Gerusalemme liberata – Canto I

Tasso, Gerusalemme liberata

Torquato Tasso, Gerusalemme liberata, Canto I

Versione in italiano contemporaneo di Giorgio Baruzzi

Canto I – Gerusalemme Liberata – Testo originale

 

  1. Canto le imprese del devoto esercito cristiano e del condottiero che liberò il santo Sepolcro di Cristo. Molto egli operò, con il suo ingegno e con le sue imprese, molto patì per conseguire quella gloriosa conquista. Invano il diavolo vi si oppose, e invano si armarono i popoli d’Asia e d’Africa. Dio gli assicurò il suo favore ed egli ricondusse sotto le sante insegne i suoi compagni erranti.
  2. O celestiale Musa, tu che non ti circondi in Elicona la fronte di gloria caduca, ma su nel cielo tra i cori angelici hai una dorata corona di stelle immortali, ispira al mio animo divini ardori, rendi limpido il mio canto poetico, e perdona se intesso fregi al vero, se in parte adorno i miei scritti di piaceri diversi dai tuoi.
  3. Tu sai che gli uomini sono molto attratti dalle opere in cui il lusinghiero Parnaso più riversa le sue dolcezze, e che il vero, mescolato a dolci versi, ha persuaso i più restii allettandoli. Così porgiamo al fanciullo malato l’orlo del bicchiere cosparso di dolci sostanze: ingannato, egli beve una medicina amara, ma quell’inganno gli salva la vita.
  4. Tu, generoso Alfonso, che sottrai me, pellegrino errante, sbattuto e quasi sommerso dalle onde tra gli scogli, al furore della tempesta e che mi guidi in porto, accetta benevolmente questa mia opera, che quasi come un voto a te consacrato ti offro. Forse un giorno accadrà che la mia penna profetica osi scrivere di te quello che ora solo accenna.
  5. Se mai accadrà che il buon popolo cristiano ritrovi la concordia, e cerchi di riconquistare con navi e truppe di cavalleria al feroce Turco la grande e ingiusta preda del Santo Sepolcro, è certamente giusto che conceda a te la guida dell’esercito o, se preferisci, l’alto comando della flotta. Intanto ascolta i miei versi, emulo di Goffredo, e preparati alla guerra. 
  6. Già stava per giungere il sesto anno da quando l’esercito cristiano combatteva in Oriente per la magnanima impresa, e aveva già conquistato Nicea con impeto e Antiochia con astuzia. L’aveva poi difesa combattendo contro numerose schiere persiane e aveva espugnato Tortosa. Infine dovette fermarsi a causa dell’inverno e attendere il nuovo anno.
  7. Non era lontana ormai la fine di quel piovoso inverno, che aveva fatto cessare i combattimenti, quando Dio, dal suo alto trono, che è nella più pura parte del cielo, e quanto le stelle distano dal fondo dell’Inferno, di tanto è più su della sfera stellata, volse giù gli occhi e in un attimo, con un solo sguardo vide tutto quanto accadeva sulla terra.
  8. Vide tutto quel che accadeva, poi concentrò il suo sguardo in Siria, tra i cavalieri cristiani, e con quel suo sguardo che penetra nel profondo dei sentimenti umani, vide Goffredo determinato a cacciare gli empi pagani dalla città santa, Gerusalemme, che colmo di fede e di zelo sprezzava ogni gloria terrena, ogni potere, ogni ricchezza.
  9. Ma vede in Baldovino una mente cupida, che molto desidera le umane grandezze, vede Tancredi che sdegna la vita, tanto un suo vano amore lo fa soffrire e lo tormenta, e vede Boemondo intento a fondare il suo nuovo regno d’Antiochia su elevati principi, e a imporre leggi e a introdurre costumi e usanze e il culto del vero Dio.
  10. Lo vede tanto preso da tale pensiero, che sembra più non ricordi nessun’altra impresa. Scorge in Rinaldo un animo guerriero e un’indole insofferente al riposo. Non vede in lui cupidigia di ricchezze o di potere, ma brama smodata e ardente di onore. Lo vede mentre attento ascolta le parole di Guelfo e apprende antichi, luminosi esempi di virtù.
  11. Ma dopo che Dio ebbe scrutato i più intimi sentimenti di questi e di altri animi, chiamò a sé dagli splendenti cori angelici Gabriele, che tra gli arcangeli era il secondo. Gabriele è fedele interprete e nunzio di liete notizie, tra Dio e gli animi migliori. È latore sulla terra della volontà divina, e riporta a Dio le preghiere e la fede degli uomini.
