Perché la guerra? (Warum Krieg?)

Perché la guerra? (Warum Krieg?)

di Patrizia Soffritti

Testo di riferimento S, Freud, Il disagio della civiltà e altri saggi, ed. Boringhieri 1973

 

Nel 1931 un comitato delle Società delle Nazioni invitò l’Istituto internazionale di cooperazione intellettuale a farsi promotore di uno scambio di lettere tra gli esponenti rappresentativi della vita intellettuale dell’epoca. I temi scelti dovevano essere atti a servire gli interessi generali della società delle nazioni e della vita intellettuale. Tra i primi ad essere interpellato fu A. Einstein, che fece il nome di Freud. 

Posdam, luglio 1932 Lettera di Einstein a Freud (d’ora in poi chiamati E. e F.)

Domanda 1 “… le pongo una domanda che appare, nella presente condizione del mondo, la più urgente fra tutte quelle che si pongono alla civiltà. C’è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra? E’ ormai risaputo che, col progredire della scienza moderna, rispondere a questa domanda è divenuto una questione di vita o di morte per la civiltà da noi conosciuta, eppure, nonostante tutta la buona volontà, nessun tentativo di soluzione è purtroppo approdato a qualcosa…

E. pensa che sarebbe auspicabile “che gli Stati creino un’ autorità legislativa e giudiziaria col mandato di comporre tutti i conflitti che sorgano tra loro. (…) L’insuccesso degli sforzi volti nell’ultimo decennio a questa meta ci fa concludere senz’ombra di dubbio che qui operino forti fattori psicologici che paralizzano gli sforzi. Alcuni di questi fattori sono evidenti. La sete di potere della classe dominante è in ogni stato contraria a qualsiasi limitazione della sovranità nazionale. Questo smodato desiderio di potere politico si accorda alle mire di quegli altri che cercano solo vantaggi mercenari, economici. Penso soprattutto al piccolo ma deciso gruppo di coloro che, attivi in ogni Stato e indifferenti di fronte a considerazioni e limitazioni sociali, vedono nella guerra, cioè nella fabbricazione e vendita di armi, soltanto un’occasione per promuovere i loro interessi personali e ampliare la loro autorità personale” (op. cit. p. 284).

Domanda 2 “ Com’è possibile che la minoranza ora menzionata riesca ad asservire alle proprie cupidigie la massa del popolo, che da una guerra ha solo da soffrire e perdere?”

E. suggerisce che forse la risposta è che la minoranza “al potere ha in mano prima di tutto la scuola e la stampa, e perlopiù anche le organizzazioni religiose. Ciò le consente di organizzare e sviare i sentimenti delle masse, rendendoli strumenti della propria politica.” (ibidem, p. 285)

Domanda 3 “Com’è possibile che la massa si lasci infiammare con i mezzi suddetti fino al furore e all’olocausto di sé?” E. fornisce una risposta “ “Perché l’uomo ha dentro di sé il piacere di odiare e di distruggere. In tempi normali la sua passione rimane latente, ma è abbastanza facile attizzarla e portarla alle altezze di una psicosi collettiva” (ibidem).

Domanda 4 “Vi è una possibilità di dirigere l’evoluzione psichica degli uomini in modo che diventino capaci di resistere alle psicosi dell’odio e della distruzione?

Risposta di Freud, Vienna, settembre 1932

Risposta alla domanda 1 “ …No, , è testimoniato dalla storia, e “l’ unica conseguenza di tutti questi sforzi bellici fu che l’umanità ebbe, invece di continue guerricciole, grandi guerre, tanto più devastatrici quanto meno frequenti.   Per quanto riguarda la nostra epoca … una prevenzione sicura della guerra è possibile solo se gli uomini si accordano per costituire un’autorità centrale,al cui verdetto vengano deferiti tutti i conflitti d’interessi. (ibidem p. 291) Ma F. fa ben notare che “la Società delle nazioni non dispone di una forza propria”. Inoltre detta Società “è il tentativo di acquisire mediante il richiamo a determinati principi ideali l’autorità (cioè l’influenza coercitiva) che di solito si basa sulla forza. … Le cose che tengono insieme una comunità sono due: la coercizione violenta e i legami emotivi fra i suoi membri (in termini tecnici, identificazioni). Se manca uno dei due fattori può darsi che l’altro mantenga unita la comunità. …Ma il tentativo di sostituire la forza reale con la forza delle idee sembra sia per il momento votato all’insuccesso” ( pp. 292-3).

