Albert Camus, La peste

Camus_La peste

Albert Camus, La peste

L’atroce agonia di un bambino

La  predica e la morte di Padre Paneloux

 

(Primo capitolo) – “tutti stentiamo a credere ai flagelli quando ci piombano addosso”

A Orano, in Algeria, in un giorno di aprile negli anni ’40, il medico francese Bernard Rieux trova un topo morto sul pianerottolo, mentre esce dal suo ambulatorio. Rieux riferisce la cosa al portinaio, il signor Michel, il quale esclude che nell’edificio ci siano topi e dice che certamente si tratta dello scherzo di qualche burlone. Il giorno seguente, Rieux accompagna alla stazione la moglie molto malata, che parte per sottoporsi a un ciclo di cure in una città vicina. Nei giorni successivi a Orano vengono raccolti topi morti a migliaia. Un’agenzia di stampa annuncia che in un solo giorno ne sono stati raccolti più di seimila e il numero di ratti morti raccolti dal servizio di derattizzazione aumenta nei giorni successivi. Gli abitanti di Orano sono sconcertati e angosciati, quando all’improvviso la situazione sembra tornare alla normalità: all’improvviso, il numero di topi morti crolla drasticamente fino a estinguersi. Proprio in coincidenza con l’estinguersi della moria, Rieux incontra il portinaio Michel, che non si sente bene, e gli dice che più tardi passerà a visitarlo. Il medico viene chiamato da Grand, un dipendente comunale, che ha appena salvato un certo Cottard il quale ha cercato di impiccarsi. Recatosi dal portinaio, Rieux lo trova in gravi condizioni e cerca di curarlo, ma la malattia peggiora rapidamente e dopo poco muore. A quel punto Rieux si rende conto che tutti stanno correndo un gravissimo pericolo. Sempre più persone di Orano cominciano a presentare gli stessi sintomi e poco dopo a morire. Rieux e l’anziano collega Castel capiscono che si tratta di peste. Inizialmente nessuno vuole credere ai due medici ma alla fine la situazione diventa evidente anche alle autorità che volevano negarla. La città di Orano viene così messa in quarantena.

peste“Benché un flagello sia infatti un accadimento frequente, tutti stentiamo a credere ai flagelli quando ci piombano addosso. Nel mondo ci sono state tante epidemie di peste quante guerre. Eppure la peste e la guerra colgono sempre tutti alla sprovvista. Era stato colto alla sprovvista il dottor Rieux, come lo erano stati i nostri concittadini, e questo spiega le sue titubanze. E spiega anche perché fosse combattuto tra la preoccupazione e la fiducia. Quando scoppia una guerra tutti dicono: “È una follia, non durerà.” E forse una guerra è davvero una follia, ma ciò non le impedisce di durare. La follia è ostinata, chiunque se ne accorgerebbe se non fossimo sempre presi da noi stessi. A questo riguardo, i nostri concittadini erano come tutti gli altri, erano presi da se stessi, in altre parole erano umanisti: non credevano ai flagelli. Dal momento che il flagello non è a misura dell’uomo, pensiamo che sia irreale, soltanto un brutto sogno che passerà. Invece non sempre il flagello passa e, di brutto sogno in brutto sogno, sono gli uomini a passare, e in primo luogo gli umanisti che non hanno preso alcuna precauzione. I nostri concittadini non erano più colpevoli di altri, dimenticavano soltanto di essere umili e pensavano che tutto per loro fosse ancora possibile, il che presumeva che i flagelli fossero impossibili. Continuavano a fare affari, programmavano viaggi e avevano opinioni. Come avrebbero potuto pensare alla peste che sopprime il futuro, gli spostamenti e le discussioni? Si credevano liberi e nessuno sarà mai libero finché ci saranno dei flagelli.” […]

(Secondo capitolo) – “Da questo momento si può dire che la peste ci riguardò tutti”. 

