Ludovico Ariosto, Orlando furioso, Canto I

cavalieri

Ludovico Ariosto, Orlando furioso, Canto I

Versione in italiano contemporaneo di Giorgio Baruzzi

 

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Proemio/dedica. Angelica si allontana dall’accampamento cristiano, incontra Rinaldo e fugge. Ferraù combatte contro Rinaldo. I due guerrieri interrompono il duello e insieme rincorrono Angelica. A un bivio si dividono. Ferraù, tornato dov’era, cerca di recuperare l’elmo nel fiume e gli appare il fantasma di Argalia. Ferraù giura che conquisterà l’elmo di Orlando. Rinaldo rincorre inutilmente il suo destriero Baiardo. Angelica giunge a un ameno boschetto, dove poco dopo arriva Sacripante. Angelica vorrebbe servirsi di lui come guida, ma lui non intende rinunciare alla debita ricompensa amorosa. Mentre si accinge ad abusare di lei giunge un cavaliere tutto vestito di bianco: si scontrano e Sacripante viene abbattuto. A vincerlo è stata Bradamante. Angelica e Sacripante incontrano Baiardo, il cavallo in fuga di Rinaldo. Sopraggiunge Rinaldo.

 

  1. Le donne, i cavalieri, le guerre, gli amori, le cortesie, le audaci imprese io canto, che ci furono al tempo in cui i Mori attraversarono dall’Africa il mare, tanto devastando la Francia, seguendo le ire e i furori giovanili del loro re Agramante, che proclamò di voler vendicare la morte di Troiano contro re Carlo imperatore romano. 
  2. Al tempo stesso narrerò di Orlando cose mai scritte né in prosa né in rima, che per amore divenne pazzo furioso, mentre era uomo reputato tra i più saggi, se da colei che quasi m’ha reso pazzo, poiché ogni momento mi consuma il poco ingegno, mi sarà concesso quanto mi basti per finire quanto ho promesso. 
  3. Vi piaccia, generosa prole di Ercole, ornamento del nostro secolo, Ippolito, gradire questo che vuole e solo può darvi il vostro umile servo. Quello che vi devo, posso pagarlo in parte con le parole e con i miei scritti. Non può dirsi che io sia colpevole di darvi poco, poiché quanto posso darvi tutto ve lo dono.
  4. Voi sentirete, fra i più degni eroi che mi accingo a lodare, ricordare quel Ruggiero che fu il capostipite vostro e dei vostri illustri avi. L’alto valore e le sue famose imprese vi farò ascoltare, se mi presterete orecchio e se i vostri più importanti pensieri cesseranno per un po’, così che i miei versi possano in essi trovare spazio.
  5. Orlando, che da lungo tempo era innamorato della bella Angelica, e che per lei aveva compiuto infinite, memorabili gesta, in India, in Media e in Tartaria, era tornato con lei in Occidente, dove re Carlo era accampato con l’esercito di Francia e di Germania, sotto i grandi monti Pirenei.
  6. Carlo voleva far pentire il re Marsilio e il re Agramante per il loro folle, temerario gesto, di aver condotto l’uno quante più genti atte a combattere con spada e lancia dall’Africa, l’altro per aver spinto la Spagna contro il bel regno di Francia per distruggerlo. Così, Orlando vi giunse al momento giusto, ma subito si pentì di esservi giunto.
  7. Infatti, qui in seguito gli fu tolta la sua donna: ecco come il giudizio umano spesso erra! Colei che da Occidente a Oriente aveva difeso con così lungo combattere, ora gli veniva tolta in mezzo a tanti amici suoi, nella sua terra, senza ricorrere alla spada. Fu il saggio imperatore che gliela tolse, perché volle estinguere un grande incendio.Pochi giorni prima era iniziata una contesa tra il conte Orlando e suo cugino Rinaldo, perché entrambi avevano l’animo acceso d’amoroso desiderio per la straordinaria bellezza di Angelica. Re Carlo, irritato da questa lite, che rendeva meno solido il loro aiuto, affidò la donzella in custodia al duca Namo di Baviera. 
  8. La promise poi in premio a chi dei due avesse mostrato più valore e avesse fatto più strage di infedeli, in quella grande, imminente, battaglia. L’esito della battaglia fu tuttavia diverso dai propositi, infatti i cristiani furono messi in fuga, e il duca di Baviera fu fatto prigioniero assieme a molti altri, e il padiglione dove Angelica era prigioniera fu abbandonato.