Risposta alla domanda 2 e 3 . “Lei si meraviglia che sia tanto facile infiammare gli uomini alla guerra, e presume che in loro ci sia effettivamente qualcosa, una pulsione all’odio e alla distruzione che è pronta ad accogliere un’istigazione siffatta” A questo punto F. espone la sua teoria delle pulsioni (cfr, p. 293 e sgg) “Noi presumiamo che le pulsioni dell’uomo siano soltanto di due specie,

a) quelle che tendono a conservare a e a unire (da noi chiamate sia erotiche, nel senso di eros nel Simposio di Platone, che sessuali, con estensione voluta del concetto popolare di sessualità,

b) quelle che tendono a distruggere e a uccidere; queste ultime le comprendiamo tutte nella denominazione di pulsione aggressiva e distruttiva” (ibidem).

Per F. entrambe le pulsioni sono indispensabili e “quasi mai una pulsione di un tipo può agire isolatamente”.

La pulsione di morte può indirizzarsi verso l’esterno o verso l’interno:

Quando si rivolge verso l’esterno diventa distruttiva “l’essere vivente protegge la propria vita distruggendone una estranea” (p. 295) e “ il volgersi di queste forze pulsionali verso l’esterno scarica l’essere vivente e non può non avere un effetto benefico”( ibidem).

F. pertanto conclude dicendo che “ ricaviamo ai fini della presente discussione che non c’è speranza nel voler sopprimere le tendenze aggressive degli uomini” (ibidem).

Risposta alla domanda 4 “ Se la propensione alla guerra è un prodotto della pulsione distruttiva, contro di essa è ovvio ricorrere all’antagonista di questa pulsione : l’Eros. Tutto ciò che fa sorgere legami emotivi tra gli uomini deve agire contro la guerra. Questi legami possono essere di due specie:

a) relazioni con un oggetto amoroso, anche se prive di meta sessuale(es. la religione dice la stessa cosa “Ama il prossimo tuo come te stesso”)

b) legame emotivo per identificazione. Tutto ciò che provoca solidarietà significative tra gli uomini risveglia sentimenti comuni di questo genere, le identificazioni. Su di esse riposa in buona parte l’assetto della società umana” (cfr., p. 296). 

C’ è un secondo metodo per combattere la tendenza bellicosa: “Fa parte dell’innata e ineliminabile disuguaglianza fra gli uomini la loro distinzione in capi e seguaci. (…) si dovrebbero dedicare maggiori cure… all’educazione di una categoria superiore di persone indipendenti di pensiero, inaccessibili alle intimidazioni e cultrici della verità, alle quali spetterebbe la guida delle masse prive di autonomia” (cfr. 295).

Per evitare in futuro la guerra F. suggerisce: “La condizione ideale sarebbe naturalmente una comunità umana che avesse assoggettato la sua vita pulsionale alla dittatura della ragione. Nient’altro potrebbe produrre un’unione tra gli uomini così perfetta e così tenace, persino in assenza di legami emotivi fra loro. Ma secondo ogni probabilità questa è una speranza utopistica. Le altre vie per impedire indirettamente la guerra sono certo più praticabili, ma non promettono alcun rapido successo. E’ triste pensare a mulini che macinano così adagio che la gente muore di fame prima di ricevere la farina (cfr. pp. 296-7).

Questo riassunto non pretende affatto di esporre tutta la ricchezza di contenuto che soltanto la lettura del testo integrale può fornire. Vuole essere solo una sintesi.

Patrizia Soffritti

 

 

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