  12. Dio disse al suo messaggero: “Trova Goffredo, e in nome mio digli: ‘Perché si attende? Perché non si riprende la guerra per liberare Gerusalemme oppressa?’ Convochi in consiglio i comandanti e smuova chi tarda all’alta impresa. Sia lui alla guida di essa. Io qui lo scelgo, e così faranno i suoi pari sulla terra: prima suoi compagni d’armi, ora ai suoi ordini nella guerra”.
  13. Così gli parlò, e Gabriele si accinse veloce ad eseguire gli ordini. Circondò d’aria il suo spirito invisibile e lo rese percepibile ai sensi umani. Assunse umane membra e umano aspetto, pur nobilitato da divina bellezza. Prese l’aspetto di un giovane adolescente e ornò di raggi i biondi capelli.
  14. Vestì ali bianche con le punte dorate, instancabilmente agili e veloci. Attraversò i venti e le nubi, e con esse si spinse in alto sopra la terra e sopra il mare. Così vestito, il messaggero celeste si diresse in basso verso le regioni della terra: prima si fermò sul monte Libano, poi si librò in aria sulle possenti ali.
  15. 15.Gabriele diresse poi il suo volo in basso, verso le spiagge di Tortosa . Il sole sorgeva dalle terre d’Oriente, in parte già sorto ma la più parte celato dalle onde. Goffredo offriva le sue preghiere mattutine a Dio, com’era sua consuetudine, quando insieme al sole, ma più splendente, l’angelo gli apparve da Oriente.
  16. 16.Gli disse: “Goffredo, ecco ormai giunta l’attesa stagione primaverile, adatta a combattere. Perché dunque indugiare ancora nel liberare Gerusalemme oppressa? Convoca subito a consiglio tutti i condottieri, sprona i più indolenti a compiere l’impresa. Dio ti ha già scelto come loro capo ed essi si sottoporranno volontariamente alla tua guida.
  17. Dio mi invia come messaggero: io ti rivelo a nome suo i suoi pensieri. Oh quanta speranza devi dunque avere di conseguire una grande vittoria, oh quanto impegno nel condurre l’esercito a te affidato!” Tacque, scomparve e ritornò in volo alle parti del cielo più elevate e più pure. Goffredo restò stupefatto dalle parole e abbagliato dalla luce folgorante.
  18. Dopo che si fu ripreso, e che ripensò all’arcangelo, a Dio che l’aveva inviato, a quel che gli aveva detto, se prima già desiderava, ora tutto arse del desiderio di mettere fine alla guerra per la quale era stato scelto come condottiero. Non che il vedersi da Dio anteposto agli altri gli gonfiasse il petto di ambizioso orgoglio, ma la sua volontà s’infiammò, ancor più determinata, per la volontà del suo Signore, come una fiammella dentro una fiamma.
  19. Dunque invitò gli eroici compagni, che non lontano erano sparsi, a riunirsi. Inviò una dopo l’altra numerose lettere e messaggeri, sempre unendo all’invito la preghiera. Sembrò capace di trovare l’argomento che alletta e sprona gli animi generosi e quello in grado di risvegliare la virtù sopita. Inoltre li propose in modo efficace, così da essere convincenti e graditi.
  20. Giunsero i condottieri, seguiti dalle loro schiere, e solo Boemondo non venne con gli altri. Una parte di essi si accampò fuori, mentre una parte fu ospitata attorno alle mura e dentro le case di Tortosa. I più importanti comandanti dell’esercito si riunirono (o glorioso consesso) in un giorno solenne. Qui il pio Goffredo si rivolse loro, severo in volto e con possente voce:
  21. “Guerrieri di Dio, che il Re del Cielo scelse per rimediare ai danni fatti alla sua fede, e che vi guidò e vi sorresse in guerra e in mezzo agli inganni della terra e del mare, tanto che abbiamo sottomesso in così pochi anni moltissime regioni ribelli, e fra le popolazioni sconfitte e domate abbiamo spiegate le sue vittoriose insegne e il suo nome,
  22. se il mio parere non erra, noi non lasciammo i dolci affetti e il paese natio, né mettemmo a rischio la nostra vita sull’infido mare e nei pericoli di una lontana guerra per guadagnare un’effimera fama terrena e per possedere terre popolate da barbari, poiché ci saremmo proposti un ben limitato e scarso premio, e a danno delle nostre anime per il sangue versato.
  23. Vero e unico scopo tra i nostri propositi fu quello di espugnare le nobili mura di Gerusalemme, e di sottrarre i cristiani all’indecoroso vincolo di una servitù così dura e insopportabile, fondando in Palestina un nuovo regno, dove la fede cristiana abbia una sede sicura, dove non ci sia chi neghi ai devoti pellegrini di adorare il gran sepolcro di Cristo e di adempiere ai voti.