  9. Rimasta sola nella tenda, la donzella, che doveva essere la ricompensa del vincitore, vista l’occasione propizia salì in sella a un cavallo e al momento opportuno fuggì, prevedendo che quel giorno la fortuna sarebbe stata avversa ai cristiani: entrò in un bosco e per uno stretto sentiero incontrò un cavaliere che avanzava a piedi.
  10. Aveva addosso la corazza, in testa l’elmo, al fianco la spada e al braccio lo scudo, eppure correva per la foresta più veloce di un contadino mezzo nudo in una gara di corsa. Mai una spaventata pastorella ritrasse il piede così rapidamente dal morso di un serpente letale, come Angelica, che subito tirò le redini per cambiare direzione quando si accorse del guerriero che sopraggiungeva a piedi.
  11. Questi era Rinaldo, il valoroso paladino, figlio di Amone, signore di Montalbano, al quale poco prima il suo destriero Baiardo per uno strano caso era fuggito di mano. Appena posò lo sguardo sulla donna, riconobbe, nonostante fosse lontana, l’angelico aspetto e il bel volto che lo tenevano prigioniero delle reti dell’amore.
  12. La donna voltò indietro il cavallo e lo lanciò a briglia sciolta nella selva. Senza cercare la via migliore e più sicura, in mezzo alla vegetazione più rada o più folta, pallida, tremante e fuori di sé, lasciò che il cavallo si facesse strada da solo. Si aggirò da ogni parte, nella foresta selvaggia, tanto che infine giunse alla riva di un fiume.
  13. In riva al fiume trovò Ferraù tutto sudato e polveroso. Poco prima lo aveva distolto dalla battaglia un grande desiderio di bere e di riposarsi; e poi, contro la sua volontà, lì si era dovuto fermare, perché, per l’avidità e per la fretta di bere, aveva lasciato cadere nel fiume l’elmo e non era riuscito ancora a recuperarlo.
  14. Sopraggiunse, gridando quanto più poteva, la donzella spaventata. Udita quella voce, il Saraceno saltò sulla riva, la guardò in viso e subito riconobbe colei che stava arrivando, benché fosse pallida e turbata dalla paura e fossero passati più giorni da quando lui ne aveva avuto notizia, poiché era senza dubbio la bella Angelica.
  15. E poiché era cortese e forse ne aveva l’animo infiammato non meno dei due cugini, le porse tutto l’aiuto che poteva, come se avesse l’elmo, temerario e spavaldo: sguainò la spada e corse minaccioso verso Rinaldo, che però non era per niente intimorito. Più volte si erano già non solo visti ma anche scontrati con le armi.
  16. Cominciarono lì una feroce battaglia, a piedi come si trovavano, menando fendenti tali, con le spade sguainate, che non solo le piastre della corazza e la maglia di ferro ma neppure le incudini avrebbero retto ai loro colpi. Ora, mentre i due combattevano aspramente, Angelica con tutta la forza dei calcagni spronò il destriero, che fu costretto ad affrettare il passo, galoppando per i boschi e per i campi.
  17. Dopo che i due cavalieri si furono affaticati invano nel tentativo di prevalere, poiché con la spada in mano, l’uno non era meno abile dell’altro, fu per primo il signore di Montalbano a rivolgersi al cavaliere spagnolo, così come fa chi ha nel cuore tanto fuoco d’amore che lo fa ardere tutto e non trova pace.
  18. Disse al pagano: -Avrai creduto di danneggiare solo me, invece colpisci te stesso: se questo accade perché gli occhi splendenti di Angelica ti hanno infiammato il cuore, che vantaggio ricavi facendomi perdere tempo qui? Infatti anche se tu riuscirai a uccidermi o a farmi prigioniero, non riuscirai a fare tua la bella donna, dato che, mentre noi ci attardiamo, lei scappa via. 
  19. Quanto sarebbe meglio, poiché anche tu la ami, che tu riesca a tagliarle la strada, a trattenerla e a farla fermare, prima che se ne vada ancor più lontano! Appena l’avremo in nostro potere, si decida allora con la spada a chi ella debba appartenere: non so altrimenti, dopo tanto affannoso combattere, che cosa possiamo ottenere se non danno.-
  20. Al pagano Ferraù la proposta non dispiacque: così il duello fu rimandato e una tale tregua tra loro fu subito attuata, che furono dimenticati l’odio e l’ira. Il pagano nel partire dalle fresche acque del fiume non lasciò a piedi il buon figlio di Amone: con preghiere lo invitò, e alla fine lo fece montare a cavallo, galoppando all’inseguimento di Angelica.
