Dante, Canto V (Inferno): Paolo e Francesca
Testo e parafrasi
I’ cominciai: «Poeta, volontieri
parlerei a quei due [1]che ‘nsieme vanno,
e paion sì al vento esser leggieri». 75
Ed elli a me: «Vedrai quando saranno
più presso a noi; e tu allor li priega
per quello amor che i mena, ed ei verranno». 78
Sì tosto come il vento a noi li piega,
mossi la voce: «O anime affannate,
venite a noi parlar, s’altri nol niega!». 81
Quali colombe dal disio chiamate
con l’ali alzate e ferme al dolce nido
vegnon per l’aere, dal voler portate; 84
cotali uscir de la schiera ov’è Dido [2],
a noi venendo per l’aere maligno,
sì forte fu l’affettüoso grido. 87
«O animal grazïoso e benigno
che visitando vai per l’aere perso
noi che tignemmo il mondo di sanguigno, 90
se fosse amico il re de l’universo,
noi pregheremmo lui de la tua pace,
poi c’hai pietà del nostro mal perverso. 93
Di quel che udire e che parlar vi piace,
noi udiremo e parleremo a voi,
mentre che ‘l vento, come fa, ci tace. 96
Siede la terra dove nata fui
su la marina dove ‘l Po discende
per aver pace co’ seguaci sui. 99
Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,[3]
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende.[4] 102
Amor, ch’a nullo amato amar perdona,[5]
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona. 105
Amor condusse noi ad una morte. [6]
Caina attende chi a vita ci spense”.
Queste parole da lor ci fuor porte. 108
Quand’io intesi quell’anime offense,
china’ il viso e tanto il tenni basso,
fin che ‘l poeta mi disse: “Che pense?”. 111
Quando rispuosi, cominciai: “Oh lasso,
quanti dolci pensier, quanto disio
menò costoro al doloroso passo!”. 114
Poi mi rivolsi a loro e parla’ io,
e cominciai: “Francesca, i tuoi martìri
a lagrimar mi fanno tristo e pio. 117
Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri,
a che e come concedette amore
che conosceste i dubbiosi disiri?”. 120
E quella a me: “Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
ne la miseria; e ciò sa ‘l tuo dottore. 123
Ma s’a conoscer la prima radice
del nostro amor tu hai cotanto affetto,
dirò come colui che piange e dice. 126
Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto. 129
Per più fiate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse. [7] 132
Quando leggemmo il disiato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso, 135
la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante”. [8] 138
Mentre che l’uno spirto questo disse,
l’altro piangea; sì che di pietade
io venni men così com’io morisse. 141
E caddi come corpo morto cade.
Parafrasi [vv. 72-108]
L’incontro con Paolo e Francesca
Io cominciai: “Poeta, volentieri parlerei a quei due che stanno insieme, e che sembrano al vento essere così leggeri”. Ed egli a me: “Vedrai quando saranno più vicini a noi; allora pregali per quell’amore che li conduce, ed essi verranno”. Così appena il vento li spinse verso di noi, parlai: “O anime sofferenti, venite a parlare con noi se Dio non ve lo nega!”. Come colombe mosse dal desiderio con le ali alzate e ferme vanno al dolce nido attraverso l’aria, così esse uscirono dalla schiera delle anime di cui fa parte anche Didone, venendo verso noi attraverso l’aria infernale, tanto efficace era stata la mia ardente preghiera. “O uomo cortese e benevolo che attraverso l’aria buia vieni a trovare noi che (morendo) macchiammo il mondo col nostro sangue, se il re del creato ci fosse amico, noi lo pregheremmo di darti serenità, perché provi compassione per il nostro atroce tormento. Ascolteremo e vi diremo quelle cose che vorrete dire e ascoltare, per tutto il tempo che la bufera, come fa (adesso), attenuerà la sua violenza. La città in cui sono nata (Ravenna) si trova sul mare in cui il Po sfocia con i suoi affluenti. L’amore, che improvviso “prende” i cuori nobili, fece innamorare costui (Paolo) del mio bel corpo, che mi fu tolto; e la forza di quell’amore ancora mi ferisce. Amore, che non permette a nessun essere amato di non ricambiare chi l’ama, mi fece innamorare così intensamente di lui, che come vedi ne sono ancora vinta. Amore ci condusse a una comune morte. Caina (dove si puniscono i traditori dei parenti) attende chi ci uccise”. Queste parole ci furono da loro dette.