La città si chiude poco a poco nell’isolamento e nella paura, che modificano i comportamenti collettivi e individuali. L’isolamento dei cittadini di Orano è sia all’esterno che all’interno. Incontrano difficoltà a comunicare con i loro parenti, con i loro amici, con i loro amanti che si trovano fuori città. A fine giugno Rambert, un giornalista parigino chiede invano a Rieux di aiutarlo a uscire da Orano per poter raggiungere a Parigi la sua compagna. Nel frattempo invece Cottard sembra provare un’insana soddisfazione per il diffondersi del morbo. In realtà egli è contento perché così può dedicarsi ai suoi loschi traffici senza essere perseguito dalla polizia. Gli abitanti di Orano cercano di compensare le difficoltà dell’isolamento, abbandonandosi ai piaceri materiali. Grand si concentra sulla scrittura di un libro di cui riscrive ossessivamente, con minime varianti, la prima frase. Durante una sua predica, il gesuita Padre Paneloux indica nella peste uno strumento della volontà divina ed esorta i suoi fedeli a meditare sulla punizione di Dio per i loro peccati. Tarrou, figlio di un procuratore, tiene nei suoi taccuini una personale cronaca dell’epidemia. Egli dà prova di un coraggio straordinario, mettendosi a disposizione di Rieux per organizzare un servizio sanitario di emergenza. Dopo aver più volte cercato inutilmente di fuggire da Orano, Rambert deciderà di unirsi ai due nella lotta al contagio, nel periodo della sua forzata permanenza.

“Da questo momento si può dire che la peste ci riguardò tutti. Finora, nonostante la sorpresa e la preoccupazione suscitate da questi eventi straordinari, ognuno dei nostri concittadini aveva continuato come poteva a dedicarsi alle proprie occupazioni, al proprio posto. E così doveva senz’altro essere in seguito. Ma dopo che furono chiuse le porte, tutti si accorsero, compreso il narratore, di essere sulla stessa barca e di doversene fare una ragione. Così, per esempio, un sentimento privato quale la separazione da una persona amata divenne improvvisamente, sin dalle prime settimane, quello di un’intera popolazione e, insieme con la paura, il principale motivo di sofferenza di quel lungo periodo di esilio.” […]

(Terzo capitolo) – “l’amore richiede un po’ di futuro, e per noi ormai c’erano solo istanti”

In estate crescono la tensione e l’angoscia, mentre la peste si diffonde esponenzialmente, passando dalla forma bubbonica alla più contagiosa peste polmonare. Ci sono tante vittime che occorre provvedere d’urgenza a gettarle nelle fosse comuni, come animali. Medici e infermieri si prodigano eroicamente per combattere il morbo, con scarso successo. Tuttavia, l’anziano medico Castel produce un nuovo siero, che sembra poter offrire qualche speranza di guarigione. Le forze dell’ordine si vedono costrette a reprimere con durezza rivolte, saccheggi e tentativi di fuga. Gli abitanti di Orano, in questa fase della pestilenza, sembrano ormai rassegnati. Danno l’impressione di aver fatto l’abitudine alla disperazione, cosa peggiore della disperazione stessa. Essi sembrano aver perduto la speranza e persino i loro ricordi della vita passata e delle persone care da cui sono separati. La peste ha tolto loro la disposizione all’amore e all’amicizia, poiché “l’amore richiede un po’ di futuro, e per noi ormai c’erano solo istanti”. Essi non nutrono più illusioni e si limitano, con ostinazione, ad aspettare.

(Quarto capitolo) – “a me interessa sapere come si diventa santo”

Rambert ha l’opportunità di lasciare la città, ma rinuncia a partire. È deciso ormai a lottare fino alla fine a fianco di Rieux e di Tarrou. Rieux decide di sperimentare il siero di Castel sul figlio del giudice Othon, che si è ammalato, ma i risultati non sono quelli sperati. L’agonia e le atroci sofferenze del bambino sconvolgono nell’intimo Rieux e mettono in crisi le certezze di Padre Paneloux. Così il tono della sua seconda predica alla popolazione, nella Cattedrale di Orano, è molto diverso da quello della prima. Il prete si chiude nella solitudine della propria fede, si ammala e muore senza aver chiamato il medico, stringendo febbrilmente al petto un crocifisso. Tarrou e Rieux, si aprono a un momento di autentica e intima amicizia, poi si concedono un rigenerante bagno in mare. A Natale Grand si ammala gravemente e sembra spacciato. Rieux decide di sperimentare su di lui un nuovo siero di Castel e l’uomo inaspettatamente guarisce, poi il siero risulta efficace anche su altri individui e la peste sembra aver perduto un po’ della sua virulenza. A un tratto cominciano a ricomparire in città i topi, vivi.