  21. Oh grande generosità dei cavalieri antichi! Erano rivali, erano di fede diversa, si sentivano dolenti in tutto il corpo per i colpi terribili e crudeli, eppure per boschi oscuri e sentieri tortuosi andavano insieme senza aver sospetto l’uno dell’altro. Spronato da quattro sproni il destriero arrivò a un punto in cui la strada si divideva in due diverse direzioni.
  22. Siccome essi non potevano sapere quale delle due strade la donzella seguisse (poiché le orme recenti sembravano in entrambe identiche) affidarono alla fortuna la scelta, Rinaldo a questa, Ferraù a quella. A lungo Ferraù si aggirò per il bosco, e alla fine si ritrovò nel punto da cui era partito. 
  23. Alla fine si ritrovò di nuovo in riva al fiume dove l’elmo gli era caduto in acqua. Poiché non contava di poter trovare Angelica, sulla riva del fiume scese vicino all’acqua, in quel punto dove l’elmo gli era caduto. Ma quello era così conficcato nella sabbia che avrebbe dovuto faticare molto per riaverlo. 
  24. Con un grosso ramo privato delle foglie, da cui aveva ricavato una lunga pertica, sondò il fondale del fiume, e non tralasciò di battere e cercare in ogni punto. Mentre molto irritato proseguiva a lungo la sua ricerca, vide uscire dal fiume un cavaliere fino al petto, di aspetto fiero.
  25. Era tutto armato, tranne che sulla testa, e nella mano destra teneva un elmo: era lo stesso elmo che Ferraù aveva a lungo cercato invano. Parlò a Ferraù in tono adirato e disse: -Ah, spergiuro e traditore! Perché ti crucci di dover lasciare l’elmo che da molto tempo avresti dovuto restituirmi? 
  26. Ricordati, pagano, quando uccidesti il fratello di Angelica (e sono io), e mi promettesti di gettare nel fiume entro pochi giorni anche il mio elmo insieme al resto dell’armatura. Ora se la Fortuna fa il mio volere (quello che tu non hai voluto fare), non arrabbiarti, e se proprio arrabbiare ti devi, arrabbiati perché hai mancato alla parola data.
  27. Ma se proprio hai desiderio di un elmo raffinato, trovane un altro e conquistalo con maggiore onore. Ne porta uno così il paladino Orlando, e uno simile Rinaldo, forse ancor migliore. Uno fu di Almonte e l’altro di Mambrino: conquista uno di quelli con il tuo valore e questo, che già avevi promesso di lasciarmi, farai bene a lasciarmelo subito.-
  28. All’improvvisa apparizione di quel fantasma dall’acqua, al saraceno si rizzò ogni pelo e impallidì il viso. La voce gli si strozzò in gola, mentre stava per uscire. Sentendo poi che Argalia, che aveva ucciso qui (infatti Argalia si chiamava) gli rimproverava in tal modo di aver mancato di parola, arse dentro e fuori di vergogna e d’ira.
  29. Non avendo il tempo di trovare una scusa, sapendo bene che diceva il vero, restò senza risposta a bocca chiusa. Ma la vergogna così gli trafisse il cuore che giurò sulla vita di sua madre Lanfusa di non volere che alcun altro elmo lo proteggesse se non quello pregiato che Orlando aveva tolto in Aspromonte dal capo del feroce Almonte.
  30. E mantenne questo giuramento meglio di quanto non avesse fatto col primo. Se ne andò poi via tanto scontento che si rose e rimuginò dentro di sé per molti giorni. Ogni suo intento fu volto a cercare Orlando, in ogni luogo, dove pensava di trovarlo. Altra avventura accadde al buon Rinaldo, poiché strade diverse percorreva. 
  31. Non procedette a lungo Rinaldo, quando si vide saltare davanti il suo animoso destriero: -Baiardo mio, su, ferma il passo! Perché stare senza di te troppo mi nuoce.- Ma il cavallo, sordo al suo richiamo, non tornò da lui, anzi fuggì via ancora più veloce. Rinaldo lo inseguì, struggendosi di rabbia. Ma seguiamo ora Angelica che fugge.
  32. Fuggiva in mezzo a buie, paurose selve, in luoghi disabitati, isolati e selvaggi. Il muovere che sentiva delle foglie e della vegetazione, di querce, di olmi e di faggi, l’aveva indotta con improvvisi timori a percorrere sentieri fuori mano. Infatti a ogni ombra vista in un monte o in una valle, temeva sempre di avere Rinaldo alle spalle.
  33. Come una giovanissima daina o capriola, che abbia visto in mezzo agli alberi del boschetto dov’è nata, un gattopardo stringere alla gola la madre o lacerarle il fianco o il petto, Angelica fuggiva di selva in selva tremando di paura, temendo a ogni fruscio di finire in bocca alla belva crudele.
