Italo Svevo – La coscienza di Zeno

il fumo

Italo Svevo – La coscienza di Zeno

Nel 1919 Svevo comincia a scrivere La coscienza di Zeno, pubblicato nel 1923. Dopo l’iniziale disinteresse, scoppia il “caso Svevo”, una vivace discussione sul romanzo e sulle altre opere dello scrittore.

 

Il titolo.

Il termine “coscienza” indica sia gli elementi consci sia quelli inconsci del protagonista. Il nome del protagonista rinvia alla parola greca “xenos” (xenos) cioè “straniero”, che allude all’estraneità del protagonista alla realtà che lo circonda. Il suo sguardo “straniato” gli fa vedere la banalità altrui, la falsa salute di borghesi soddisfatti, la relatività delle scelte. Il protagonista parla direttamente al lettore, in prima persona.

La storia.

Zeno Cosini, vecchio commerciante triestino, su indicazione del suo psicanalista (il “dottor S.”), da cui si è recato per guarire dal vizio del fumo, scrive un’autobiografia come contributo al lavoro psicanalitico. Poiché il paziente si è sottratto alle cure prima del previsto, il dottore per vendicarsi pubblica il manoscritto.

La struttura narrativa.

Svevo abbandona la struttura narrativa del romanzo ottocentesco, narrato da una voce anonima ed esterna alla vicenda: La coscienza di Zeno è strutturato in sette capitoli, scritti in prima persona dal protagonista, eccetto la Prefazione, che apre il romanzo (del dottor S.).

La narrazione non si sviluppa secondo un ordine cronologico lineare, ma attorno a una serie di nuclei tematici, indicati dai titoli dei capitoli: Prefazione, Preambolo, Il fumo, La morte di mio padre, La storia del mio matrimonio, La moglie e l’amante, Storia di un’associazione commerciale, Psico-analisi.

Zeno

Prefazione.

In essa il “dottor S.”, analista di Zeno, dice di avergli suggerito, di scrivere un diario, come preludio alla terapia, pur rendendosi conto che si trattava di un metodo poco ortodosso. Poiché il paziente si è sottratto alle cure prima del previsto, il dottore per vendicarsi dichiara di voler pubblicare il manoscritto, ma si dice anche disposto a dividere gli introiti col paziente, qualora egli riprenda la cura.

Preambolo.

Zeno racconta il suo accostamento alla psicanalisi e l’impegno di scrivere il suo memoriale, raccolto intorno ad alcuni temi ed episodi.

Il fumo.

Zeno è un accanito fumatore fin dall’adolescenza, quando inizia a fumare rubando i mozziconi di sigari lasciato in giro dal padre. La “malattia” di Zeno si manifesta, emblematicamente, nel vizio del fumo, nel morboso e nevrotico attaccamento alle sigarette, e in modo speciale all’ultima. Egli racconta gli innumerevoli, vani tentativi di smettere di fumare: ricorrenze e anniversari sono legati ai ripetuti propositi di fumare l’ultima sigaretta. Il fumo è una sorta di alibi, dietro cui Zeno nasconde le proprie insicurezze, la propria inettitudine, la propria assenza di volontà e la propria incapacità di capire il mondo. Il fumo è anche il vizio da cui non ci si può né ci si deve liberare, pena la guarigione: sarebbe assurdo “morire sano dopo di esser vissuto malato tutta la vita”.

La morte di mio padre.

Il rapporto di Zeno con il padre è caratterizzato da una forte ostilità reciproca: Zeno, con la sua ironia, provoca il padre, che da parte sua non lo comprende e lo disprezza per la sua inettitudine. Quando il padre è colpito da un edema cerebrale, Zeno si dedica a lui giorno e notte. Una sera, nel tentativo di impedirgli di alzarsi dal letto, lo trattiene con la forza, ma egli, con un ultimo sforzo si alza in piedi, solleva in alto una mano e, mentre crolla a terra morto, lo colpisce con uno schiaffo. Il protagonista vede nel gesto l’estrema punizione del padre, e questo crea in lui un forte senso di colpa per avere desiderato la sua morte. La probabile involontarietà dello schiaffo non attenua il suo senso di colpa.

La storia del mio matrimonio.

Zeno inizia a frequentare la casa di Giovanni Malfenti, da lui ammirato per l’abilità negli affari e per la forza di carattere, con l’intento di sposare una delle sue quattro figlie. Ada è la più grande e la più bella, Augusta è strabica ha radi capelli, Alberta è uno spirito libero, che sogna di esser poetessa, e infine la piccola Anna ha soli otto anni. La scelta di Zeno cade su Ada, che cerca di conquistare. Strimpella il violino, racconta aneddoti e fatti mai avvenuti, cerca di attirare la sua attenzione, ma inutilmente. Pressato dall’arrivo di un altro corteggiatore, Guido Speier, una sera Zeno dichiara il suo amore ad Ada che lo rifiuta. Egli ripiega così sulla sorella Alberta, ma anch’essa lo respinge. Infine, si rivolge alla brutta Augusta che, inaspettatamente, accetta di sposarlo, nonostante egli ammetta di non amarla.

La moglie e l’amante.

Augusta si rivela la donna giusta per Zeno, che sente in qualche modo di amarla per la sua “salute”. Tuttavia egli intraprende una relazione Carla, una ragazza povera e bella che lui aiuta economicamente. Benché Zeno consideri il rapporto con Carla temporaneo e abbia spesso intenzione di interromperlo, perché teme che possa mettere in crisi il suo matrimonio, la storia prosegue. Carla chiede a Zeno di poter vedere sua moglie, ma lui fa in modo che si imbatta nella bella Ada e non nella brutta Augusta. Carla però vede la tristezza di Ada, che ha da poco scoperto che Guido la tradisce, si sente in colpa e abbandona Zeno per sposare il giovane maestro di canto che lui le ha procurato e pagato.