(Quinto capitolo) – “il bacillo della peste non muore né scompare mai”

Nel mese di gennaio la peste regredisce, ma fa tuttavia le sue ultime vittime, tra le quali il giudice Othon. Anche Tarrou, che ha prestato meno attenzione alle dovute precauzioni sanitarie, convinto di essere ormai fuori pericolo, si ammala e muore, affidando a Rieux i suoi taccuini. Da quando è evidente la regressione del flagello, l’atteggiamento di Cottard è cambiato. A febbraio, finalmente la quarantena viene revocata e gli abitanti di Orano si riversano nelle strade in preda all’euforia, tranne Cottard che, impazzito, spara sulla folla festante e viene arrestato dalle forze dell’ordine. Un telegramma comunica a Rieux che sua moglie è morta. Gli abitanti, assaporano finalmente di nuovo il gusto della libertà ma non dimenticano la terribile prova che li ha messi di fronte all’assurdità della loro esistenza e alla precarietà della condizione umana. Infine, il dottor Rieux rivela la propria identità di narratore, che ha voluto riferire gli eventi con la massima obiettività possibile. Lo ha fatto per rendere testimonianza delle ingiustizie e delle violenze. Ma lo ha fatto anche per dire che si può imparare dai flagelli e che “ci sono negli uomini più cose da ammirare che non da disprezzare”.Sa che il virus della peste può ritornare, perché “non muore né scompare”. Di questo è necessario essere consapevoli e vigilare.

“Rieux decise allora  di redigere il racconto che qui finisce, per non essere di quelli che tacciono, per testimoniare a favore degli appestati, per lasciare almeno un ricordo dell’ingiustizia e della violenza che erano state loro fatte, e per dire semplicemente quello che s’impara in mezzo ai flagelli: che ci sono negli uomini più cose da ammirare che non da disprezzare. Ma egli sapeva tuttavia che questa cronaca non poteva essere la cronaca della vittoria definitiva; non poteva essere che la testimonianza di quello che si era dovuto compiere e che, certamente, avrebbero dovuto ancora compiere, contro il terrore e la sua instancabile arma, nonostante i loro strazi personali, tutti gli uomini che non potendo essere santi e rifiutandosi di ammettere i flagelli, si sforzano di essere dei medici. Ascoltando, infatti, i gridi d’allegria che salivano dalla città, Rieux ricordava che quell’allegria era sempre minacciata: lui sapeva quello che ignorava la folla, e che si può leggere nei libri, ossia che il bacillo della peste non muore né scompare mai, che può restare per decine di anni addormentato nei mobili e nella biancheria, che aspetta pazientemente nelle camere, nelle cantine, nelle valigie, nei fazzoletti e nelle cartacce e che forse verrebbe il giorno in cui, per sventura e insegnamento agli uomini, la peste avrebbe svegliato i suoi topi per mandarli a morire in una città felice.”

 

Una rivolta contro il non-senso della condizione umana

Il tema della malattia

Il tema della malattia attraversa tutta la letteratura occidentale. Camus si documentò anche sul piano letterario, oltre che scientifico: lesse la Storia della guerra del Peloponneso di Tucidide, la Storia delle guerre di Procopio, il Decameron di Boccaccio, La peste à Marseille (1720) di Jules Michelet, I promessi sposi di Manzoni, Le festin en temps de peste (1831) di Alexandre Pouchkine, The scarlet plague (1912) di Jack London. Del resto la malattia segnò la vita stessa di Camus, che a diciassette anni fu affetto da tubercolosi polmonare, patologia che lo accompagnò fino alla morte.

Metafora della guerra e del nazismo, emblema del male

Il romanzo, scritto due anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, tramite la metafora della peste vuole rappresentare la guerra e il nazismo appena sconfitto. La peste è però anche emblema del male, che in ogni epoca può minacciare l’umanità.

Le reazioni di fronte alla pestilenza

Il romanzo rappresenta le diverse fasi del sorgere e del diffondersi del morbo, dalle reazioni di fronte ad esso, con la sottovalutazione e l’incredulità iniziali, fino alla vasta gamma di emozioni, di sentimenti e di passioni dei diversi personaggi e della popolazione di Orano. Nell’emergenza, nella sospensione della normalità, affiorano i lati peggiori, ma anche quelli migliori, delle persone. C’è chi si dà da fare per combattere il flagello, senza risparmiarsi (come Rieux e Tarrou), chi si chiude in casa o cerca di scappare (molti cittadini di Orano), chi ne approfitta per arricchirsi illecitamente (Cottard), chi accetta il flagello mediante la fede (Paneloux), chi diviene poco a poco consapevole e partecipe, mentre prima cercava di fuggire (Rambert).