  24. Dunque quel che abbiamo fatto finora quanto ai rischi e ai pericoli è molto, ben più di molto quanto alla fatica e all’affanno, poco quanto all’onore, nullo quanto allo scopo, qualora l’impeto del nostro esercito si arresti o sia volto in altra direzione. A che cosa gioverà l’avere raccolto dall’Europa un così grande esercito e portata la guerra in Asia, quando poi l’esito di un tale sforzo non sia creare nuovi regni ma rovine?
  25. Non costruisce edifici solidi chi vuole creare un impero su fondamenta mondane, ma piuttosto produce rovine, da cui sarà schiacciato e avrà solo costruito il suo sepolcro. Tanto più se ha con sé pochi compagni e per di più stranieri di fede e di patria, in mezzo a molti popoli pagani, né può sperare nell’aiuto di Costantinopoli e sono così lontani i rinforzi da Occidente.
  26. Turchi, Persiani, Antiochia (illustre e magnifica fama di nomi e di imprese) non furono certo opera nostra ma dono di Dio, e furono vittorie meravigliose. Ora, se venissero da noi dirette e volte in contrasto con quel fine che Dio ha disposto, temo che egli ce ne priverebbe e che quella così chiara fama diventerebbe favola derisoria tra le genti.
  27. Ah, non ci sia, per Dio, qualcuno che perda e disperda così graditi doni per un uso così sbagliato! A quei nobili inizi corrisponda il seguito e il compimento di tutta l’opera. Ora che veloci e senza ostacoli possiamo metterci in marcia, ora che la stagione ci è propizia, perché non corriamo a conquistare Gerusalemme, che è fine supremo di ogni nostra vittoria? Che cosa ce lo impedisce ormai?
  28. Principi, io vi dichiaro solennemente (e quanto dichiaro l’udrà il mondo di oggi e quello del futuro, lo odono ora su in cielo anche Dio e la sua santa corte): il tempo per compiere l’impresa è ormai maturo; diviene sempre meno opportuno che si indugi, perché indugiando l’esito dello scontro diverrà molto incerto mentre ora è sicuro. Prevedo che, se il nostro procedere sarà lento, i Palestinesi avranno il soccorso dell’Egitto.
  29. Questo disse, e alle sue parole seguì un sommesso mormorio, ma poi si levò Pietro l’eremita, che sedeva da solo nel consesso dei principi, il primo che aveva esortato alla grande impresa: “Quel che Goffredo vi esorta a fare  lo consiglio anch’io, e non lascia spazio al dubbio, a tal punto è vero e di per sé evidente: egli lo ha dimostrato a lungo, e voi dovete approvarlo. Io solo questo vi dico:
  30. se ben ricordo le liti e le offese da voi fatte e subite quasi a gara, le opinioni contrastanti e le azioni militari non intraprese o interrotte a metà, riconduco la ragione di ogni indugio e di ogni lite alla loro vera causa, a quell’autorità che è suddivisa, quasi con lo stesso peso, tra molti capitani con opinioni divergenti.
  31. Dove non c’è un unico comando, dal cui giudizio derivino poi i premi e le punizioni, da cui siano suddivisi i compiti e le cariche, accade inevitabilmente che il governo sia instabile. Suvvia! Create un corpo solo da membra amiche, create un capo che guidi e tenga gli altri sotto controllo, date a uno solo il regno e il potere, che abbia l’incarico e l’autorevolezza di un re”.
  32. A quel punto il vecchio eremita tacque. Quali pensieri, quali animi sono chiusi a te, Spirito Santo, che infondi  sapienza e ardore? Tu ispiri le parole dell’eremita, tu le fai penetrare nel cuore dei cavalieri, tu allontani i desideri che s’insinuano nell’animo umano, anzi che gli sono propri, di dominio, di libertà, di onore, sicché Guglielmo e Guelfo, i più elevati tra i capitani, per primi proclamarono Goffredo loro comandante in capo.
  33. Gli altri approvarono: compiti di Goffredo sarebbero stati quelli di prendere le decisioni e di comandare l’esercito. Imponga ai vinti le leggi, secondo il suo giudizio, muova guerra quando vuole e a chi vuole. Gli altri cavalieri, prima suoi pari, siano ora ubbidienti esecutori dei suoi ordini. Deciso questo, velocemente se ne diffuse la notizia di bocca in bocca.
