Caronte, il traghettatore di anime.
Caronte è un personaggio della mitologia classica, figlio dell’Erebo e della notte, traghettatore delle anime dei morti al di là dell’Acheronte, il fiume dell’Ade. Egli però accoglie sulla sua barca solo le anime che hanno un tributo da rendergli: da qui l’usanza di mettere un obolo sotto la lingua o due monete appoggiate sugli occhi del defunto. Le anime che non portano l’obolo sono destinate a vagare per l’eternità.
Virgilio lo descrive nel libro VI dell’Eneide, narrando la discesa di Enea agli Inferi. Egli lo raffigura come un vecchio con un’incolta barba bianca, gli occhi fiammeggianti e un mantello annodato sulle spalle, che fa salire sulla sua barca le anime dei defunti.
Caronte è il primo demone infernale incontrato da Dante, che lo raffigura con poche ma efficaci pennellate (Canto III dell’Inferno). Dante lo descrive come un vecchio coi capelli e la barba bianchi, che assume in crescendo tratti demoniaci che terrorizzano le anime dei dannati. Egli ricorda loro, con le sue grida e i suoi gesti minacciosi, l’eternità del dolore e delle tremende pene che li attendono. Il terribile nocchiero dagli occhi infuocati le raccoglie con un cenno sulla barca e quelle, pronte, obbediscono. Poi si allontanano sull’acqua torbida mentre altri dannati si accalcano sulla riva dell’Acheronte.
La descrizione di Dante riprende con evidenza quella fatta da Virgilio nell’Eneide. Tuttavia Dante ne accentua i tratti demoniaci e ne fa uno strumento della giustizia divina. Rispetto al modello virgiliano, sostanzialmente statico-descrittivo, il Caronte dantesco entra in scena con irruenza e drammaticità, presentandosi come lo spietato e violento esecutore della volontà divina. Egli urla rabbiose minacce contro le anime dannate, che colpisce con il remo se si attardano a salire sulla sua barca.
Inferno, Canto III
Ed ecco verso noi venir per nave
un vecchio, bianco per antico pelo [1],
gridando: «Guai a voi, anime prave! 84
Non isperate mai veder lo cielo:
i’ vegno per menarvi a l’altra riva
ne le tenebre etterne, in caldo e ‘n gelo. 87
E tu che se’ costì, anima viva,
pàrtiti da cotesti che son morti».
Ma poi che vide ch’io non mi partiva, 90
disse: «Per altra via, per altri porti
verrai a piaggia, non qui, per passare:
più lieve legno convien che ti porti». 93
E ‘l duca lui: «Caron, non ti crucciare:
vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandare». 96
Quinci fuor quete le lanose gote
al nocchier de la livida palude,
che ‘ntorno a li occhi avea di fiamme rote. 99
Ma quell’anime, ch’eran lasse e nude,
cangiar colore e dibattero i denti,
ratto che ‘nteser le parole crude. 102
[…]
Caron dimonio, con occhi di bragia
loro accennando, tutte le raccoglie;
batte col remo qualunque s’adagia. 111
[1] Un vecchio, bianco, per antico pelo: Caronte, figlio dell’Erebo e della Notte, è, nella tradizione classica, il traghettatore delle anime nell’aldilà. Il personaggio è descritto da Virgilio in Eneide, VI, 298-304, nei più minuti particolari, che Dante efficacemente sintetizza in pochi tratti.
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