  34. Quel giorno, la notte seguente e metà dell’altro giorno andò vagando, senza sapere dove stesse andando. Alla fine giunge presso un boschetto leggiadro, mosso da un fresco venticello. Attorno vi scorrevano gorgogliando due limpidi ruscelli, che rendevano sempre verde e fresca la vegetazione e lo scorrere lento dell’acqua, rotto da piccoli sassi, produceva all’orecchio una dolce armonia.
  35. Qui, sembrandole di essere al sicuro e lontana mille miglia da Rinaldo, stanca per il viaggio e per il caldo estivo, pensò di riposare un po’. Scese tra i fiori e lasciò che il cavallo andasse al pascolo, senza le briglie. Quello andò girovagando intorno alle acque limpide, poiché le loro rive erano piene di fresca erba.
  36. Ecco che vide poco lontano un bel cespuglio di biancospini fioriti e di rose rosse, che si rispecchiava nelle acque, protetto dal sole da alte querce ombrose, così ampio in mezzo da offrire una fresca dimora tra le ombre più nascoste. Le foglie erano così folte e così intrecciate ai rami che il sole non poteva penetrarvi e tanto meno la vista. 
  37. Dentro c’era un letto di “tenere erbette”, che invitavano a riposarsi chiunque entrasse lì. La bella Angelica si pose su di esso, si coricò e lì si addormentò. Ma non rimase così per molto tempo, poiché le sembrò di sentire un calpestio: si alzò in silenzio e vide che un cavaliere armato era giunto vicino al fiume.
  38. Non comprese se potesse essergli amico o nemico: timore e speranza agitarono il suo cuore nell’incertezza, e attese di vedere come la cosa finisse, senza emette un solo sospiro nell’aria. Il cavaliere smontò in riva al fiume e mise le guance a riposare su un braccio. Tanto si fissò in un pensiero che lo assorbiva, da sembrare tramutato in una roccia, senza vita.
  39. Il cavaliere addolorato, o mio signore, restò pensieroso più di un’ora, a capo basso, poi cominciò a lamentarsi con tono di voce afflitto e stanco, così dolcemente che avrebbe spezzato un sasso, e reso clemente una crudele tigre, per la pietà suscitata. Piangeva sospirando, così che le guance sembravano un ruscello e il petto sembrava il Mongibello.
  40. Diceva: -O pensiero che mi geli e mi bruci il cuore, e che causi il dolore che sempre lo rode e lo consuma, che cosa devo fare, poiché sono giunto tardi, e un altro è arrivato prima a cogliere il frutto? A malapena io ne ho avuto parole e sguardi, un altro gode di tutta la ricca preda. Se a me non tocca né il frutto né il fiore, perché vuoi ancora, per causa sua, affliggermi il cuore? 
  41. La giovane vergine è simile alla rosa, che mentre riposa in un bel giardino, sola e sicura, protetta sullo stelo dalle spine, né gregge né pastore l’avvicinano. L’aria dolce e l’alba rugiadosa, l’acqua, la terra si inchinano a lei, mentre giovani belli e donne innamorate amano averne i seni e le tempie adornate.
  42. Ma appena viene tolta dal suo materno stelo e dal suo gambo verde, ecco che perde tutto quello che gli uomini e il cielo le tributavano, finezza, grazia, bellezza. La vergine che lascia a qualcuno cogliere il fiore della sua verginità, che dovrebbe proteggere assai più dei suoi begli occhi e della vita, perde nel cuore di tutti gli altri innamorati il valore che aveva prima.
  43. Sarà perciò di scarso valore per gli altri e sarà amata da quel solo al quale ha fatto un così generoso dono. Ah, Fortuna crudele! Fortuna ingrata! Qualcun altro esulta e io muoio di stenti. Dunque può essere che non mi sia più gradita? Dunque posso lasciare la mia propria vita? Ah, piuttosto finiscano i miei giorni, che io non viva più, se non potrò più amare lei!-
  44. Se qualcuno mi domanda chi fosse costui, che spargeva tante lacrime su quel ruscello, io gli dirò che era il re di Circassia, quel Sacripante tormentato dall’amore. Aggiungerò poi che la prima e sola causa della sua atroce sofferenza era l’essere innamorato, e per di più uno dei tanti innamorati di Angelica, e da lei fu ben riconosciuto.