  34. Goffredo si mostrò ai soldati, e sembrò loro ben degno dell’elevata posizione di comando che gli avevano dato, e accolse i saluti e il militare applauso, sereno e tranquillo in volto. Dopo che ebbe risposto alle dimostrazioni umili e affettuose di amore e obbedienza, ordinò che il giorno seguente in un vasto campo si mostrasse a lui tutto l’esercito schierato.
  35. Il sole sorgeva di nuovo a oriente, sereno e luminoso più del solito, quando ogni guerriero armato si schierò sotto le bandiere, alla radiosa luce del nuovo giorno, mostrandosi quanto più poteva bene adorno al pio Goffredo, marciando per il largo campo. Egli si era fermato, e si vide sfilare davanti, in distinte schiere, i cavalieri e i fanti.
  36. Memoria, nemica del passare del tempo e dell’oblio, che custodisci e tramandi le storie, mi aiuti la tua forza, affinché io possa nominare tutti i condottieri e le schiere di quell’esercito. Risuoni e risplenda la loro antica fama, annichilita ormai dal trascorrere del tempo. Traendolo dai tuoi tesori, possa la mia poesia celebrare ciò che ogni età futura ascolterà e nulla possa farlo dimenticare.
  37. Per primi sfilarono i Franchi: loro capitano era di solito Ugone, fratello del re. Nell’Isola di Francia, ampio e bel territorio, furono scelti, fra quattro fiumi. Dopo che Ugone morì, il forte drappello proseguì sotto l’insegna di Francia comandata da Clotareo, valente capitano, al quale se qualcosa mancava era solo l’origine regale.
  38. Erano mille, con pesantissime armature. Erano altrettanti i cavalieri che seguivano, identici ai primi per disciplina, forza, armature e aspetto. Tutti Normanni, comandati da Roberto, che era principe per nascita di quelle genti. Poi due vescovi schierarono le loro truppe, Guglielmo e Ademaro.
  39. L’uno e l’altro di loro, che in precedenza avevano svolto ruoli e compiti religiosi, ora, comprimendo sotto l’elmo le lunghe chiome, esercitavano l’arte crudele delle armi. Il primo aveva scelto quattrocento guerrieri dalla città di Orange e dalle zone circostanti, mentre l’altro ne conduceva in guerra altrettanti, non meno valenti con le armi, dalla città di Poggio.
  40. Si vide poi Baldovino presentarsi alla rassegna con i suoi Bolognesi, quelli di suo fratello, poiché il pio Goffredo gli cedeva le sue truppe, ora che era a capo di tutto l’esercito. Seguiva poi il conte di Carnuti, autorevole nel proporre strategie e abile nell’uso delle armi. Lo seguivano quattrocento cavalieri, e tre volte tanti ne conduceva Baldovino in sella armati.
  41. Occupava lo spazio a loro vicino Guelfo, uomo la cui virtù eguagliava la sua nobiltà. Contava costui da parte di padre, italiano, una lunga e sicura discendenza da avi estensi. Ma tedesco di nome e di domini, apparteneva alla gran casa dei Guelfi: governava la Carinzia, e presso il Danubio e il Reno le zone che prima erano degli Svevi e dei Reti.
  42. A questa, che era l’eredità materna, aggiunse conquiste gloriose e grandi. Da quei territori conduceva schiere che irridevano il pericolo di andare incontro alla morte, quando fosse lui a guidarle, che erano solite alleviare il freddo inverno in caldi alloggi, e celebrare i banchetti con festosi brindisi. Erano cinquemila alla partenza, e appena un terzo ne conduceva ora qui, dopo la battaglia contro i Persiani.
  43. Seguivano i Fiamminghi, dalla pelle bianca e dai capelli biondi, che vivono in una regione tra la Francia, la Germania e il mare, dove la Mosa e il Reno esondano, terra ricca di colture e di allevamenti. Poi i Frisoni, che difendono le proprie terre dall’oceano vorace con alte dighe, quell’oceano che inghiotte non solo beni e imbarcazioni ma persino intere città e regni.
  44. Gli uni e gli altri erano un migliaio, tutti sotto il comando di un altro Roberto. Molto più numerose erano le truppe britanniche. Guglielmo, il figlio minore del re, le guidava. Gli Inglesi erano arcieri, ed erano accompagnati da reparti provenienti dalle regioni più a Nord. Questi irsuti guerrieri venivano dalle grandi foreste dell’estrema Irlanda, lontana dal mondo.
  45. Veniva poi Tancredi, e non c’era nessuno come lui fra tanti (tranne Rinaldo) più abile nel combattere, o più bello di modi e di aspetto, o di animo più nobile e coraggioso. Se l’ombra di qualche colpa rendeva meno luminose le sue gloriose imprese, era solo per follia amorosa: un amore nato, per un fuggevole sguardo, mentre combatteva, che si nutriva di sofferenze e che da esse traeva vigore.
