Giovanni Pascoli, La vita

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Giovanni Pascoli – la vita e le opere

 

Pascoli nacque a San Mauro di Romagna (Forlì) il 31 dicembre del 1855, quarto dei dieci figli di Ruggero Pascoli e di Caterina Allocatelli Vincenzi. Visse gli anni dell’infanzia presso la tenuta agricola La Torre dei principi Torlonia, di cui il padre era fattore.

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A 7 anni entrò nel collegio degli Scolopi a Urbino insieme a due fratelli. Il 10 agosto del 1867 il padre fu ucciso con una fucilata mentre tornava a casa in calesse dal mercato di Cesena. Autori e movente dell’omicidio restano oscuri, nonostante la famiglia avesse sospetti sull’identità dell’assassino. La morte del padre fu un trauma profondo per Giovanni. La famiglia dovette affrontare gravi difficoltà economiche e subì  una drammatica serie di lutti: lasciata la tenuta, l’anno successivo la madre e la sorella Margherita morirono. Di lì a poco morirono anche il fratello Luigi, nel 1871 e il fratello maggiore Giacomo, nel ’76.

Pascoli fu costretto a lasciare il liceo di Urbino, ma poté continuare gli studi a Firenze grazie all’interessamento di un suo insegnante. Nel 1873 si iscrisse alla Facoltà di Lettere dell’Università di Bologna, grazie a una borsa di studio. Conobbe Andrea Costa e iniziò a frequentare gli ambienti anarchici e socialisti, ma durante una manifestazione contro il governo fu arrestato e trascorse tre mesi nel carcere di Bologna. Dopo la detenzione abbandonò la politica e riprese gli studi, laureandosi nel 1882.

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Giovanni Pascoli

Dopo la laurea fu insegnante di latino e greco nei licei di Matera e di Massa, poi di Livorno. Volle vicino a sé le due sorelle minori Ida e Maria, con le quali tentò di ricostituire il nucleo familiare. Iniziò a collaborare con la rivista «Vita nuova», su cui furono pubblicate le prime poesie di Myricae. Vinse per tredici volte di seguito la medaglia d’oro al concorso di poesia latina di Amsterdam, col poemetto Veianus e coi successivi Carmina.

Costretto dalla sua professione di docente universitario a lavorare in città, non abbandonò tuttavia il suo mondo di origine, la campagna, che il poeta sentiva minacciato dal disordine esterno, e che fu il tema dominante della sua produzione letteraria,.

Nel 1895 visse il matrimonio della sorella Ida come un tradimento. Scrisse alla sorella Maria: “Questo è l’anno terribile, dell’anno terribile questo è il mese più terribile. Non sono sereno: sono

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Giovanni Pascoli con la sorella Maria1885

disperato. Io amo disperatamente angosciosamente la mia famigliola che da tredici anni, virtualmente, mi sono fatta e che ora si disfà, per sempre. Io resto attaccato a voi, a voi due, a tutte e due: a volte sono preso da accesi furori d’ira, nel pensare che l’una freddamente se ne va strappandomi il cuore, se ne va lasciandomi mezzo morto in mezzo alla distruzione de’ miei interessi, della mia gloria, del mio avvenire, di tutto!”

Dal 1897 al 1903 insegnò latino all’Università di Messina, e con la vendita di alcune medaglie d’oro vinte nei concorsi, acquistò una casa a Castelvecchio di Barga.

Nel 1905 succedette a Carducci, alla cattedra di letteratura all’Università di Bologna.

Nel 1912 morì di cancro all’addome a Bologna e fu sepolto nella cappella annessa alla sua dimora di Castelvecchio di Barga, dove sarà tumulata anche l’amata sorella Mariù.

Tra le opere più importanti:

  • 1891 – Myricae (I edizione).
  • 1897 – Il fanciullino (scritto pubblicato sulla rivista “Il Marzocco”) – Poemetti.
  • 1903: Canti di Castelvecchio (dedicati alla madre); Myricae (edizione definitiva).
  • 1904: Primi poemetti; Poemi conviviali.
  • 1906: Odi e Inni; Canti di Castelvecchio (edizione definitiva); Pensieri e discorsi.
  • 1909: Nuovi poemetti; Canzoni di re Enzio; Poemi italici.
  • 1911-1912: La grande proletaria si è mossa (discorso sulla guerra di Libia).

 

Myricae (1891-1903)

È una raccolta di poesie di argomento semplice e modesto, che presenta per lo più temi famigliari e campestri. Il titolo è il nome latino delle tamerici, umili piante prese a simbolo di una poesia legata al quotidiano e agli affetti più intimi, ricavato da un verso di Virgilio (“non omnes arbusta iuvant humilesque Myricæ”: non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici). La raccolta, cresciuta nel tempo dalle 22 poesie della prima edizione alle 156 dell’ultima, descrive il ciclo delle stagioni e la vita contadina. Si tratta di quadri paesaggistici rapidissimi, concentrati in pochi tratti impressionistici, con immagini della natura descritte con precisione “botanica”. Spesso però le immagini del mondo naturale riflettono impressioni soggettive che si caricano di valenza simbolica e suscitano inquietudine, paura e mistero.

 

Canti di Castelvecchio (1903)

La raccolta prosegue e approfondisce i temi di Myricae: sono presenti le consuete immagini della vita di campagna, i canti degli uccelli, gli alberi, i fiori, i suoni. Particolare importanza assumono il tema del nido familiare distrutto e il senso del mistero, connesso al dolore della vita e all’angoscia della morte, in contrasto con il ciclo naturale delle stagioni. Questi temi si esprimono in una visione allucinata: nel triste ricordo dei morti, nella percezione di tenui richiami, nei sussulti dell’animo. Anche nei Canti, da descrizioni apparentemente realistiche affiorano simboli e allusioni ad una realtà inquietante e misteriosa.

 

 

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