  45. Egli era giunto dall’estremo Oriente per amor suo fino in Occidente, infatti in Oriente aveva appreso con gran dolore che aveva seguito Orlando verso Ponente. Seppe poi che in Francia l’imperatore Carlo Magno l’aveva separata dagli altri, per darla in sposa a quello dei due che quel giorno avrebbe aiutato di più la Francia contro i Mori.
  46. Era stato sul campo di battaglia e aveva sentito di quella terribile sconfitta subita da Carlo: aveva cercato le tracce della bella Angelica ma non le aveva ancora potute trovare. Questa era dunque la triste e infausta notizia che lo faceva soffrire di dolore amoroso, che lo affliggeva e che lo spingeva a lamentarsi e a dire parole che avrebbero potuto per la pietà fermare il sole.
  47. Mentre costui così si affliggeva e si lamentava, spargendo calde lacrime dagli occhi, e pronunciando queste e molte altre parole che non mi sembra necessario riferire, la sua straordinaria fortuna volle che esse fossero ascoltate da Angelica. Così, egli giunse a un’ora, a un punto, che magari in mille anni o mai più sarebbe stato raggiunto.
  48. La bella Angelica osservò con molta attenzione il pianto, le parole, i modi di colui che non trovava pace nell’amarla, e questo non era il primo giorno che l’ascoltava ma, più dura e fredda di una colonna, non per questo però aveva pietà di lui, come se sdegnasse il mondo intero e le sembrasse che nessuno fosse degno di lei.
  49. Tuttavia, il ritrovarsi da sola per quei boschi, le diede l’idea di prendere costui per sua guida, poiché chi ha l’acqua alla gola è ben ostinato se non chiede aiuto. Se adesso avesse perso questa occasione, non avrebbe trovato mai più una scorta così sicura. Infatti, in molte occasioni aveva potuto constatare quanto quel re le fosse fedele più di ogni altro amante.
  50. Ma non per questo pensava di alleviare l’affanno che distruggeva colui che la amava, né di ripagare ogni danno passato con quel piacere che ogni amante più brama: ordiva e tramava invece una qualche finzione, un qualche inganno, per lasciarlo nella speranza, così da potersene servire al suo bisogno, per poi tornare ai suoi consueti modi duri e alteri.
  51. Fece bella mostra di sé all’improvviso, fuori da quel cespuglio oscuro che la nascondeva, come sulla scena teatrale si mostrano Diana o Venere fuori da un bosco o da una caverna ombrosa. Al suo apparire disse: -La pace sia con te. Dio difenda con te anche la nostra fama e non voglia, contro ogni ragione, che tu abbia di me una falsa opinione.-
  52. Mai nessuna madre alzò lo sguardo con tanta gioia o con tanto stupore sul figlio, che aveva sospirato e pianto per morto, perché aveva sentito che l’esercito era tornato senza di lui, quanta furono la gioia e lo stupore con cui il saraceno si vide all’improvviso apparire di fronte la nobile presenza, le leggiadre movenze e le autentiche angeliche sembianze della donna.
  53. Pieno di dolce e amoroso affetto, corse dalla sua donna, dalla sua dea, che gli gettò le braccia al collo e lo abbracciò strettamente, cosa che forse non avrebbe fatto in Catai. Avendo costui accanto, il suo animo pensò subito al regno di suo padre, al luogo natio: subito si accese in lei la speranza di poter rivedere presto il suo ricco palazzo.
  54. Angelica gli riferì compiutamente quel che era accaduto dal giorno in cui lo mandò a chiedere soccorso in Oriente, al re dei Sericani e dei Nabatei, e di come Orlando l’avesse spesso protetta dalla morte, dal disonore, da ogni sciagura. Disse che la sua verginità era intatta, come quando era uscita dal ventre materno.
  55. Forse era vero. Non era però credibile a chi fosse padrone del suo intelletto, ma a lui sembrò facilmente possibile, poiché era in preda ad un errore ben più grande, essendo innamorato. Amore rende invisibile ciò che l’uomo vede, Amore fa vedere quel che è invisibile. Questa cosa fu creduta, infatti il misero è solito credere facilmente a quello che desidera.
  56. Sacripante disse tra sé e sé: -Se il cavaliere d’Anglante non seppe cogliere per sua stupidità l’occasione favorevole, avrà il suo danno. D’ora in avanti la fortuna non gli offrirà più un simile dono, ma io non intendo imitarlo e lasciare un simile bene che mi è concesso, così che poi debba lagnarmi di me stesso.