  46. Si narra che quel giorno glorioso in cui i Franchi misero in rotta i Persiani, dopo che Tancredi, alla fine vittorioso, fu stanco di inseguire i fuggitivi, cercò refrigerio all’ardente sete e riposo al corpo affaticato. Giunse presso una rigogliosa fonte, circondata da rive verdeggianti, che lo invitò a riposare alla fresca ombra estiva.
  47. Qui, all’improvviso, gli apparve una donzella, rivestita completamente dall’armatura tranne in viso: era pagana, e anche lei era venuta lì per ristorarsi. Egli ben la guardò e ne ammirò il bell’aspetto, gli piacque molto e ne arse d’amore. Oh meraviglia! Amore, appena nato, già grande vola, e già trionfa armato.
  48. Ella si rimise l’elmo, e se non fosse stato che altri stavano giungendo lì, di certo l’avrebbe assalito. La donna si allontanò da Tancredi, vinto d’amore, solo perché costretta da necessità. Ma l’immagine sua, bella e combattiva, lui serbò tale nel suo cuore, come se fosse presente. Sempre erano nei suoi pensieri le fattezze di lei e il luogo in cui l’aveva vista, alimento continuo all’amoroso fuoco.
  49. Chi lo guardasse con attenzione in volto poteva leggervi: “Costui brucia d’amore, senza speranza”. Così andava sospirando, così stava con gli occhi volti a terra e pieni di tristezza. Gli ottocento cavalieri al suo comando venivano dalle ridenti terre della Campania, massimo vanto della natura, e dai fertili e dolci colli che il Tirreno vagheggia.
  50. Seguivano poi duecento guerrieri nati in Grecia, che erano quasi privi di armature, che portavano a uno dei fianchi curve scimitarre e sulle loro schiene risuonavano faretre e archi. Cavalcavano snelli cavalli addestrati al galoppo, mai vinti dalla fatica e che mangiavano poco. Erano rapidi nel dare l’assalto, nel ritirarsi e combattevano anche nella fuga, mentre si muovevano in ordine sparso.
  51. Tatino ne guidava le schiere, e vi fu solo lui che, pur greco, accompagnò l’esercito d’occidente. Oh vergogna! Oh grave delitto! Non hai forse avuto tu, Grecia, quelle guerre a te vicine? Eppure assistesti inerte, quasi come a uno spettacolo, aspettando passiva la conclusione di quelle grandi imprese. Ora, se tu sei ridotta a vile serva, la tua servitù (non ti lagnare) è atto di giustizia, non oltraggio.
  52. Ecco poi giungere l’ultima schiera della rassegna, prima però per onore, valore e destrezza. Vi erano qui i cavalieri di ventura, eroi invincibili, terrore dell’Asia e fulmini di Marte. Taccia Argo le imprese dei Mini, taccia Artù le gesta dei suoi cavalieri erranti, che di incredibili vicende riempiono i libri, perché dopo questi cavalieri ogni antico racconto sfigura. Ora, quale condottiero era degno di loro?
  53. Dudone di Consa era il loro capitano, e poiché era difficile valutare chi fosse migliore per discendenza e per valore, gli altri concordarono di sottostare al suo comando, perché più cose aveva fatte e più vedute. Egli era uomo saggio e maturo, che mostrava un ardore giovanile nonostante i bianchi capelli, che mostrava, quasi come segni degni del suo onore, le cicatrici di gloriose ferite.
  54. Eustazio era poi tra i più valorosi, i cui pregi lo rendevano illustre, e ancor più il fratello Goffredo. Gernando vi era, nato da re norvegesi, che vantava scettri, titoli nobiliari e corone. L’antica fama poneva Ruggiero di Balnavilla ed Engerlan fra i migliori. Sono celebrati tra i più prodi un Gentonio, un Rambaldo e due Gherardi.
  55. Fra i degni di lode vi sono anche Ubaldo, e Rosmondo, erede del gran ducato di Lancaster. Non accadrà che chi dalle memorie trae avari ricordi dimentichi il toscano Obizzo, né che sottragga alla fama i tre fratelli lombardi Achille, Sforza e Palamede, o il prode Ottone, che conquistò lo scudo su cui compare un fanciullo nudo che esce dalla bocca di un serpente.
  56. Non tralascio Guasco né Ridolfo, né l’uno né l’altro Guido, entrambi famosi, non lascio ingiustamente nascosti sotto silenzio Eberardo e Gerniero. Dove mi conducete, Gildippe e Odoardo, amanti e sposi, me che sono già stanco di elencare? Anche nella guerra siete consorti, e non sarete disgiunti neppur da morti.
