo, tutto quello che sperava lo aiutasse alla difesa della città, e pensava di inviare qualcuno in Inghilterra per ottenere rinforzi con cui costituire un nuovo esercito. Voleva infatti di nuovo scendere in campo aperto e ritentare le sorti della guerra. 
  26. Mandò quindi Rinaldo subito in Bretagna, Bretagna che poi è stata chiamata Inghilterra. Il paladino ben si lamentava di quella partenza, non perché avesse particolare odio per quella terra, ma perché Carlo gli ordinò di andare immediatamente, senza permettergli di restare neppure un giorno. 
  27. Rinaldo non fece mai cosa meno volentieri, perché così gli fu impedito di cercare il bel viso sereno di Angelica, che dal petto gli aveva strappato il cuore. Pur tuttavia, per ubbidire a Carlo, subito si volse a quella via, e in poche ore giunse a Calesse e appena arrivato, il giorno stesso si imbarcò. 
  28. Non ascoltando i consigli di ogni marinaio, per il gran desiderio che aveva di poter tornare presto, prese il largo con mare molto mosso e burrascoso, che sembrava minacciare una gran tempesta. Il Vento si sdegnò, nel vedersi ignorare da quel cavaliere sprezzante, e con una burrasca tremenda sollevò le onde tutto attorno alla nave, con tale furia che la nave si bagnò fino alla gabbia. 
  29. Subito gli esperti marinai calarono le vele più grandi, e pensarono di volgere la nave per ritornare verso il porto da cui essa era salpata in un momento inopportuno. Il Vento disse: -Non posso tollerare tale libertà che vi siete presa.- E iniziò a soffiare e a ululare, minacciando di farli naufragare, se avessero cercato di andare altrove da dove li sospingeva. 
  30. Il crudele vento soffiava ora da poppa, ora da prua e mai si fermava, ma anzi veniva ogni ora sempre più crescendo. Essi sbandavano di qua e di là, sospinti dalle vele piccole, navigando in alto mare. Ma poiché ho necessità di diversi fili e di diversi intrecci, che tutti intendo intessere, lascio Rinaldo sulla nave sballottata dalla burrasca, e torno a parlarvi di sua sorella Bradamante.
  31. Parlo di quella illustre donzella che aveva steso a terra re Sacripante, che di Rinaldo era degna sorella, figlia del duca Amone e di Beatrice. La sua grande potenza e il suo grande coraggio eran graditi a re Carlo e alla Francia (poiché più volte ne aveva dato prova sicura) non meno del lodato valore del buon Rinaldo. 
  32. La donna era amata da un cavaliere che era venuto dall’Africa col re Agramante, figlio di Ruggiero II e di Galaciella, la disperata figlia di Agolante. Bradamante, che non era feroce come un orso o un leone, non disdegnò di amarlo, benché la Fortuna non avesse concesso loro che di vedersi e di parlarsi una sola volta.
  33. Perciò Bradamante andava a cercare il suo innamorato, che aveva preso il nome dal padre, tanto sicura benché completamente sola, come se avesse mille squadre a proteggerla. Dopo che ebbe fatto sbattere la faccia a terra a Sacripante, re di Circassia, attraversò un bosco, e dopo il bosco un monte, finché giunse a una graziosa fonte. 
  34. Il ruscello scorreva in mezzo a un prato, circondato di alberi secolari e di bella ombra, che invitava i viandanti con il suo gradevole gorgoglio a bere e a fermarsi lì. Un piccolo monte coltivato sul lato sinistro riparava dal calore di mezzogiorno. Qui, quando volse i begli occhi attorno, la giovane vide un cavaliere, un cavaliere che all’ombra di un boschetto, dal margine verde, giallo, rosso e giallo, sedeva pensieroso, silenzioso e solo sopra quelle limpide, cristalline acque. 
  35. Lo scudo e l’elmo pendevano poco lontano da un faggio dove era legato il cavallo. Il cavaliere aveva gli occhi bagnati di lacrime, la testa china e si mostrava addolorato ed abbattuto.
