Svevo, Il fumo

il fumo

Italo Svevo, Il fumo.

Da  La coscienza di Zeno

Capitolo III – Il fumo.

Penso che la sigaretta abbia un gusto piú intenso quand’è l’ultima.

Il vizio del fumo è fortemente diffuso e produce notevoli danni alla salute, esso anzi costituisce una delle principali cause di morte. Eppure il vizio del fumo è durissimo da vincere, come ben sanno fumatori ed ex fumatori. Così, il proposito fallito di fumare l’ultima sigaretta da parte del protagonista può essere ben compreso. Nato come gesto di libertà e di ribellione alla superiorità paterna, esso assurge a simbolo della sua inettitudine, della sua incapacità, della sua assenza di determinazione, della sua malattia…

 

Ricordo di aver fumato molto, celato in tutti i luoghi possibili. Perché seguito da un forte disgusto fisico, ricordo un soggiorno prolungato per una mezz’ora in una cantina oscura insieme a due altri fanciulli di cui non ritrovo nella memoria altro che la puerilità del vestito: Due paia di calzoncini che stanno in piedi perché dentro c’è stato un corpo che il tempo eliminò. Avevamo molte sigarette e volevamo vedere chi ne sapesse bruciare di piú nel breve tempo. Io vinsi, ed eroicamente celai il malessere che mi derivò dallo strano esercizio. Poi uscimmo al sole e all’aria. Dovetti chiudere gli occhi per non cadere stordito.

Mi rimisi e mi vantai della vittoria. Uno dei due piccoli omini mi disse allora:

– A me non importa di aver perduto perché io non fumo che quanto m’occorre.

Ricordo la parola sana e non la faccina certamente sana anch’essa che a me doveva essere rivolta in quel momento.

Ma allora io non sapevo se amavo o odiavo la sigaretta e il suo sapore e lo stato in cui la nicotina mi metteva. Quando seppi di odiare tutto ciò fu peggio. E lo seppi a vent’anni circa. Allora soffersi per qualche settimana di un violento male di gola accompagnato da febbre. Il dottore prescrisse il letto e l’assoluta astensione dal fumo. Ricordo questa parola assoluta! Mi ferí e la febbre la colorí: Un vuoto grande e niente per resistere all’enorme pressione che subito si produce attorno ad un vuoto.

Quando il dottore mi lasciò, mio padre (mia madre era morta da molti anni) con tanto di sigaro in bocca restò ancora per qualche tempo a farmi compagnia. Andandosene, dopo di aver passata dolcemente la sua mano sulla mia fronte scottante, mi disse:

– Non fumare, veh!

Mi colse un’inquietudine enorme. Pensai: “Giacché mi fa male non fumerò mai piú, ma prima voglio farlo per l’ultima volta”. Accesi una sigaretta e mi sentii subito liberato dall’inquietudine ad onta che la febbre forse aumentasse e che ad ogni tirata sentissi alle tonsille un bruciore come se fossero state toccate da un tizzone ardente. Finii tutta la sigaretta con l’accuratezza con cui si compie un voto. E, sempre soffrendo orribilmente, ne fumai molte altre durante la malattia. Mio padre andava e veniva col suo sigaro in bocca dicendomi:

– Bravo! Ancora qualche giorno di astensione dal fumo e sei guarito!

Bastava questa frase per farmi desiderare ch’egli se ne andasse presto, presto, per permettermi di correre alla mia sigaretta. Fingevo anche di dormire per indurlo ad allontanarsi prima.

Quella malattia mi procurò il secondo dei miei disturbi: lo sforzo di liberarmi dal primo[1]. Le mie giornate finirono coll’essere piene di sigarette e di propositi di non fumare piú e, per dire subito tutto, di tempo in tempo sono[2] ancora tali. La ridda[3] delle ultime sigarette, formatasi a vent’anni, si muove tuttavia. Meno violento è il proposito e la mia debolezza trova nel mio vecchio animo maggior indulgenza. Da vecchi si sorride della vita e di ogni suo contenuto. Posso anzi dire, che da qualche tempo io fumo molte sigarette… che non sono le ultime[4].