  57. Che cosa non si apprende dagli insegnamenti d’amore? Qui costei divenne una coraggiosa guerriera: va sempre a fianco del suo amato, e la vita dell’uno e dell’altra è legata a un medesimo destino. Non cala colpo che colpisca uno solo dei due, ed è comune il dolore di ogni ferita. Spesso quando l’uno è ferito l’altro sta male e si lamenta, se questa versa sangue, quello piange versando fuori l’anima.
  58. Ora vedresti il giovane Rinaldo levare il regale volto, dolcemente feroce, sopra quest’ultima schiera e su tutto l’esercito presente alla rassegna, e tutti fissare lo sguardo su di lui. Precorse l’età e le promettenti speranze, e precoci sembravano i fiori quando già ne uscirono i frutti. Se lo guardi sferrare micidiali colpi con le armi ti sembra Marte. Amore ti sembra, se scopre il volto.
  59. Nelle terre bagnate dall’Adige da Bertoldo lo generò Sofia, Sofia la bella da Bertoldo il possente. Ancora bambino, quasi prima che fosse svezzato, Matilde lo volle, lo nutrì e lo educò alle regole della vita politica e dell’amministrazione regia. Restò sempre con lei, fin quando la fama delle imprese d’oriente non invaghì la sua giovane mente.
  60. A quel punto (non aveva neppure compiuto quindici anni) fuggì da solo, percorse strade ignote, attraversò l’Egeo, oltrepassò le coste della Grecia, raggiunse l’esercito crociato in regioni lontane. Nobilissima fuga, e ben degna di essere imitata da qualche suo discendente d’animo nobile e generoso. Da tre anni era in guerra, e intempestiva gli usciva appena dal mento una leggera peluria.
  61. Sfilati i cavalieri, giunsero in rassegna i fanti, e c’era Raimondo davanti a loro. Governava Tolosa, e aveva scelto i suoi soldati in Guascogna, tra i Pirenei, il fiume Garonne e l’Oceano Atlantico. Erano quattromila, ben armati e ben addestrati, abituati a sopportare i disagi. Erano uomini valorosi, e non avrebbero potuto essere comandati da un condottiero più esperto o più valoroso.
  62. Stefano d’Amboise, di Blois e Tours conduceva in guerra cinquemila soldati. Non erano uomini robusti o abituati alle fatiche, sebbene indossassero armature splendenti. Quella terra dal clima mite, fertile e piacevole rende i suoi abitanti simili a sé. Nei primi scontri delle battaglie mettono molto impeto, che però poi presto si estingue e viene respinto.
  63. Alcasto sfilò per terzo, con il volto minaccioso, come già Capaneo presso Tebe: aveva arruolato dai borghi alpini seimila Svizzeri, popolo audace e combattivo, che ha convertito in nuove forme e per opere più degne il ferro usato per arare e lavorare la terra. E con la mano che custodì selvatiche greggi, sembra che non abbia alcun timore di sfidare regni.
  64. Vicino si vedeva poi passare dispiegato il gran vessillo papale, con il diadema di Pietro e con le chiavi. Qui il valoroso Camillo guidava settemila fanti, con le armature rilucenti e pesanti, lieto che Dio l’avesse prescelto per una tale impresa, nella quale poter far rinascere l’antica gloria dei suoi antenati o almeno mostrare che alla virtù italica nulla mancava, o mancava solo la disciplina militare.
  65. Tutti i reparti erano ormai passati con bella mostra di sé, e questo fu l’ultimo, quando Goffredo convocò i più importanti capitani e rese loro manifesto il suo pensiero: “Appena domani sorgerà l’alba del nuovo giorno, voglio che l’esercito si muova agile e veloce, così da giungere a Gerusalemme quanto più è possibile inaspettato.
  66. Preparatevi dunque al viaggio, alla battaglia e, infine, alla vittoria”. Quest’animoso discorso, di un uomo così saggio, tutti li sprono e diede loro forza e coraggio. Tutti furono pronti a muoversi al primo sorgere del sole, impazienti nell’attesa dell’aurora. Il saggio Goffredo non era però senza timore, benché lo tenesse nascosto nel cuore.