  36. L’innata curiosità, che tutti abbiamo nel cuore, di conoscere i fatti altrui indusse la donzella a chiedere a quel cavaliere la ragione del suo dolore. Egli la rivelò e la espose tutta, spinto dal gentile modo di parlare di lei e dal suo aspetto fiero, che al primo sguardo gli sembrò proprio di un guerriero molto valoroso.
  37. Cominciò: -Signore, io guidavo fanti e cavalieri in aiuto di re Carlo, verso il luogo dove attendeva l’attacco di Marsilio, per contrastarlo mentre scendeva dai monti. Avevo con me una bella giovane, del cui fervido amore avvampo in petto. Nei pressi di Rodonna incontrai un cavaliere che cavalcava un gran destriero alato. 
  38. Appena il ladro, che sia esso un uomo o una tenebrosa anima dell’inferno, vide la mia bella e amata donna, come un falco che scende per predare, in un attimo discese, stese le mani e l’afferrò, cogliendola di sorpresa, e si levò in volo. Non mi ero ancora accorto dell’assalto che sentii le grida della mia donna in alto. 
  39. In tal modo il nibbio rapace è solito rapire il misero pulcino vicino alla chioccia, che poi si duole della propria imprevidenza e grida e crocchia invano. Io non potevo inseguire un uomo che vola, chiuso come ero in mezzo ai monti, ai piedi di una ripida montagna. Il mio destriero era stanco e camminava a fatica, su questi sentieri tortuosi e irti di sassi. 
  40. Tuttavia, con enorme rammarico lasciai che i miei soldati proseguissero per la loro strada, senza la mia guida e senza alcun condottiero. Per i pendii scoscesi e meno ardui seguii la via che Amore mi indicava, verso il luogo dove mi parve che quel rapace avesse portato la donna che è fonte della mia gioia e della mia serenità.
  41. Andai per sei giorni dalla mattina alla sera per balze spaventose e impervie, dove non c’era alcuna via, dove non c’era alcun sentiero, dove non c’era alcun segno di presenza umana. Poi giunsi in una valle incolta e selvaggia, attorniata da dirupi e da spaventose caverne, in mezzo alla quale c’era una roccia sulla quale si ergeva un castello fortificato e sovrastante, straordinariamente bello. 
  42. Da lontano sembrava che risplendesse come una fiamma, e che non fosse fatto di pietra né di marmo. Quando mi avvicinai alle splendenti mura, quell’edificio mi apparve ancor più bello e stupefacente. Ho poi appreso che laboriosi demoni, evocati mediante suffumigi e formule magiche, avevano rivestito completamente quella dimora di acciaio, temprato nelle acque infuocate dello Stige. 
  43. Ogni torre risplende di un acciaio così lucido da non poter avere né ruggine né macchia. Il rapitore attraversa giorno e notte tutto il territorio poi là dentro va a rifugiarsi. Non può salvarsi cosa che lui voglia rapire, soltanto al suo indirizzo si può imprecare e strepitare. Qui tiene la mia donna, anzi, tiene il mio cuore, che dispero di mai poter riavere. 
  44. Ah misero me! Che cosa posso fare più che fissare la rocca da lontano, dove la mia donna è rinchiusa? Sono come la volpe, che da terra sente il suo cucciolo gridare nel nido dell’aquila, che si aggira intorno ma non sa che fare, perché non ha le ali per salire lassù. Tanto alta è quella roccia, tanto alto è quel castello che vi può salire solo un uccello. 
  45. Mentre indugiavo qui, vennero due cavalieri guidati da un nano, che alimentarono il mio desiderio con la speranza, ma sia la speranza sia il desiderio furono ben vani. Entrambi erano guerrieri straordinariamente ardimentosi: uno era Gradasso, re di Sericana, l’altro Ruggiero, giovane vigoroso, molto apprezzato alla corte di Agramante.
