Giovanni Pascoli, La mia sera

sera

Giovanni Pascoli, La mia sera

La raccolta Canti di Castelvecchio prosegue e approfondisce i temi di Myricae: sono presenti le consuete immagini della vita di campagna, i canti degli uccelli, gli alberi, i fiori, i suoni.
Particolare importanza assumono il tema del nido familiare distrutto e il senso del mistero, connesso al dolore della vita e all’angoscia della morte, in contrasto con il ciclo naturale delle stagioni. Questi temi si esprimono in una visione allucinata: nel triste ricordo dei morti, nella percezione di tenui richiami, nei sussulti dell’animo. Anche nei Canti, da descrizioni apparentemente realistiche affiorano simboli e allusioni a una realtà inquietante e misteriosa.

La natura di questa poesia è caratterizzata da stati d’animo, da emozioni, da sussulti interiori. Una natura come organismo vivente, umanizzata, capace di riflettere ciò che il poeta sente dentro. Scritta nel 1900, fa parte dei Canti di Castelvecchio e rappresenta una serena, malinconica meditazione sulla sera vista come metafora di un’età ormai avanzata della vita. La sera di Pascoli non è però una riflessione sui massimi sistemi né propone verità filosofiche: La mia sera è proprio la sua sera, personale, intrecciata alle vicende drammatiche della sua giovinezza, che egli a distanza di tempo sente e soffre meno dolorosamente.

 

Il giorno fu pieno di lampi;

ma ora verranno le stelle,

le tacite stelle.[1] Nei campi

c’è un breve gre gre di ranelle[2].

Le tremule foglie dei pioppi

trascorre una gioia leggiera.[3]

Nel giorno, che lampi! che scoppi!

Che pace, la sera!

 

Si devono aprire le stelle

nel cielo sì tenero e vivo. [4]

Là, presso le allegre ranelle,

singhiozza monotono un rivo [5].

Di tutto quel cupo tumulto,

di tutta quell’aspra bufera,

non resta che un dolce singulto[6]

nell’umida sera.

 

E`, quella infinita tempesta,

finita in un rivo canoro. [7]

Dei fulmini fragili restano

cirri di porpora e d’oro.[8]

 

O stanco dolore, riposa!

La nube nel giorno più nera

fu quella che vedo più rosa

nell’ultima sera.[9]

 

Che voli di rondini intorno!

che gridi nell’aria serena!

La fame del povero giorno

prolunga la garrula cena.[10]

La parte, sì piccola, i nidi[11]

nel giorno non l’ebbero intera.

Né io[12]… e che voli, che gridi,

mia limpida sera!

 

Don… Don… E mi dicono, Dormi![13]

mi cantano, Dormi! sussurrano,

Dormi! bisbigliano, Dormi![14]

là, voci di tenebra azzurra…[15]

Mi sembrano canti di culla,

che fanno ch’io torni com’era…

sentivo mia madre… poi nulla…

sul far della sera.


[1] tacite stelle: le silenziose stelle; l’aggettivo, riferito alle stelle, è interpretabile come sinestesia (vista – udito).

[2] breve gre gre di ranelle: il gracidare delle rane reso con l’onomatopea (gre gre).e dalle parole onomatopeiche breve…ranelle.

[3] Le tremule foglie…leggiera: il vento fa stormire le foglie; il fruscio sembra al poeta un tremito di gioia lieve e dolce.

[4] Si devono aprire…vivo: l’apparire delle stelle sembra al poeta-fanciullo uno sbocciare, in un cielo così sereno e luccicante da sembrare vivo.

[5] singhiozza monotono un rivo: il gorgoglio di un ruscello viene umanizzato in un singhiozzo ripetuto

[6] Di tutto…singulto: del tremendo, tenebroso clamore del temporale ora non resta che il dolce singhiozzo del rivo.

[7] Infinita…canoro: la tremenda tempesta sembrava non dover finire mai, ma si è estinta e non resta che il gorgoglio di un ruscello. Come sarà evidente dal seguito della poesia Pascoli allude alle sue dolorose vicende familiari, che gli erano apparse, in taluni momenti della vita, insuperabili, mentre col passare del tempo hanno finito anch’esse per essere meno dolorose.

[8] Dei fulmini…oro: dei fulmini che passano rapidi ed hanno forma spezzata (fragili) restano solo nubi rossastre e color oro; ma l’aggettivo fragili potrebbe essere riferibile cirri. Di conseguenza il senso sarebbe: dei fulmini non restano che nuvole (cirri) sparse (fragili), rosse e dorate.

[9]  O stanco…sera: qui il riferimento alla tragica esperienza biografica del poeta diviene esplicito: lo stanco dolore, che ha travagliato la vita del poeta sembra finalmente vicino ad attenuarsi e placarsi; come le tetre nubi del temporale diurno si sono tinte di rosa, sul far della sera, così anche il poeta, nella sera della sua vita, vede gli eventi tragici del passato con minore sofferenza.

[10] Che voli…cena:

[11] i nidi: attraverso la metonimia il poeta indica i rondinini che hanno sofferto la fame.