Sul frontispizio di un vocabolario trovo questa mia registrazione fatta con bella scrittura e qualche ornato[5]:

“Oggi, 2 Febbraio 1886, passo dagli studii di legge a quelli di chimica. Ultima sigaretta!!”.

Era un’ultima sigaretta molto importante. Ricordo tutte le speranze che l’accompagnarono. M’ero arrabbiato col diritto canonico[6] che mi pareva tanto lontano dalla vita e correvo alla scienza ch’è la vita stessa benché ridotta in un matraccio[7]. Quell’ultima sigaretta significava proprio il desiderio di attività[8] (anche manuale) e di sereno pensiero sobrio e sodo.

Per sfuggire alla catena[9] delle combinazioni del carbonio cui non credevo ritornai alla legge.

Pur troppo! Fu un errore e fu anch’esso registrato da un’ultima sigaretta di cui trovo la data registrata su di un libro. Fu importante anche questa e mi rassegnavo di ritornare a quelle complicazioni del mio, del tuo e del suo[10] coi migliori propositi, sciogliendo finalmente le catene del carbonio. M’ero dimostrato poco idoneo alla chimica anche per la mia deficienza di abilità manuale. Come avrei potuto averla quando continuavo a fumare come un turco?

Adesso che son qui, ad analizzarmi, sono colto da un dubbio: che io forse abbia amato tanto la sigaretta per poter riversare su di essa la colpa della mia incapacità[11]? Chissà se cessando di fumare io sarei divenuto l’uomo ideale e forte che m’aspettavo? Forse fu tale dubbio che mi legò al mio vizio perché è un modo comodo di vivere quello di credersi grande di una grandezza latente[12]. Io avanzo tale ipotesi per spiegare la mia debolezza giovanile, ma senza una decisa convinzione. Adesso che sono vecchio e che nessuno esige qualche cosa da me, passo tuttavia da sigaretta a proposito, e da proposito a sigaretta. Che cosa significano oggi quei propositi? Come quell’igienista[13] vecchio, descritto dal Goldoni, vorrei morire sano dopo di esser vissuto malato tutta la vita?

Una volta, allorché da studente cambiai di alloggio, dovetti far tappezzare a mie spese le pareti della stanza perché le avevo coperte di date. Probabilmente lasciai quella stanza proprio perché essa era divenuta il cimitero dei miei buoni propositi e non credevo piú possibile di formarne in quel luogo degli altri.

Penso che la sigaretta abbia un gusto piú intenso quand’è l’ultima. Anche le altre hanno un loro gusto speciale, ma meno intenso. L’ultima acquista il suo sapore dal sentimento della vittoria su sé stesso e la speranza di un prossimo futuro di forza e di salute. Le altre hanno la loro importanza perché accendendole si protesta la propria libertà[14] e il futuro di forza e di salute permane, ma va un po’ piú lontano.

Le date sulle pareti della mia stanza erano impresse coi colori piú varii ed anche ad olio. Il proponimento, rifatto con la fede piú ingenua, trovava adeguata espressione nella forza del colore che doveva far impallidire quello dedicato al proponimento anteriore. Certe date erano da me preferite per la concordanza delle cifre. Del secolo passato ricordo una data che mi parve dovesse sigillare per sempre la bara in cui volevo mettere il mio vizio[15]: “Nono giorno del nono mese del 1899”. Significativa nevvero? Il secolo nuovo m’apportò delle date ben altrimenti musicali: “Primo giorno del primo mese del 1901”. Ancor oggi mi pare che se quella data potesse ripetersi, io saprei iniziare una nuova vita.

Ma nel calendario non mancano le date e con un po’ d’immaginazione ognuna di esse potrebbe adattarsi ad un buon proponimento. Ricordo, perché mi parve contenesse un imperativo supremamente categorico[16], la seguente: “Terzo giorno del sesto mese del 1912 ore 24”[17]. Suona come se ogni cifra raddoppiasse la posta.