  46. Mi disse il nano: “I due guerrieri vengono per dar prova del loro valore contro il signore di quel castello, che attraverso l’aria, per via insolita, inconsueta, mai vista, armato cavalca il cavallo alato”. Io dissi loro: “Orsù signori, abbiate pietà del mio disperato e crudele caso! Qualora, come spero, voi vinciate , vi prego di farmi riavere la mia donna”. 
  47. Poi raccontai come mi era stata sottratta, mostrando con le lacrime il mio dolore. Quelli, bontà loro, mi fecero molte promesse e scesero dal ripido pendio alpestre. Assistei allo scontro da lontano, pregando Dio per la loro vittoria. Sotto il castello c’era uno spazio pianeggiante, grande quanto due tiri di sasso consecutivi. 
  48. Dopo che furono giunti alle pendici dell’alta roccia, l’uno e l’altro volevano combattere per primi, tuttavia toccò a Gradasso, fosse per sorte, o fosse perché a Ruggiero poi non importò. Gradasso suonò il corno e la roccia e la fortezza ne risuonarono fino in cima. Ecco allora apparire il cavaliere armato fuori dalla porta del castello, sul cavallo alato. 
  49. Cominciò poco a poco a sollevarsi, come suol fare la gru pellegrina, che prima corre, poi la vediamo sollevarsi a una o due braccia da terra, e quando sono del tutto distese nell’aria, mostra le sue ali muoversi velocissime. Il negromante volò così in alto che a tale altezza l’aquila fatica a salire. 
  50. Quando poi gli parve giunto il momento, volse il destriero, che richiuse le ali e piombò fulmineamente a terra, come piomba il falcone ammaestrato che veda alzarsi in volo l’anatra o il colombo. Il cavaliere venne con la lancia in resta, fendendo l’aria con un tremendo rombo. Gradasso si avvide appena della sua discesa, che quello gli fu addosso e lo ferì. 
  51. Il mago spezzò la lancia sopra Gradasso, Gradasso colpì a vuoto il vento e l’aria. Per questo il cavaliere alato non interruppe il suo volo e si allontanò. Il violento scontro fece chinare la groppa sul verde prato alla focosa cavalla alfana. Gradasso aveva una cavalla alfana, la più bella e la migliore che mai fosse stata cavalcata. 
  52. Il cavaliere volante si levò fino alle stelle, poi si girò e scese nuovamente in basso, e colpì Ruggiero che non si era accorto della sua venuta, Ruggiero che era tutto intento a soccorrere Gradasso. Ruggiero si contorse per il forte colpo e il suo destriero arretrò più di un passo, e quando si girò per colpire il nemico lo vide lontano da sé salire al cielo. 
  53. Colpì ora Gradasso e ora Ruggiero, in fronte, nel petto e nella schiena, mentre i colpi dei due guerrieri andavano sempre a vuoto, perché era così veloce che a stento lo vedevano. Andava volteggiando in ampi cerchi, e quando fingeva di colpire uno colpiva l’altro. Tanto confuse gli occhi a entrambi che non potevano vedere da che parte li attaccasse. 
  54. Fra i due guerrieri in terra e quello in cielo la battaglia continuò fino a notte, fino a quell’ora in cui un velo scuro si distende sul mondo e fa perdere i colori a tutte le belle cose. Fu come dico, e non vi aggiungo nulla: io lo vidi, io lo so, ma ancora sono titubante a raccontarlo, perché questa cosa straordinaria somiglia più alla menzogna che alla verità. 
  55. Il cavaliere alato aveva coperto lo scudo che portava al braccio con un bel drappo di seta. Non so come mai avesse tanto a lungo atteso di tenerlo nascosto sotto quel velo, poiché, appena lo scoprì, chi lo guardò restò inevitabilmente abbacinato e cadde come corpo morto cade, e divenne prigioniero del negromante. 