  57. Coglierò la fresca e mattutina rosa, poiché tardando a coglierla, potrebbe perdere la sua freschezza. So bene che non si può fare a una donna cosa più soave e piacevole, anche se si mostra ritrosa, e a volte se ne sta triste e in lacrime: non lascerò che un rifiuto o un finto sdegno mi impediscano di intraprendere e portare a termine il mio intento.-
  58. Così egli diceva, ma mentre si preparava al dolce assalto, un gran rumore che risuonò nel bosco vicino gli rintronò le orecchie, sicché abbandonò l’impresa suo malgrado: indossò l’elmo (era da tempo abituato a essere sempre armato), raggiunse il cavallo e gli mise le briglie, rimontò in sella e impugnò la lancia.
  59. Ecco un cavaliere attraversare il bosco, con l’aspetto di un uomo energico e coraggioso: la sua armatura era bianca come la neve, per cimiero aveva un pennacchio bianco. Re Sacripante, che non poté tollerare che quello col suo passaggio inopportuno lo avesse interrotto, mentre stava per ricavare sommo piacere, lo fissò con sguardo sdegnato e incattivito.
  60. Appena si avvicinò lo sfidò a duello, perché pensava di disarcionarlo facilmente. L’altro, che credo avesse lo stesso suo valore e ne diede prova, troncò a metà le orgogliose minacce di Sacripante e, al tempo stesso, spronò il cavallo e mise la lancia in resta. Sacripante a sua volta si scagliò come una furia e corsero a scontrarsi l’uno contro l’altro.
  61. Né i leoni né i tori in amore si scagliano di petto e si scontrano l’un contro l’altro con tale foga, così come fecero i due guerrieri in quel violento assalto, in cui entrambi trapassarono gli scudi. Lo scontro fece tremare dal basso in alto le valli erbose, sino alle colline aride, e per fortuna giovò loro avere corazze solide e di buona fattura, cosicché salvarono i loro petti.
  62. I cavalli non fecero un cammino obliquo, ma cozzarono come due montoni: quello di Sacripante morì all’istante, pur essendo da vivo uno dei migliori; l’altro cadde a sua volta, ma si rialzò subito, appena sentì gli sproni nei fianchi. Quello del re saraceno rimase disteso addosso al suo padrone, con tutto il peso.
  63. Lo sconosciuto vincitore, che restò in piedi, appena vide l’altro a terra col cavallo, si ritenne soddisfatto da quello scontro e non pensò di rinnovare l’assalto, ma correndo a briglia sciolta si lanciò attraverso il bosco, dove il sentiero era dritto, e prima che Sacripante si disbrigasse, era già lontano poco meno di un miglio.
  64. Il pagano appiedato si rialzò, essendo Angelica presente alla sua amara sconfitta. Si rialzò stordito e tramortito come un contadino che, venuto il fulmine, si risolleva da terra dove il fortissimo fragore l’aveva atterrato vicino ai buoi morti, che vede senza fronde il pino che era solito guardare da lontano.
  65. Sacripante sospirò e si lamentò, non perché sentisse dolore per un piede o per un braccio rotto o slogato, ma solo per la vergogna, per la quale nella sua vita, né prima né dopo questo evento, arrossì tanto in volto. Tanto più che, oltre a essere caduto, era stata la sua donna a togliergli di dosso il peso del cavallo. Sarebbe rimasto in silenzio, almeno credo, se Angelica non gli avesse ridato la voce.
  66. Angelica disse: -Suvvia, signore, non vi dispiaccia! Poiché non è colpa vostra se siete caduto, ma del cavallo, cui servivano riposo e biada piuttosto che un nuovo scontro. Quindi quel guerriero non si dia vanto, poiché in realtà lui mostra di essere lo sconfitto: così infatti penso, per quel che ne posso capire, perché per primo ha abbandonato il campo di battaglia.-
  67. Mentre Angelica confortava il saraceno, ecco giungere al galoppo sopra un ronzino, con un corno e con la bisaccia al fianco, un messaggero che sembrava molto stanco. Appena fu vicino a Sacripante, gli chiese se avesse visto passare per la foresta un guerriero con uno scudo bianco e un pennacchio bianco in testa.
  68. Sacripante rispose: -Come vedi, mi ha abbattuto qui e se ne è appena andato. Fammi sapere chi mi ha appiedato, dimmi il suo nome. -E il messaggero gli disse: -Risponderò subito a quel che mi chiedi: tu devi sapere che ti ha sbalzato di sella una nobile fanciulla di grande valore. 