L’anno 1913 mi diede un momento d’esitazione. Mancava il tredicesimo mese per accordarlo con l’anno. Ma non si creda che occorrano tanti accordi in una data per dare rilievo ad un’ultima sigaretta.

Molte date che trovo notate su libri o quadri preferiti, spiccano per la loro deformità. Per esempio il terzo giorno del secondo mese del 1905 ore sei! Ha un suo ritmo quando ci si pensa, perché ogni singola cifra nega la precedente. Molti avvenimenti, anzi tutti, dalla morte di Pio IX[18] alla nascita di mio figlio, mi parvero degni di essere festeggiati dal solito ferreo proposito. Tutti in famiglia si stupiscono della mia memoria per gli anniversarii lieti e tristi nostri e mi credono tanto buono!

Per diminuirne l’apparenza balorda[19] tentai di dare un contenuto filosofico alla malattia dell’ultima sigaretta. Si dice con un bellissimo atteggiamento: “mai piú!”. Ma dove va l’atteggiamento se si tiene la promessa? L’atteggiamento non è possibile di averlo che quando si deve rinnovare il proposito. Eppoi il tempo, per me, non è quella cosa impensabile che non s’arresta mai. Da me, solo da me, ritorna[20].


[1] il secondo… primo: il secondo dei disturbi non è il fumo, ma lo sforzo per liberarsene senza riuscirci.

[2] finirono… sono: l’alternarsi del tempo “passato”(il tempo delle memorie) e del tempo “presente” (il tempo dell’io  narrante, che ricorda) crea il cosiddetto  “tempo misto”, in cui le riflessioni e gli avvenimenti si confondono sino a coincidere nell’interiorità del narratore.

[3] ridda: è un ballo. In senso figurato è un movimento confuso e disordinato.

[4] non sono le ultime: le sigarette non vengono fumate con il proposito di liberarsi dal vizio.

[5] ornato: elemento decorativo.

[6] diritto canonico: sono tutte le norme giuridiche che  la  Chiesa  pone  nei rapporti con i fedeli.

[7] matraccio: è un vaso di vetro di forma sferica, con un lungo collo, usato negli esperimenti scientifici.

[8] il desiderio di attività: nei  personaggi sveviani c’è il desiderio di lasciare nel mondo un segno della  propria presenza e della propria volontà.

[9] catena: Svevo gioca sul doppio senso del termine “catena”: a) associazione degli atomi di carbonio in un composto organico; b) legame, composto di anelli di ferro, che impedisce i movimenti.

[10] complicazioni… del suo: sono i problemi giuridici riguardanti i  rapporti di proprietà.

[11] che io… incapacità?: scaricando la responsabilità sull’amore per la sigaretta, Zeno si costruirebbe un alibi per sottrarsi ai sensi di colpa che deriverebbero dalla consapevolezza della propria inettitudine.

[12] latente: nascosta.

[13] igienista: è colui che studia precise norme di pulizia per combattere i fattori che danneggiano la salute.

[14] si protesta… libertà: si  afferma  la  propria  libertà  dall’obbligo  di rispettare gli impegni.

[15] sigillare… il mio vizio: tra  la  serietà  dei  propositi  (vincere il vizio del  fumo)  e  l’umorismo  delle  tante immagini scelte per descriverli, si  crea un contrasto che porta Zeno, ormai vecchio e più saggio, a ironizzare su quella serietà.

[16] imperativo… categorico: l’espressione è molto divertente  perché,  con l’aggiunta dell’avverbio “supremamente”, stravolge in chiave umoristica il kantiano concetto filosofico dell’imperativo categorico. Il filosofo tedesco  Immanuel Kant  nell’etica pone a base  degli  atti  morali  l’imperativo categorico. Esso è l’ordine inderogabile a cui l’individuo deve obbedire per puro  senso  del dovere.