Storia di un’associazione commerciale.

Guido Speier, marito di Ada, titolare dell’azienda cui si è associato Zeno, conclude alcuni affari con una forte perdita, che tenta di colmare giocando in Borsa. Il risultato è disastroso così Guido inscena un suicidio per impietosire i familiari e ottenere altro denaro, ma muore davvero per l’ingestione di una forte dose di “veronal”. Zeno riuscirà invece, con l’imprevisto aiuto della fortuna (l’improvviso rialzo dei titoli di borsa), a salvare la ditta dal fallimento. Nel giorno del funerale di Guido, Zeno si reca, per errore, al funerale di un estraneo.

Psico-analisi.

Zeno, divenuto ormai uomo ricco e di successo, abbandona la cura, spiegando la propria “guarigione”, che è accettazione della propria malattia. Egli si accorge di quanto malate siano, in realtà, le convinzioni che sostengono un comportamento “sano”, di quanto sia atroce quella salute che non analizza se stessa, scopre che il confine fra salute e malattia è forse inesistente. Zeno è consapevole che un male morale investe tutta la società cui egli appartiene, di cui l’uomo stesso è responsabile. Solo se la terra ricominciasse dalle origini, in seguito a una catastrofe inaudita, a un’esplosione enorme, che la facesse tornare alla forma di nebulosa scomparirebbero parassiti e malattie.

Il personaggio-narratore.

Il protagonista del romanzo è un inetto, incapace di agire e di rapportarsi alla quotidianità del vivere, è un “malato” che costantemente aspira alla “salute”. Nel romanzo tutto è valutato dalla coscienza del personaggio ma essa è fortemente condizionata dall’inconscio, cioè dal suo lato oscuro e incontrollabile.

Zeno è al tempo stesso narratore e oggetto della narrazione. Tutto il racconto passa attraverso il suo sguardo, che però non è uno sguardo qualunque, perché la sua nevrosi lo porta a “rimuovere” (cioè ad eliminare dalla coscienza) gli eventi più traumatizzanti della sua vita. Egli è perciò un narratore inattendibile e contraddittorio, spesso bugiardo.

Il tempo soggettivo e il rapporto fabula/intreccio.

Il tempo della narrazione non è più tempo cronologico ma tempo della memoria, è un tempo soggettivo, in cui il passato riaffiora continuamente e s’intreccia con il presente. La narrazione di Zeno avviene a ritroso, quando egli è ormai vecchio. Zeno sottopone gli eventi a un costante processo di interiorizzazione, dissolvendone l’ordine lineare, cronologicamente corretto, a favore della “durata” che essi hanno nella sua coscienza.

La durata, il “tempo della coscienza”, è per Svevo un tempo misto, dove i sedimenti del passato riemergono per influire attivamente sulle scelte del presente, ma dove il presente vince sempre, rivisitando il passato secondo le proprie esigenze. Svevo scardina la struttura “oggettiva” del romanzo borghese dell’Ottocento, sulla linea di molti narratori europei degli anni Venti, da Joyce a Proust, da Thomas Mann a Kafka.

La psicanalisi.

Allo scrittore Valerio Jahier, con cui Svevo fu in contatto epistolare dopo la pubblicazione della Coscienza di Zeno, scrisse di avere conosciuto “una quindicina d’anni or sono […] l’opera del Freud”, e precisa: “Grande uomo quel nostro Freud ma più per i romanzieri che per gli ammalati” (lettera del 10 dicembre 1927). La psicanalisi è sicuramente uno degli elementi di fondo del romanzo, che non potrebbe essere compreso, senza tenere conto di essa, benché non sia giudicata da Svevo come un efficace strumento di cura.

La Coscienza di Zeno nasce dopo il primo conflitto mondiale, come testimonianza drammatica di una crisi profonda della civiltà europea. La parte finale del romanzo evidenzia con chiarezza come la “malattia” individuale di Zeno sia riconducibile a un male universale che tocca tutta la collettività, di fronte al quale la psicanalisi è impotente. La società moderna dominata dalla tecnologia sembra avviata, secondo Svevo, all’autodistruzione e forse solo questa potrebbe eliminare veramente “parassiti e malattie”.

La figura dell’inetto.

L’inetto di Svevo nasce su un terreno autobiografico, pur vantando precedenti letterari. “Una vita”, “Senilità”, “La coscienza di Zeno” segnano i momenti successivi di una riflessione che si svolge intorno a un unico tema, a una sola tipologia di personaggio, appartenente alla piccola o media borghesia triestina.

I protagonisti dei tre romanzi, Alfonso Nitti, Emilio Brentani, Zeno Cosini hanno in comune la totale inettitudine a vivere. Essi sono uomini incapaci di vivere se non interiormente, possono essere definiti antieroi, uomini “senza qualità” che non sanno vivere come gli altri e con gli altri, che si sentono e sono percepiti come “diversi”.

Tutto l’arco della narrativa dell’autore si distende fra due poli: dalla convinzione iniziale che la “diversità” rappresenti una sventura, l’autore passa alla convinzione, espressa nell’ultimo romanzo, che essa comporti, invece, un difficile privilegio, come una marcia in più nel vivere e nel conoscere.

L’inetto di Svevo, lucidamente consapevole della propria malattia e della propria sconfitta di fronte alla vita, riflette la crisi dell’uomo del primo Novecento che, dietro superficiali certezze, nasconde vuoto, inquietudine e angoscia esistenziale.

la coscienza di Zeno
http://www.minimaetmoralia.it/wp/zeno/

 

 

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