Montale, Ossi di seppia.

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Eugenio Montale, Ossi di seppia.

 

Tra il 1916 e il 1924 Montale scrisse la raccolta Ossi di seppia, pubblicata nel 1925 e ristampata con integrazioni nel 1928. Nella raccolta il poeta raffigura l’aspro e brullo paesaggio ligure, simbolo della dura condizione umana.

Il titolo Ossi di seppia allude allo scheletro dell’animale marino (la seppia) che dopo la morte galleggia sulle onde ed è trascinato a riva. Montale analizza “il male di vivere” con perplessa e “triste meraviglia” e attribuisce agli oggetti la capacitĂ  di esprimere con immediatezza simbolica un’emozione, un’intuizione, una condizione umana.

La poesia per Montale “nasce dal cozzo della ragione contro qualcosa che non è ragione”. In Ossi di seppia lo sguardo del poeta ricerca nella realtĂ  amara della vita, rappresentata dal “seguitare una muraglia/che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia” “uno sbaglio di Natura,/… l’anello che non tiene,/il filo da disbrogliare che finalmente ci metta/nel mezzo di una verità”.  Qualunque cosa, la piĂą assurda imprevista e banale, il profumo dei limoni, un volto che appare all’improvviso in uno specchio d’acqua, può miracolosamente far emergere il segreto ultimo, piĂą autentico e profondo dell’esistenza.

Consapevole dei limiti storici e morali della civiltĂ  contemporanea, dopo il crollo delle veritĂ  e certezze positiviste, Montale sente di appartenere alla “razza di chi rimane a terra”. Egli rifiuta la poesia trionfalistica e celebrativa dei “poeti laureati”, come Carducci e D’Annunzio, e ogni facile ottimismo consolatorio. Torcendo il collo all’eloquenza, attraverso un linguaggio in cui l’aulico cozza con il prosastico, Montale offre al lettore come unico messaggio: “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. La poesia è per Montale espressione della condizione umana, segnata da una desolata disarmonia col mondo. In quanto tale non può che manifestarsi attraverso “qualche storta sillaba e secca come un ramo” (Non chiederci la parola). Di qui la predilezione per le forme scabre e aspre, in mezzo alle quali la presenza di arcaismi e di termini aulici e rari assume una funzione straniante, volta a rimarcare la distanza che Montale sente tra sĂ© e la realtĂ .

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