Gli occhi di Beatrice. Canto I del Paradiso
fissa con li occhi stava; e io in lei / le luci fissi, di là sù rimote
Anche nel I canto del Paradiso, in cui Dante si propone di esprimere l’inesprimibile della visione dell’Empireo, Beatrice si mostra tramite indispensabile di elevazione spirituale. Dopo il proemio, prosegue la narrazione del viaggio, con l’indicazione astronomica del giorno, l’equinozio di primavera, e dell’ora, il mezzogiorno. Il poeta, vede Beatrice volgersi a sinistra, a guardare il sole: nessuna aquila lo fissò mai così intensamente. Anche il poeta volge il viso verso il sole, ma non può sostenere a lungo la sua luce abbagliante. Troppo intensa sarebbe per lui la luce, ed è contemplando la donna e guardandola negli occhi che può vederne un riflesso e provare sensazioni sublimi ed ineffabili, affascinato dall’armonia delle sfere celesti. Beatrice gli spiega che questi fenomeni sono dovuti al suo velocissimo salire, più rapido del fulmine, verso l’empireo, verso la luce divina. Egli è infatti ormai libero dalle attrattive dei beni terreni, purificato, e sale perciò per la naturale tendenza delle creature a ricongiungersi al loro creatore.
Surge ai mortali per diverse foci
la lucerna del mondo [1]; ma da quella
39 . che quattro cerchi giugne con tre croci [2],
con miglior corso e con migliore stella
esce congiunta, e la mondana cera
42 . più a suo modo tempera e suggella.
Fatto avea di là mane e di qua sera
tal foce, e quasi tutto era là bianco
45 . quello emisperio, e l’altra parte nera,
quando Beatrice in sul sinistro fianco
vidi rivolta e riguardar nel sole:
48 . aguglia sì non li s’affisse unquanco.
E sì come secondo raggio suole
uscir del primo e risalire in suso,
51 . pur come pelegrin che tornar vuole [3],
così de l’atto suo, per li occhi infuso
ne l’imagine mia, il mio si fece,
54 . e fissi li occhi al sole oltre nostr’uso.
Molto è licito là, che qui non lece
a le nostre virtù, mercé del loco
57 . fatto per proprio de l’umana spece.
Io nol soffersi molto, né sì poco,
ch’io nol vedessi sfavillar dintorno,
60 . com’ferro che bogliente esce del foco;
e di sùbito parve giorno a giorno
essere aggiunto, come quei che puote
63 . avesse il ciel d’un altro sole addorno.
Beatrice tutta ne l’etterne rote
fissa con li occhi stava; e io in lei
66 . le luci fissi, di là sù rimote.
Nel suo aspetto tal dentro mi fei,
qual si fé Glauco [4] nel gustar de l’erba
69 . che ‘l fé consorto in mar de li altri dèi.
Trasumanar significar per verba
non si poria; però l’essemplo basti
72 . a cui esperïenza grazia serba.
S’i’ era sol di me quel che creasti
novellamente, amor che ‘l ciel governi,
75 . tu ‘l sai, che col tuo lume mi levasti.
Quando la rota che tu sempiterni
desiderato, a sé mi fece atteso
78 . con l’armonia che temperi e discerni,
parvemi tanto allor del cielo acceso
de la fiamma del sol, che pioggia o fiume
81 . lago non fece alcun tanto disteso.
La novità del suono e ‘l grande lume
di lor cagion m’accesero un disio
84 . mai non sentito di cotanto acume.
Ond’ella, che vedea me sì com’io,
a quïetarmi l’animo commosso,
87 . pria ch’io a dimandar, la bocca aprio
e cominciò: «Tu stesso ti fai grosso
col falso imaginar, sì che non vedi
90 . ciò che vedresti se l’avessi scosso.
Tu non se’ in terra, sì come tu credi;
ma folgore, fuggendo il proprio sito,
93 . non corse come tu ch’ad esso riedi».
Note
[1] la lucerna del mondo: il sole.
[2] Nell’equinozio di primavera il sole sorge nel punto cardinale di Levante dove i cerchi dell’equatore, dell’eclittica (che taglia l’equatore nella zona equinoziale) e del coluro equinoziale (il circolo massimo che passa per i poli e taglia l’eclittica) intersecano quello dell’orizzonte, formando tre croci in uno stesso punto. Inoltre, in primavera, il sole si trova in congiunzione con la costellazione dell’Ariete, i cui influssi sono particolarmente benigni. Infine anche l’ora, il mezzogiorno, è particolarmente propizia.