[12] Né io…: evidente qui il riferimento alla propria sofferta giovinezza, in cui il poeta non ha potuto ricevere l’affetto dei propri cari, come i rondinini hanno sofferto la fame.

[13] Don…Don…Dormi: L’onomatopea sottolinea il desiderio di pace e serenità del poeta, che vuole dimenticare il dolore e tornare alla dolcezza dell’infanzia.

[14] cantano…sussurrano…bisbigliano…: il climax discendente sembra accompagnare con dolcezza l’attenuarsi del dolore nell’animo del poeta.

[15] voci di tenebra azzurra: il suono delle campane sembra quello di voci soffuse provenienti dalle tenebre; un concentrato di analogia (suono delle campane=voci), sinestesia(voci associate alle tenebre azzurre, cioè sensazione uditiva + visiva), ossimoro (tenebre – azzurre, ovvero termini contrastanti)

Analisi del testo

Il titolo della poesia, con l’aggettivo possessivo mia, evidenzia il carattere privato, personale della sera, che viene paragonata nel testo, in modo sempre più evidente, all’età matura del poeta. Nella prima delle tre strofe il poeta descrive  un suggestivo paesaggio serale: l’attesa apparizione delle stelle nel cielo sereno, dopo il temporale del giorno; il gracidare delle rane presso un ruscello che gorgoglia; il vento leggero che fa frusciare le foglie dopo i lampi e i tuoni fragorosi; le nubi che il sole al tramonto colora di rosso e d’oro, dopo che si è dissipata la tempesta.

Quest’ultima immagine induce il poeta ad una prima notazione personale: negli ultimi quattro versi della terza strofa egli fa riferimento a sé: il giungere della sera lo induce a ricercare la pace, a percepire e rivivere con serenità i momenti più tormentosi della propria esistenza. Nella strofa successiva fin troppo esplicito è il riferimento al suo vissuto personale, con la metafora del nido e dei piccoli che durante il giorno non hanno potuto nutrirsi a sufficienza. Il poeta sente il bisogno di sottolineare  “Né io…”. La strofa conclusiva descrive una sorta di abbandono malinconico e sereno, sollecitato dal suono delle campane che rievocano il canto di madre e il sonno sereno del poeta-fanciullo.

La natura è sentita come un organismo vivo, palpitante, capace di provare emozioni. Essa (come il poeta) è sconvolta dal temporale diurno, ma poi è serena al sopraggiungere della sera, che attenua lo sconvolgimento e il dolore. Alla natura sono attribuite caratteristiche umane: le tacite stelle; il cielo sì tenero e vivo; le allegre ranelle; singhiozza monotono un rivo; un rivo canoro; un dolce singulto; ecc. Ma l’umanizzazione s’intreccia con il simbolismo: le immagini raffigurate rappresentano la sofferenza sopita del poeta, ora che è sera, la sera della sua vita.

Il testo è ricco di figure di suono, come allitterazioni (tacite stelle; allegre ranelle; fulmini fragili; cantano…canti…culla; mia madre), onomatopee (breve gre gre di ranelle; don don dormi; bisbigliano…), rime interne (infinita…finita), assonanze (cupo tumulto), che creano una sorta di musicale linguaggio fanciullesco.

Numerose le figure retoriche:

Analogia: voci di tenebra azzurra (i rintocchi delle campane definiti come voci che giungono dal buio).

Sinestesia: voci di tenebra azzurra (il suono delle campane associato al colore azzurro).

Metafora: le tremule foglie dei pioppi trascorre una gioia leggièra (le foglie sembrano tremanti, percorse da una lieve gioia); Il cielo sì tenero e vivo; singhiozza…un rivo; rivo canoro; cirri di porpora e d’oro.

Metonimia: La parte, sì piccola, i nidi / nel giorno non l’ebbero intera (i nidi per i rondinini)

Ossimoro: voci di tenebra azzurra (tenebra azzurra sono due termini contrastanti).

Antitesi: infinita tempesta, / finita… (accostamento di concetti contrapposti).

Climax discendente: cantano…sussurrano…bisbigliano… (verbi con intensità decrescente).

 

Esercizi di analisi del testo

  1. Per ogni strofa della poesia individua le immagini che il poeta associa al giorno e alla sera.
  2. Quali organi di senso vengono utilizzati dal poeta nella descrizione? Fornisci almeno 3 esempi.
  3. La natura viene sentita come un essere vivente, che manifesta sentimenti umani: individua ed elenca gli aggettivi e i verbi che lo evidenziano.
  4. Che significato assumono le immagini dei versi: La parte, sì piccola i nidi…; …Mi sembrano canti di culla….
  5. Come è strutturata metricamente la poesia? Come sono distribuite le rime? Com’è il rapporto tra la struttura sintattica e quella metrica?
  6. Spiega le motivazioni delle scelte lessicali del poeta.
  7. Quali effetti di suono (allitterazioni, onomatopee) e quali figure retoriche si possono rilevare nel testo? Indicali e spiegali.
  8. Svolgi la parafrasi della poesia.

 

 

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