Coleridge, La ballata del vecchio marinaio (Parte terza)

ballata

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Samuel Taylor Coleridge, La ballata del vecchio marinaio

 

Parte terza

Tempo grave. La gola era bruciata

e l’occhio di ciascuno fatto vitreo.

Un tempo grave fu, un tempo grave!

Come vitreo a ciascuno l’occhio grave

quando, volto a ponente, all’improvviso

vidi alcunché nel cielo.

Il vecchio marinaio vede un segno nel cielo lontano.

Parve alla prima una minuta macchia,

poi apparve come un velo;

e muoveva e muoveva e prese infine

una forma sicura contro il cielo.

Una macchia, una nebbia, una figura,

e sempre più vicino, più vicino:

come a eludere un fantasma marino

si tuffava, virava, bordeggiava.

Mentre s’avvicina, gli pare un vascello; e a caro prezzo scioglie la  lingua dall’intoppo dell’arsura.

Con la gola assetata e le arse labbra

non potevamo ridere né piangere,

ma per l’arsura stemmo tutti muti!

E io mi morsi il labbro e succhiai sangue,

e gridai: “Una vela, una vela!”

Un lampo di gioia;

Con la gola assetata e le arse labbra,

a bocca aperta udirono il mio grido:

“Sia lode al cielo!” dissero in un ghigno,

e tutti insieme inalano il respiro

quasi stessero bevendo.

E segue l’orrore. Perché, può essere un vascello questo che viene senza vento né corrente?

“Su, guardate,” gridai, “non vira più!

Viene al nostro soccorso;

senza un filo di vento o di corrente

la chiglia dritta qua dirige il corso.”

Tutta una fiamma l’onda occidentale.

Il giorno era già quasi tramontato!

Quasi a fiore dell’onda occidentale

stava sospeso un gran lucido sole;

quando la strana forma si frappose

a un tratto fra noi e il sole.

Gli pare che non sia altro che lo scheletro di una nave.

Subito il sole si rigò di sbarre

(che la Madre del cielo ci dia grazia!),

come se prigioniero da una grata

spiasse con la grande ardente faccia.

E i tuoi fianchi si vedono come sbarre sulla faccia del sole calante.

Ahimè! (pensavo, e il cuore sussultava)

come lesta si fa sempre più avanti!

Son quelle le sue vele lustre al sole

come ragne vibranti?

La Donna-spettro e lo Scheletro e nessun altro a bordo della nave.

Sono quelli i suoi fianchi da cui il sole

guardava come dietro un’inferriata?

È quella donna tutta la sua ciurma?

Forse quella è la MORTE? E sono in due?

È MORTE che alla donna s’è accoppiata?

Quale il vascello, tale l’equipaggio.

Le labbra rosse, gli occhi erano audaci.

I ricci erano biondi come l’oro:

con una pelle bianca di lebbrosa

l’incubo VITA-IN-MORTE era, l’esosa

che fa gelare il sangue.

Morte e Vita-in-Morte hanno giuocato ai dadi l’equipaggio, e questa (la seconda) vince il vecchio marinaio.

La squallida carcassa s’avanzava,

le due gettano i dadi intente al rischio;

“Il giuoco è fatto! Ho vinto, ho vinto io!”

ella disse, e mandò un triplice fischio.

Nessun crepuscolo intorno al sole.

Il sole sparisce, sgorgano le stelle;

a un tratto si fa buio;

con un remoto mormorio sul mare

quella nave spettrale trascorreva.

Al levar della luna,

Noi ascoltavamo e guardavamo fisso!

Al cuore come al fondo di una coppa

la paura attingeva tutto il sangue!

Le stelle cupe, densa era la notte,

il volto del nocchiero raggia esangue

presso la sua lanterna;

dalle vele stillava giù rugiada,

finché s’alzò sul ciglio dell’oriente

col corno della luna una splendente

stella vicino alla sua punta inferiore.

Sotto la luna e il suo corteggio astrale,

senza il tempo per un sospiro o un grido,

si volse ognuno in agonia spettrale

e mi malediceva con lo sguardo.

I suoi compagni cadono giù morti.

Quattro volte cinquanta uomini vivi

(e non udii né un grido né un lamento)

caddero, massi inerti, con un tonfo

a uno a uno giù sul pavimento.

Ma Vita-in-Morte comincia la sua opera sul vecchio marinaio.

Le anime volaron via dai corpi,

volarono alla gioia ed allo strazio!

Ciascuna d’esse mi passava accanto

con un sibilo d’arco nello spazio!”

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