[3] Il Chimenz, a proposito dei verso 51, ha offerto una diversa interpretazione: pellegrin sarebbe il falco peregrinus, che vuole risalire in alto, dopo aver afferrato la preda.
[4] Glauco, un pescatore della Beozia, avendo visto che i pesci da lui pescati tornavano in vita al contatto di un’erba particolare, incuriosito, volle assaggiarla e subito dopo fu trasformato in un dio marino (Ovidio – Metamorfosi XIII, 898-968).
Parafrasi – L’ascesa al cielo e il trasumanar.
37-93: Il sole sorge per gli uomini (a seconda delle stagioni) da diversi punti dell’orizzonte; ma da quella zona in cui quattro cerchi si incontrano formando tre croci, esce con un corso più favorevole e congiunto con una costellazione più propizia, e plasma e segna con la propria impronta la materia del mondo con maggiore efficacia.
Il sole, sorgendo quasi in quello stesso punto, aveva recato il giorno nel purgatorio e la sera sulla terra, e l’emisfero australe era tutto illuminato, e quello boreale avvolto nelle tenebre, quando vidi Beatrice volta a sinistra che guardava con intensità il sole: mai aquila lo fissò così fermamente.
E come il raggio riflesso suole aver origine da quello diretto e risalire in alto, a guisa di pellegrino che (giunto al termine del viaggio) vuole tornare (al luogo da cui è partito), allo stesso modo dal suo atteggiamento, penetrato attraverso gli occhi nella mia facoltà immaginativa, trasse origine il mio, e fissai gli occhi sul sole oltre ogni nostra possibilità. Nel paradiso terrestre sono possibili molte cose, che non sono concesse in terra alle nostre facoltà, in grazia del luogo creato (da Dio) come dimora propria del genere umano (nel suo stato di perfezione originaria). Io non sostenni la vista del sole molto a lungo, ma neppure tanto poco, da non poter discernere che esso sfavillava all’intorno, come ferro che esce incandescente dal fuoco; e dopo un istante parve che la luce del giorno fosse raddoppiata come se l’Onnipotente avesse ornato il cielo di un altro sole.
Beatrice guardava intensamente le sfere celesti; ed io fissai gli occhi in lei, dopo averli distolti dal sole. Osservandola divenni interiormente come si fece Glauco quando assaggiò l’erba che lo rese compagno delle divinità marine. Non si potrebbe esprimere a parole l’elevarsi oltre i limiti propri dell’uomo; perciò basti l’esempio (di Glauco) a colui al quale la grazia divina riserva l’esperienza diretta (poiché al cristiano è permesso l’accesso al paradiso). Se io ero solo anima, la parte di me che creasti per ultima , Tu lo sai, o Dio, amore che governi il cielo, Tu che con la tua luce (riflessa in me attraverso gli occhi di Beatrice) mi sollevasti (attraverso gli spazi verso il cielo ).
Quando il ruotare delle sfere celesti che tu rendi perpetuo con l’esser da quelle desiderato, attirò su di sé la mia attenzione con l’armonico suono che Tu regoli e moduli, mi apparve allora una così grande parte del cielo illuminata dalla luce del sole, che mai pioggia o fiume formarono un lago tanto ampio. La novità del suono e la grande luce accesero in me un desiderio di conoscere la loro origine più intenso di qualsiasi desiderio prima avvertito. Perciò Beatrice, che vedeva nel mio intimo come potevo vedere io stesso, per tranquillizzare il mio animo turbato (da questo profondo desiderio), si preparò a parlare, prima che io formulassi la domanda e disse: “Tu stesso ti rendi incapace a comprendere con le tue errate supposizioni, cosi che non capisci ciò che capiresti da solo, se le avessi rimosse (dalla tua mente). Tu non sei in terra, così come credi; ma nessun fulmine, allontanandosi dalla sfera del fuoco (il proprio sito: la sua dimora naturale), corse così rapidamente come tu che ritorni al luogo che ti è proprio (al cielo, al quale tende ogni uomo)”.
Analisi del testo
L’argomento della cantica: il paesaggio-luce del Paradiso.