[17] <<Terzo… ore 24>>… posta: ogni numero è il doppio del precedente: 3, 6, (19) 12, 24.

[18] Pio IX: è il pontefice morto nel 1878.

[19] balorda: sciocca, stolta.

[20] tempo… ritorna: il tempo, non più inteso come mera successione  cronologica dei fatti, è ricondotto alla percezione che ne ha il soggetto. Diviene, insomma, una sorta di “tempo misto”, il tempo della coscienza e della memoria.

Analisi del testo.

il fumoIl brano rievoca i numerosi ma vani tentativi, compiuti da Zeno nel corso degli anni, per liberarsi dal vizio del fumo. Emergono qui alcuni dei temi principali del romanzo, come la continua mancanza di determinazione nel tener fede ai propositi e gli elaborati artifici con cui il protagonista tenta di fornire a se stesso un alibi per i propri fallimenti.

Zeno si rifugia nell’ironia e in una distaccata saggezza, con cui si diverte a dissacrare gli aspetti più seri dell’esistenza. Numerose le similitudini e le metafore (“fumare come un turco”, “sigillare la bara”), le ripetizioni, i giochi di parole, che danno alla rievocazione un tono di sorridente autoironia.

Inoltre, il tempo narrativo rompe con la tradizione, nel senso che “presente” e “passato” non sono più intesi cronologicamente, ma si fondono nell’interiorità dell’io narrante. Il tempo della narrazione, insomma, diventa una sorta di “tempo misto”, il tempo della coscienza e della memoria.

Il nucleo tematico del capitolo è quello dell’ultima sigaretta. Le vicende narrate coprono un periodo che va dall’infanzia del protagonista al 1913. In un continuo alternarsi di presente e passato, Zeno racconta di come da bambino si procurasse di nascosto le sigarette, di come le sigarette, amate e odiate al tempo stesso, rappresentassero in qualche modo per lui uno strumento di autoaffermazione, con cui sfidare l’autorità paterna. A vent’anni Zeno è colto da un fortissimo mal di gola e il medico gli impone l’assoluta astensione dal fumo, ma proprio questo divieto accentua il suo desiderio di fumare. Inoltre scopre il grande piacere di fumare pensando che si tratti dell’ultima sigaretta, tanto che questa diventa una seconda malattia.

Con l’alibi dell’ultima sigaretta Zeno prova, oltre alla soddisfazione di un desiderio, anche il piacere di infrangere un divieto. Innumerevoli, da quel momento, i propositi falliti di smettere di fumare. La sua esistenza è disseminata di molte “ultime sigarette”, che egli associa ad altrettante date, più o meno significative, annotandole sui libri o sulle pareti. L’atteggiamento di Zeno nei confronti del fumo è indicativo della sua ambivalenza psicologica, è simbolo della sua inettitudine. La malattia non è semplicemente il vizio del fumo, ma soprattutto l’inefficacia dei suoi innumerevoli tentativi di smettere di fumare. Zeno anzi ipotizza “che io forse abbia amato tanto la sigaretta per poter riversare su di essa la colpa della mia incapacità”.

Esercizi di analisi del testo.

  1. In quale circostanza il protagonista decide per la prima volta di fumare un’ultima sigaretta?
  2. In quali importanti occasioni Zeno fuma l’ultima sigaretta?
  3. Perché per Zeno è così importante l’ultima sigaretta?
  4. Zeno adduce degli alibi per giustificare la propria incapacità di smettere di fumare: indicali.
  5. Il tema della malattia è centrale: spiega in un breve testo in che cosa consiste la malattia di Zeno e in che rapporto sta con il vizio del fumo.
  6. Uno degli elementi di riflessione presenti nel brano è quello del tempo. Quale concezione ne emerge?
  7. L’uso dell’ironia e dell’autoironia caratterizza il romanzo ed anche questo brano. In quali punti del testo sono presenti? Che funzione svolgono?

 

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