  67. Aveva infatti appreso alcune notizie secondo le quali il re d’Egitto si sarebbe già messo sulla strada verso Gaza, fortezza bella e possente, per fronteggiare i regni di Siria. Non poteva credere che quell’uomo, sempre avvezzo a temerarie imprese, ora se ne stesse tranquillo e in ozio.  Perciò, attendendosi invece di averlo come tenace nemico, così parlò al suo fedele messaggero Enrico:
  68. “Voglio che tu faccia rotta, con una veloce saettia in terra greca. Qui doveva giungere un giovane principe dall’animo indomito, che viene per combattere al nostro fianco (così mi ha scritto un tale che mai sbaglia nel fornire informazioni). È principe dei Danesi, e conduce un grande stuolo di guerrieri, fin dai paesi che si trovano vicini al polo.
  69. Ma poiché l’inaffidabile imperatore greco con lui forse farà uso delle consuete arti dell’inganno e della dissimulazione, per far sì che o torni indietro o volga il suo coraggioso viaggio verso regioni lontane da noi, tu, mio messaggero, tu, mio verace consigliere, a nome mio convincilo a fare il nostro e il suo bene, e digli che venga presto, perché ogni indugio sarebbe indegno di lui.
  70. Tu non venire con lui, ma resta presso l’imperatore per chiedergli il supporto militare che già più volte ci ha promesso e che per accordi intercorsi ci è dovuto”. Così disse e lo istruì sul da farsi. Dopo aver preso le lettere credenziali e di saluto, il messaggero si congedò, partendo in fretta, e le preoccupazioni di Goffredo ebbero tregua.
  71. Il giorno seguente, quando all’alba il sole apparve dalle dischiuse porte del luminoso oriente, si udì un suono di trombe e di tamburi, che sollecitò ogni guerriero a mettersi in marcia. Non è così gradito nei caldi giorni estivi il tuono che al mondo porta speranza di pioggia, come fu gradito a quegli animosi guerrieri il superbo suono dei bellici strumenti musicali.
  72. Presto ciascuno, spronato da bruciante desiderio, indossò la solita armatura e presto apparve vestito di tutto punto, presto ogni uomo si radunò presso il proprio comandante, e il ben ordinato esercito schierato spiegò al vento tutte le sue bandiere. Sul grande vessillo imperiale sventolava nel cielo la trionfante croce di Cristo.
  73. Intanto il sole, che sempre più si espandeva in cielo e saliva in alto, colpì le armature con la sua luce e ne suscitò bagliori e lampi vibranti e bianchi, con cui abbagliava gli occhi. Sembrava che l’aria attorno avvampasse di bagliori, e risplendeva come per un grande incendio. Il risuonare delle armi si accordava con i fieri nitriti dei cavalli, e assordava la campagna.
  74. Goffredo, che desiderava proteggere le sue truppe dalle imboscate dei nemici, inviò qua e là molti soldati a cavallo con armatura leggera, per esplorare il paese. Prima aveva inviato i guastatori, che dovevano agevolare il cammino, colmare gli avvallamenti del terreno, spianare i tratti in salita e aprire i passaggi chiusi.
  75. Non vi era alcun esercito pagano unito in difesa, non muro circondato da un profondo fossato, non un grande torrente, un roccioso monte o una folta foresta che potesse fermare il loro viaggio. Così talvolta il Po, re dei fiumi, quando, prepotente oltre misura ingrossa, scorre rovinoso, travolge le sponde e non c’è nulla che gli si possa opporre.
  76. Solo l’emiro di Tripoli di Siria, che raccoglieva truppe, ricchezze e armi dentro ben difese mura, forse avrebbe rallentato il cammino delle schiere franche, ma non osò sfidarle in guerra. Dopo averle ammansite con l’invio di  messaggeri e di doni, le accolse volontariamente dentro la sua città e accettò le condizioni di pace imposte dal pio Goffredo. 
  77. Qui, dal monte Seir, che da oriente sovrasta con la sua altezza la città, una gran folla di fedeli, di ogni sesso ed età, scese a valle: portarono i loro doni al comandante cristiano vincitore, godevano nel guardarlo e nel parlare con lui, si stupivano delle insolite armi che aveva. Goffredo ottenne da loro una guida, disponibile e fidata.
  78. Egli condusse l’esercito per diritte strade in prossimità del mare, ben sapendo che la flotta cristiana navigava vicino alla costa. La flotta poteva rifornire l’esercito cristiano in abbondanza degli armamenti necessari, e fare in modo che ogni isola greca mietesse le sue biade e la rocciosa Scio e Creta vendemmiassero le loro uve solo per esso.
  79. Il vicino mare soffriva sotto il peso delle grandi navi e di quelle più piccole, tanto che non vi era ormai una rotta sicura, nel mar Mediterraneo, per i Saraceni. Infatti, oltre alla flotta armata da Genova e da Venezia nei loro rispettivi territori, mandavano altre navi l’Inghilterra, la Francia, l’Olanda e la fertile Sicilia.