  69. Lei è vigorosa, e bella ancor più. Non ti nascondo neppure il suo nome famoso: è stata Bradamante quella che ti ha tolto tutto l’onore da te guadagnato in giro per il mondo.-Dopo aver detto così, andò via a briglia sciolta, lasciando lì il saraceno poco contento, che non seppe che cosa dire o che cosa fare, avvampando tutto di vergogna in viso.
  70. Dopo aver pensato per un bel pezzo invano a quanto gli era successo, alla fine si rese conto di essere stato vinto da una donna, e più ci pensava, più sentiva dolore. Montò sull’altro cavallo, completamente ammutolito, e senza dire parola fece salire Angelica in groppa, rimandando la sua conquista a un momento e a un luogo più propizio.
  71. Non avevano percorso due miglia quando sentirono risuonare la foresta che li circondava con un tale frastuono e strepito che essa sembrava tremare da ogni parte. Poco dopo apparve un gran destriero, bardato in oro e riccamente adornato, che saltava cespugli e ruscelli, e con fracasso travolgeva la vegetazione e tutto ciò che gli ostacolava il passo.
  72. La donna disse: -Se i rami intricati e l’aria scura non ingannano i miei occhi, è Baiardo quel destriero che con tale rumore si apre la strada in mezzo al bosco. Questo è certo Baiardo, io lo riconosco: oh, come ben capisce le nostre necessità! Infatti un solo cavallo per entrambi sarebbe poco adatto, e lui viene veloce in nostro soccorso.-
  73. Il Circasso smontò e si avvicinò al cavallo, e pensava di prendere il freno in mano. Il destriero gli rispose sgroppando, rapido a voltarsi in un baleno. I calci che sferrò non giunsero al bersaglio: povero Sacripante, se l’avessero colpito! Infatti il cavallo nei calci aveva una tale forza che avrebbe spezzato una montagna di metallo.
  74. Poi se ne andò mansueto da Angelica, con atteggiamento umile e docile, come il cane saltella intorno al padrone che è stato lontano due o tre giorni. Baiardo si ricordava ancora di lei, quando ad Albracca gli dava da mangiare con le sue mani, nel tempo in cui lei tanto amava Rinaldo che, invece, era crudele e ingrato verso di lei.
  75. Angelica prese le briglie con la mano sinistra, con l’altra gli toccò e accarezzò il collo e il petto: quel destriero, che aveva un meraviglioso ingegno, si fece guidare da lei come un agnellino. Intanto Sacripante colse il momento favorevole: montò Baiardo, lo spronò e lo trattenne per domarlo. La fanciulla lasciò la groppa del cavallo e si rimise più comodamente in sella.
  76. Poi, volgendo lo sguardo attorno, vide venire a piedi un possente guerriero con gran frastuono d’armi. Avvampò tutta di rabbia e d’ira, poiché riconobbe Rinaldo, il figlio del duca Amone. Lui l’amava e la desiderava più della sua stessa vita, lei lo odiava e lo rifuggiva più di quanto la gru faccia col falcone. Un tempo fu lui a odiare lei più della morte, mentre lei lo amava: ora avevano invertito i ruoli.
  77. Causa di questo erano state due fontane, entrambe sulle Ardenne e non lontane l’una dall’altra, le cui acque producono un effetto opposto: una riempie il cuore di desiderio amoroso, mentre chi beve dall’altra rimane senza amore e il precedente ardore si trasforma in ghiaccio. Rinaldo aveva bevuto dall’una e l’amore lo tormentava, Angelica dall’altra, perciò lo odiava e rifuggiva.
  78. Quell’acqua, mista a un segreto veleno, che muta la passione d’amore in odio, fece sì che la donna, che aveva visto Rinaldo, subito negli occhi limpidi si rabbuiò, e con voce tremante e con viso desolato supplicò Sacripante e lo scongiurò di non aspettare che quel guerriero si avvicinasse di più, ma che fuggisse insieme a lei.
  79. Il saraceno disse: -Godo dunque, godo dunque di così poco credito presso di voi, che mi stimiate inutile e incapace di potervi difendere da costui? Già avete dimenticato le battaglie di Albracca, e la notte in cui io fui, solo e nudo, la sola difesa alla vostra salvezza contro Agricane e tutti i suoi uomini?-
  80. Lei non rispose, e non sapeva che cosa fare, poiché Rinaldo ormai le era troppo vicino, e da lontano minacciava il saraceno, perché aveva visto e riconosciuto il suo cavallo, e altresì riconosciuto il volto angelico che nel suo cuore aveva acceso l’amoroso fuoco. Quello che accadde tra questi due orgogliosi cavalieri al canto successivo voglio riservarlo.