Fin dall’inizio, protagonista della terza cantica è la luce: essa è una delle qualità principali di Dio, che guida l’universo come motore supremo, imprimendo a ciascuna realtà creata una vita specifica e manifestandosi come luce, che illumina amorosamente le sue creature, inoltre il Paradiso, privo di materia, è costituito solo da luce e non presenta più caratteristiche fisiche, come l’Inferno e il Purgatorio. La cosmologia di Dante è quella della Scolastica, che ha fatto propria la dottrina tolernaico-aristotelica: la terra occupa il centro dell’universo e intorno a lei ruotano nove cieli (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno, Cielo Stellato, Cielo Cristallino o Primo Mobile). Questi ultimi, di natura materiale, sono circondati dal cielo Empireo, che è pura luce e nel quale ha la sua sede Dio; esso, inoltre, è perfettamente immobile, avendo conseguito il pieno appagamento nella visione perpetua della divinità, mentre tutte le cose create tendono, in un moto continuo, al raggiungimento di Dio.
L’invocazione ad Apollo e l’inesprimibilità della visione.
Nel Paradiso Dante invoca Apollo, evidenziando la straordinarietà della materia poetica e il fatto che egli si ritiene direttamente ispirato da Dio. Trascesi i limiti posti ad ogni umana esperienza, si avvicina a Dio e ne ha una mistica visione, che può solo in parte tentare di esprimere, poiché è inesprimibile, perché le facoltà espressive risultano inadeguate, e la memoria non è in grado di ricordare perfettamente quanto visto e sentito nel momento di mistica unione con Dio. Sulla difficoltà della traduzione del suo “trasumanar” nei termini sensibili e razionali del linguaggio, Dante ritornerà frequentemente.
L’ascesa al cielo e il trasumanar.
Il volgersi al sole di Beatrice coincide con l’inizio del volo verso l’empireo: lo spirito non è più condizionato dalla materia, si eleva verso Dio, che Dante poi metaforicamente contemplerà nel sole, guardandolo per mezzo degli occhi di Beatrice, cioè attraverso la mediazione della Teologia. Anche qui, come nella Vita Nuova, gli occhi della donna sono un elemento centrale, fondamentale, che permette al poeta di accogliere in sé la Grazia divina, e Dante diventa capace, come attraverso uno specchio, di rivolgere gli occhi al sole, cioè a Dio. Egli si sente travolto da una sensazione sublime e ineffabile, paragonabile a quel che avvenne a Glauco, quando mangiò l’erba che lo rese simile agli dei. Con la favola di Glauco, che da umano diventa divino, il Poeta spiega, per analogia, la trasformazione che egli avverte dentro di sé, ma che non riesce ad comunicare per mezzo di parole, perché il linguaggio umano è insufficiente ad esprimerne l’intima essenza. Dante è estaticamente rapito da sensazioni straordinarie ed ha l’impressione che l’anima sia separata dal corpo, ma. Beatrice, che legge nella sua mente, gli spiega che egli s’inganna, pensando di essere ancora a terra, perché invece, più rapido del fulmine, sta salendo verso l’empireo.
Lo stile.
Il linguaggio del canto è solenne, latineggiante. Sono presenti alcuni termini stilnovisti, che evidenziano la funzione salvifica di Beatrice. Alcune metafore (vedi ad es.: la mondana cera = la materia del mondo) e similitudini (ad esempio tra il trasumanar di Dante e la metamorfosi di Glauco) danno concretezza alle immagini.
Esercizi di verifica.
- Tema centrale della terza cantica è quello della luce. Spiega perché.
- La cosmologia di Dante è quella della Scolastica, che ha fatto propria la dottrina aristotelico- tolernaica: spiega che cosa caratterizzava questa visione dell’universo.
- Oggi tale sistema dottrinale è stata superato dalla scienza astronomica. Svolgi una ricerca sulle teorie astronomiche attualmente più accreditate.
- Dante chiede l’aiuto di Apollo: qual è il motivo di tale invocazione?
- Il viso, ed in particolare gli occhi di Beatrice hanno un’importante funzione. Quale?
- Beatrice è strumento di elevazione a Dio. Spiega quest’affermazione.
- Ai vv. 67-69 Dante paragona se stesso a Glauco. Spiega i termini della similitudine:
Glauco | mangia | |
conseguenza: | ||
Dante | guarda | |
conseguenza: |
- Che significato assume il termine “trasumanar”? Perché Dante paragona se stesso a Glauco?
- Dante erroneamente crede che la sua anima si sia separata dal corpo. Cosa, invece, in realtà sta accadendo?
- Il poeta è stupito, e chiede a Beatrice spiegazione. Qual è la risposta della donna?
- Che cosa contraddistingue il linguaggio del primo canto del paradiso?
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