La storia di Paolo e Francesca
Quando compresi quelle anime tormentate, chinai il viso e tanto a lungo che il poeta (Virgilio) mi chiese: “A che cosa pensi?” Quando risposi, dissi: “Ahimé, quanti dolci pensieri, quanta passione condusse costoro al peccato!” Poi mi volsi a loro e dissi: “Francesca, i tuoi tormenti mi rendono triste e pietoso. Ma dimmi: al tempo dei dolci sospiri d’amore, in che modo vi accorgeste dei vostri ancora incerti desideri?”
Ed ella a me: “Non c’è dolore più grande che ricordarsi dei momenti felici quando si soffre; e la tua guida lo sa bene. Ma se hai tanto desiderio di sapere l’origine del nostro amore, te lo dirò, come chi parli piangendo. Noi leggevamo un giorno per piacere la storia di Lancillotto e di come amore lo avvinse; eravamo soli, senza alcun timore. Quella lettura fece più volte incontrare i nostri sguardi e ci fece impallidire; ma solo un punto fu quello che ci vinse. Quando leggemmo di come la bocca sorridente (di Ginevra) venne baciata da un tale amante (Lancillotto), costui, che da me non sarà mai separato, mi baciò la bocca tutto tremante. Galeotto (Galehaut fa da intermediario tra Lancillotto e Ginevra) fu il libro e chi lo scrisse (svolse cioè la funzione di mezzano): quel giorno non proseguimmo nella lettura”.
Mentre Francesca mi raccontò questo, Paolo piangeva; così che per l’emozione svenni, come se morissi. E caddi come cade un corpo senza vita.
Note
[1] Francesca da Polenta e Paolo Malatesta.
[2] Didone, innamoratasi di Enea, infranse il giuramento di fedeltà fatto sulla tomba del marito Sicheo e, in seguito all’abbandono da parte dell’eroe troiano, si uccise.
[3] La corrispondenza fra “amore” e “cuore gentile” è uno dei cardini dello stilnovismo: Dante stesso aveva scritto che “Amore e cor gentil sono una cosa“. Paolo, a causa della sua gentilezza d’animo e della bellezza della cognata, non può non provare un sentimento d’amore.
[4] L‘espressione “e ‘l modo ancor m’offende” è stata interpretata da alcuni come il primo accenno alla morte violenta, ma più probabilmente significa “il modo con cui mi sono innamorata ancora mi avvince”. Ed anche: la forza travolgente della passione, così come si è manifestata, ancora mi fa soffrire, ne patisco ancora le conseguenze.
[5] Amor, ch’a nullo amato amar perdona: per Andrea Cappellano, teorico dell’amor cortese, l’amore presuppone la reciprocità e non può tollerare che l’oggetto amato non ricambi il sentimento.
[6] Amor condusse noi ad una morte: L’amore conduce i due giovani alla morte fisica (per mano di Gianciotto, in quale è destinato a Caina, zona ancor più terribile dell’Inferno) e spirituale, che li conduce alla dannazione eterna.
[7] Il ricordo è fonte di grande dolore, ma Dante si mostra tanto desideroso di sapere. Così Francesca, con dolcezza composta e dolente, racconta il momento del primo bacio:”Un giorno” qualsiasi, in una condizione del tutto normale della vita di corte, i due cognati leggono insieme un episodio della saga di re Artù: Ginevra, moglie di Artù, innamoratasi di Lancillotto, primo cavaliere di corte, lo bacia. La simmetria evidente della situazione li turba, i due si guardano e capiscono di nutrire lo stesso sentimento reciproco.
[8] Nel romanzo brettone il siniscalco Galehaut esorta i due innamorati a rivelarsi il loro amore, spingendo Ginevra a baciare Lancillotto. Il libro, dunque, svolge per Paolo e Francesca il ruolo che nella vicenda narrata è assegnato a Galehaut. Il libro ha ormai svolto il ruolo di rendere i due cognati consapevoli del loro sentimento. I due smettono di leggere passando dalla passione virtuale a quella reale. Non per questo si deve supporre che siano stati uccisi quel giorno stesso.
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