 

Analisi del testo

Il proemio

La struttura del proemio (introduzione) segue formalmente le regole tradizionali. Tuttavia, a ben vedere, non sono poche le novità: nel presentare i due filoni narrativi del poema, Ariosto subito evidenzia l’elemento della follia, che non solo colpisce il prode e saggio Orlando, divenuto matto per amore e per gelosia, ma che è anche all’origine della guerra che il re pagano Agramante  ha mosso a Carlo Magno (“l’ire e i giovenil furori…”).

La follia fa parlare di sé anche nell’invocazione, infatti il poeta chiede e spera che la donna amata, che via via consuma il suo ingegno, gliene lasci almeno quanto basti per portare a conclusione l’opera. Nella parte finale del proemio, la dedica esalta, secondo alcuni con tono ironicamente eccessivo, la casata degli Estensi, confidando di poter trovare ascolto da parte del signore, nonostante le sue elevate occupazioni. Il primo verso del poema presenta, attraverso un chiasmo (incrocio di coppie di parole), i due filoni narrativi centrali, quello della guerra (cavallier; armi;) e quello dell’amore (donne; amori;).

Il ricorso a questa figura retorica, con un avvio così incalzante, vuole presentare i due temi come strettamente intrecciati tra di loro, fondendo i tradizionali cicli narrativi carolingio e bretone, dai quali ha avuto origine la letteratura cavalleresca. All’epoca di Ariosto i tradizionali valori della cavalleria sono tramontati e l’autore li presenta da un lato con nostalgia ma dall’altro anche con occhio disincantato e ironico.

Angelica in fuga

Carlo Magno, per placare la contesa che si è scatenata tra i valorosi paladini Rinaldo e Orlando, per Angelica, principessa del Catai (Cina), l’affida in custodia al duca Namo di Baviera e la promette come premio a chi dei due si mostrerà più valoroso in battaglia.

Ma le cose si mettono male per l’esercito cristiano, così Angelica, cogliendo la situazione favorevole, salta a cavallo e fugge. “Intorno ad Angelica in fuga è un vorticare di guerrieri che, accecati dal desiderio, dimenticano i sacri doveri cavallereschi, e per troppa precipitazione continuano a girare a vuoto” (I. Calvino).

La prima impressione è che questi cavalieri non sappiano bene che cosa vogliono: un po’ inseguono, un po’ duellano, un po’ giravoltano e sono sempre sul punto di cambiare idea.

È il caso di Ferraù: mentre sta cercando di ripescare l’elmo che gli è caduto in un fiume, vede giungere Angelica, di cui è innamorato, inseguita da Rinaldo, smette di cercare l’elmo e inizia un aspro duello con lui.

Nel bel mezzo del duello Rinaldo gli propone di rimandare lo scontro e di inseguire insieme la fuggitiva. Ferraù smette di duellare e dopo averlo addirittura fatto salire a cavallo, assieme a Rinaldo si mette a inseguire Angelica, d’amore e d’accordo. A un bivio si separano e Ferraù si ritrova di nuovo sulla riva del fiume dove gli è caduto l’elmo e si mette di nuovo a cercarlo, interrompendo l’inseguimento di Angelica.

Dal fiume uscirà il fantasma di Argalia, un guerriero da lui ucciso, che rivendica il proprio elmo ed esorta Ferraù a conquistarsi piuttosto quello di Orlando. A quel punto Ferraù si lancia alla ricerca di Orlando.

La ricerca e il movimento continuo appaiono temi centrali del canto: Angelica cerca la libertà per poter ritornare in patria, Rinaldo cerca il suo cavallo Baiardo che gli è sfuggito e al tempo stesso insegue Angelica, di cui è innamorato perché ha bevuto alla fonte dell’amore, mentre lei lo sfugge terrorizzata perché ha bevuto alla fonte dell’odio.

Tutti si muovono affannosamente, cercano qualcosa ma non trovano mai quello che vogliono e si aggirano come in un labirinto, ben rappresentato dalla selva, in cui i percorsi s’intrecciano e si separano, senza che nessuno consegua il suo obiettivo.

Angelica mette in moto l’azione spingendo i cavalieri, presi dalla passione amorosa, a inseguirla.

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