  56. Lo scudo splende come una pietra preziosa e non esiste altra luce più intensa. Non potemmo evitare di cadere in terra, di fronte a quello splendore, con gli occhi abbacinati e privi di sensi. Anch’io, benché fossi lontano, persi i sensi, e dopo molto tempo finalmente mi rianimai. Non vidi più i guerrieri né quel nano, ma vidi il terreno vuoto, e scuri il monte e la vallata. 
  57. Per questo pensai che il mago avesse rapiti entrambi i guerrieri e tolto loro la libertà, grazie a quella luce intensa, e a me la speranza. Così, partendo, dissi addio a quel luogo, che teneva prigioniera la donna del mio cuore. Ora giudicate se un’altra pena peggiore, causata da Amore, può uguagliare la mia.-
  58. Esposte le vicende che l’avevano causato, il cavaliere come prima manifestò il suo dolore. Costui era il conte Pinabello, figlio di Anselmo d’Altaripa, della casata di Maganza, che tra quelli della sua scellerata stirpe non volle essere il solo leale e cortese, ma anzi nei vizi abominevoli e orrendi non solo uguagliò gli altri, ma li superò tutti.
  59. La bella donna con aspetto mutevole ascoltò in silenzio il Maganzese. Quando dapprima parlò di Ruggiero, il suo viso ebbe un’espressione molto lieta, ma poi quando apprese che era prigioniero, tutta si turbò di angoscia amorosa. E non si contentò che le tornasse a raccontare l’accaduto una o due volte. 
  60. Dopo che infine le sembrò di esserne bene informata, gli disse: -Cavaliere, stai sereno, perché il mio arrivo potrebbe ben esserti gradito e sembrarti fortunato questo giorno. Andiamo pure subito a quella sordida dimora, che ci tiene nascosto un così prezioso tesoro, e questa nostra fatica non sarà spesa invano, se la Fortuna non mi è troppo ostile.-
  61. Il cavaliere rispose: -Tu vuoi che io oltrepassi nuovamente i monti e che ti mostri la via? A me non pesa molto perdere i passi, avendo io perduto ogni altra mia cosa. Ma tu attraverso dirupi e rovinose montagne cerchi di entrare in prigione. E così sia. Non potrai lamentarti di me, perché io ti ho avvertito, e nonostante questo vuoi andarci.-
  62. Così egli disse, tornò dal suo destriero e si fece guida di quell’animosa guerriera, che per Ruggiero metteva se stessa in pericolo che quel mago la facesse prigioniera o la uccidesse. In quel momento ecco giungere dietro di loro il messaggero (che inseguiva Bradamante) che a tutta voce gridò: -Aspetta, aspetta!-. Il messaggero da cui Sacripante aveva appreso che era stata costei a stenderlo sull’erba.
  63. Il messaggero portò notizie a Bradamante di Mompolier e di Narbona, che avevano alzato le bandiere di Castiglia, alleandosi con Marsilio, assieme a tutto il litorale di Acquamorta. Inoltre Marsilia era in difficoltà, non essendovi lei che ne doveva curare la difesa, e le aveva inviato questo messaggero per chiederle consiglio e soccorso, raccomandandosi a lei. 
  64. Questa città e attorno per molte miglia il territorio della Provenza, che si estende dal fiume Varo al fiume Rodano, l’imperatore l’aveva affidato a Bradamante, figlia del duca Amon, in cui aveva speranza e fiducia, perché soleva contemplare stupefatto il suo valore, quando la vedeva combattere. Ora, come dicevo, quel messo era venuto da Marsilia per chiedere aiuto. 
  65. La giovane restò per un po’ incerta se tornare: da un lato l’onore e il dovere le stavano a cuore, dall’altro la incalzava l’amoroso fuoco. Si fermò allo scopo di proseguire l’impresa e di liberare Ruggiero dal castello incantato, e qualora il suo valore non potesse fare tanto, almeno di restare prigioniera al suo fianco. 