“essere felici insieme agli altri”

Camus analizza le dinamiche interpersonali, affettive, politiche, economiche che si verificano durante l’epidemia e la quarantena. Egli descrive i sentimenti e le reazioni derivanti dalla separazione dai propri cari, dalla privazione della libertà, dalla morte e dall’impotenza umana di fronte alla pestilenza. Lo scrittore parla però anche della solidarietà, della condivisione, del coraggio e della consapevolezza nell’affrontare questo male collettivo, nella speranza di poter tornare a “essere felici insieme agli altri“. Questa consapevolezza non deve assopirsi o rilassarsi, perché il morbo della peste può celarsi per un tempo a noi sconosciuto per poi risvegliarsi e tornare e diffondersi ovunque. Come il male, la peste non viene mai debellata del tutto, ma resta latente in attesa dell’ambiente propizio per una nuova esplosione.

Il tema del male

Il problema del Male è al centro del romanzo. Nel romanzo Camus contrappone lo spirito critico del medico-scienziato (ateo) Bernard Rieux a quello dogmatico del gesuita Paneloux. Quest’ultimo partecipa, tuttavia, alle formazioni sanitarie di Rieux, si ammala e muore. La figura di Paneloux è soggetta a un’evoluzione, evidente nelle due prediche rivolte agli abitanti di Orano. Nella prima il gesuita interpreta la malattia come una meritata punizione collettiva. Nella Bibbia la peste è infatti il simbolo della punizione divina per coloro che non ascoltano la sua parola. Per Paneloux, il credente deve affidarsi a Dio, rinunciando a comprendere i suoi disegni. Solo il pentimento può redimere il genere umano e si deve accettare l’imperscrutabile volontà di Dio.

Un castigo divino?

Rifiutando di rimettersi a Dio, Rieux non ammette che la peste sia un castigo e rifiuta la metafisica della colpa. Consapevole della presenza del male nel mondo, con la sua azione di medico e di uomo Rieux dimostra la propria dignità e ricerca una sorta di “salvezza”, che è però di natura terrena. D’altronde Paneloux partecipa all’opera di soccorso organizzata da Rieux e da Tarrou e, di fronte alla morte straziante di un fanciullo, vede vacillare le proprie certezze. Il tono della seconda predica pronunciata dal gesuita nella Cattedrale di Orano è molto diverso. Paneloux perde la sua enfasi oratoria e rasenta l’eresia: il mondo è insensato e malvagio, ma Dio è buono e solo se si crede in lui, nonostante tutto, si può entrare in una dimensione migliore.

La lotta contro il male e lo sforzo di conservare l’amore per la vita

Ma come conciliare la fede in un Dio buono e giusto e l’esistenza del male, causa della sofferenza di innocenti? La religione non è, secondo Camus, la soluzione all’assurdità dell’esistenza. In un mondo simbolicamente dominato dalla peste l’unica dignità possibile per l’uomo è una continua lotta contro l’incomprensibilità del male e una consapevole “rivolta”, in cui gli uomini devono essere solidali, contro il non-senso della condizione umana. Il dissidio tra fede e scienza (e tra chi crede e chi non crede) giunge a una possibile conciliazione attraverso la comune lotta contro il male, lo sforzo di conservare l’amore per la vita, la solidarietà.

“Forse è meglio per Dio che non crediamo in lui”

Atei e cristiani, che condividono la stessa tragica condizione di vita terrena, possono in questo incontrarsi. Tuttavia, per Rieux/Camus è meglio non credere in Dio piuttosto che credere in un Dio che tace e che permette al male di manifestarsi con una violenza inaudita e “Forse è meglio per Dio che non crediamo in lui”.

http://www.treccani.it/enciclopedia/albert-camus/ 

URL: http://journals.openedition.org/studifrancesi/4265 – Brenda Piselli, Scienza e religione ne “La peste” di Camus, Studi Francesi Rivista quadrimestrale fondata da Franco Simone (2016). Edizione digitale.

http://sezionex.blogspot.com/2012/05/albert-camus-di-alberto-lazari.html 

https://www.raiplayradio.it/playlist/2017/12/La-peste-2719929f-50da-4561-a32a-4324d0fdc5e1.html 

 

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