  80. Queste flotte, che erano unite da saldissimi vincoli per un medesimo scopo, in diversi paesi avevano caricato e si erano procurate ciò che serviva alle truppe di terra. Queste, trovando aperti e non difesi i passaggi di frontiera nemici, con una marcia velocissima andarono verso Gerusalemme, là dove Cristo patì atroci e mortali sofferenze.
  81. La fama, apportatrice delle notizie vere e di quelle false, preannunciò che l’esercito cristiano, felice per le vittorie, si era già riunito e messo in marcia, e che nessuno lo rallentava. Essa diceva quante e quali fossero le schiere, riferiva il nome e descriveva il valore dei più valorosi, narrava le loro imprese, e con aspetto terribile minacciava gli usurpatori di Gerusalemme.
  82. L’attesa del male è un male peggiore, forse, di quel che non parrebbe il male presente. Ad ogni voce anche incerta, tutti ascoltavano con attenzione e preoccupazione. Confuse dicerie attraversavano, all’interno e fuori, il territorio pagano e Gerusalemme, città dolente. Ma il vecchio re, di fronte ai pericoli ormai vicini, meditava nell’animo dubbioso feroci propositi.
  83. Aladino si chiamava il re che, da poco signore di quel regno, viveva in costante preoccupazione: uomo crudele in gioventù, l’età matura aveva tuttavia in parte mitigato la sua indole feroce. Egli, che aveva saputo del proposito dei Crociati di assalire le mura della sua città, aggiungeva nuovi timori a quelli che già aveva, e temeva i nemici ma anche i suoi sudditi.
  84. Infatti, dentro una sola città conviveva un popolo di religioni diverse: la parte più debole e minoritaria era cristiana; la più numerosa e forte credeva in Maometto. Quando Aladino aveva conquistato Gerusalemme e cercato di stanziarsi stabilmente lì, aveva ridotto le tasse ai sudditi mussulmani mentre ne aveva imposte di più pesanti ai miseri cristiani.
  85. Il timore di una possibile ribellione dei cristiani, irritando la sua originaria ferocia, che sopita dagli anni si era molto attenuata, la inasprì e la ravvivò così che ora era più che mai assetata di sangue. Così feroce torna ad essere quello che nel gelo invernale sembrava un innocuo serpente, così il leone addomesticato recupera il suo innato furore se qualcuno lo provoca.
  86. Aladino diceva: “Vedo evidenti segni di una nuova, intima gioia in questa massa infida di infedeli. La comune rovina della città solo a costoro porta vantaggio, solo nella tragedia comune sembra che essi gioiscano. Forse ora tramano insidie e tradimenti, rimuginando fra sé su come potermi uccidere, o su come poter nascostamente aprire le porte della città ai miei nemici, che sono gente della loro stessa fede.
  87. Ma non lo faranno: saprò prevenire questi infami propositi, e su di loro sfogherò tutta la mia rabbia. Li ucciderò, ne farò crudele strage, sgozzerò i figli in seno alle loro madri, brucerò le loro case insieme alle loro chiese. Questi saranno i roghi dovuti ai morti. E su quel loro sepolcro per primi scannerò i sacerdoti mentre celebrano i loro riti”.
  88. Così il crudele re ragionava in cuor suo, tuttavia non diede seguito a un pensiero così malvagio. Ma se risparmiò quegli innocenti, questo non accadde per misericordia ma per viltà. Infatti, se la paura di complotti lo spronava a incrudelire, lo trattenne con più forza un altro timore, quello di precludersi così la via per possibili accordi, e di irritare troppo l’esercito crociato vincitore.
  89. Quindi lo scellerato moderò la folle rabbia, pur tuttavia cercava altrove dove poterla sfogare. Abbatté e rase al suolo le fattorie, diede in preda alle fiamme i campi coltivati: non lasciò alcun luogo integro o sano dove l’esercito crociato potesse procurarsi cibo e accamparsi. Inquinò le fonti e i corsi d’acqua, immise nelle acque pure veleni mortali.
  90. Fu spietatamente cauto, e frattanto non dimenticò di rinforzare le difese di Gerusalemme. Prima erano molto forti su tre lati, mentre solo verso Nord erano molto meno sicure. Fin dai primi timori aveva protetto con alte mura il suo lato meno forte, e vi aveva raccolto in fretta una gran quantità di mercenari e di sudditi.

 

/ 5
Grazie per aver votato!

Print Friendly, PDF & Email

Copyright © 2024 giorgiobaruzzi. All Rights Reserved.