  66. Bradamante accampò ragioni tali che il messaggero sembrò contento e persuaso. Poi girò le briglie per riprendere il suo viaggio, mentre Pinabello parve poco contento, perché aveva appreso che costei era di quella casata che tanto odiava, apertamente e in segreto, e già immaginava le possibili conseguenze negative se ella lo avesse riconosciuto come membro della casata di Maganza.
  67. Tra la casata di Maganza e di Chiaramonte correva un antico odio e un’intensa ostilità, e più volte si erano scontrate, versando il loro sangue in grande abbondanza. Perciò in cuor suo il malvagio conte pensò di tradire l’incauta giovane, appena ne avesse avuto l’occasione, di lasciarla sola e di seguire un’altra strada. 
  68. L’odio innato, il dubbio sul da farsi e la paura gli assorbirono tanto la mente con fantasticherie, che inavvertitamente perse la strada, e si ritrovò in una selva oscura, nel mezzo della quale c’era un monte che culminava con una cima spoglia, di dura roccia. Bradamante gli era sempre dietro e non lo abbandonava mai.
  69. Quando il Maganzese fu nel bosco, penso di liberarsi della donna. Disse: -Prima che il cielo divenga più scuro, è meglio farsi strada verso una dimora. Oltre quel monte, che mi sembra di riconoscere, si trova giù nella valle un ricco castello. Tu aspettami qui, che io voglio accertarmene andando a vedere da quella roccia.- 
  70. Così dicendo, spinse il destriero verso la vetta dell’isolato monte, guardando intanto se potesse vedere una qualche via per la quale potesse farle perdere le proprie tracce. Ecco che sulla roccia trovò una caverna, che sprofondava per più di trenta braccia. La roccia, scavata a colpi di piccone e di scalpello, sprofondava a picco e aveva una porta sul fondo. 
  71. Sul fondo aveva un’enorme porta, che dava largo accesso a una stanza più grande. Fuori ne usciva una luce, come di una fiaccola che ardesse in mezzo alla grotta. Mentre il traditore stava lì in sospeso, silenzioso, la donna, che da lontano lo seguiva (perché temeva di perderne le tracce) lo raggiunse alla grotta. 
  72. Poiché vide andare a monte il suo originario progetto di togliersela dai piedi o di farla morire, al traditore venne in mente un nuovo, curioso stratagemma. Le andò incontro e la fece salire su fino alla grotta e le disse che in fondo ad essa aveva visto una donzella dal viso piacevole, che per il suo bell’aspetto e per la sua ricca veste sembrava essere di nobile condizione. 
  73. Tuttavia, sembrava essere lì rinchiusa contro la sua volontà, angosciata e triste quanto più si potesse immaginare. Disse che aveva iniziato a introdursi nella grotta, per accertarsi della sua condizione, ma che dalla zona più interna della grotta era uscito un uomo che l’aveva trascinata dentro a viva forza. 
  74. Bradamante, che tanto era coraggiosa, ma altrettanto era incauta, si fidò di Pinabello e desiderosa di soccorrere la donna pensò a come poter scendere laggiù. Volgendo gli occhi vide un lungo ramo sulla frondosa cima di un olmo. Con la spada subito lo troncò e lo fece scendere verso il fondo della grotta. 
  75. Poi lo affidò alle mani di Pinabello, dal lato dove era tagliato, e si afferrò ad esso: prima introdusse i piedi nella grotta, mentre si reggeva con le braccia in alto. Pinabello sorrise e le chiese come ella sapesse saltare, aprì le mani e la lasciò cadere, dicendole: -Fossero qui con te tutti i tuoi, ch’io ne potessi annichilire la stirpe!-
  76. La sorte della giovane innocente non fu quella che Pinabello desiderava, perché il ramo saldo e forte precipitò giù e per primo giunse a toccare il fondo della grotta. Certo si spezzò, ma sostenne Bradamante a sufficienza, trattenendola da un impatto più duro con la roccia, tanto da non farla morire. La donzella giacque molto stordita, come continuerò a narrarvi nel prossimo canto.

 

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