Verga, ‘Ntoni e padron ‘Ntoni

Malavoglia

Giovanni Verga, ‘Ntoni e padron ‘Ntoni

Da I Malavoglia

Cap. XI – Io non sono una passera. Io non sono una bestia come loro!

I giovani sono spesso insofferenti, desiderosi di cambiamento, e quest’esigenza talvolta si traduce nell’allontanamento dal proprio ambiente d’origine. Gli anziani tendono generalmente a richiamare la necessità di non allontanarsi dalle proprie radici, famigliari e ambientali. ‘Ntoni non riesce più ad accettare la vita di stenti cui si vede condannato e vuole andarsene. A contatto con la città si è convinto che la vita che vi si conduce sia facile e piacevole. Solo l’affetto per la madre e il pensiero che abbandonarla le arrecherebbe dolore, non le argomentazioni del nonno, lo trattengono ancora.

 

– Orsù, che c’è di nuovo? dillo a tuo nonno, dillo! – ‘Ntoni si stringeva nelle spalle; ma il vecchio seguitava ad accennare di sì col capo, e sputava, e si grattava il capo cercando le parole.

– Sì, sì, qualcosa ce l’hai in testa, ragazzo mio! Qualcosa che non c’era prima. «Chi va coi zoppi, all’anno zoppica».

– C’è che sono un povero diavolo! ecco cosa c’è!

– Bè! che novità! e non lo sapevi? Sei quel che è stato tuo padre, e quel ch’è stato tuo nonno! «Più ricco è in terra chi meno desidera». «Meglio contentarsi che lamentarsi».

– Bella consolazione!

Questa volta il vecchio trovò subito le parole, perché si sentiva il cuore sulle labbra:

– Almeno non lo dire davanti a tua madre.

– Mia madre… Era meglio che non mi avesse partorito, mia madre!

– Sì, accennava padron ‘Ntoni, sì! meglio che non t’avesse partorito, se oggi dovevi parlare in tal modo.

‘Ntoni per un po’ non seppe che dire: – Ebbene! esclamò poi, lo faccio per lei, per voi, e per tutti. Voglio farla ricca, mia madre! ecco cosa voglio. Adesso ci arrabattiamo colla casa e colla dote di Mena; poi crescerà Lia, e un po’ che le annate andranno scarse staremo sempre nella miseria. Non voglio più farla questa vita. Voglio cambiar stato, io e tutti voi. Voglio che siamo ricchi, la mamma, voi, Mena, Alessi e tutti.

Padron ‘Ntoni spalancò tanto d’occhi, e andava ruminando quelle parole, come per poterle mandar giù. – Ricchi! diceva, ricchi! e che faremo quando saremo ricchi?

‘Ntoni si grattò il capo, e si mise a cercare anche lui cosa avrebbero fatto. – Faremo quel che fanno gli altri… Non faremo nulla, non faremo!… Andremo a stare in città, a non far nulla, e a mangiare pasta e carne tutti i giorni.

– Va, va a starci tu in città. Per me io voglio morire dove son nato; – e pensando alla casa dove era nato, e che non era più sua si lasciò cadere la testa sul petto. – Tu sei un ragazzo, e non lo sai!… non lo sai!… Vedrai cos’è quando non potrai più dormire nel tuo letto; e il sole non entrerà più dalla tua finestra!… Lo vedrai! te lo dico io che son vecchio!

Il poveraccio tossiva che pareva soffocasse, col dorso curvo, e dimenava tristamente il capo: – «Ad ogni uccello, suo nido è bello». Vedi quelle passere? le vedi? Hanno fatto il nido sempre colà, e torneranno a farcelo, e non vogliono andarsene.

– Io non sono una passera. Io non sono una bestia come loro! rispondeva ‘Ntoni. Io non voglio vivere come un cane alla catena, come l’asino di compare Alfio, o come un mulo da bindolo, sempre a girar la ruota; io non voglio morir di fame in un cantuccio, o finire in bocca ai pescicani.

– Ringrazia Dio piuttosto, che t’ha fatto nascer qui; e guardati dall’andare a morire lontano dai sassi che ti conoscono. «Chi cambia la vecchia per la nuova, peggio trova». Tu hai paura del lavoro, hai paura della povertà; ed io che non ho più né le tue braccia né la tua salute non ho paura, vedi! «Il buon pilota si prova alle burrasche». Tu hai paura di dover guadagnare il pane che mangi; ecco cos’hai! Quando la buon’anima di tuo nonno mi lasciò la Provvidenza e cinque bocche da sfamare, io era più giovane di te, e non aveva paura; ed ho fatto il mio dovere senza brontolare; e lo faccio ancora; e prego Iddio di aiutarmi a farlo sempre sinché ci avrò gli occhi aperti, come l’ha fatto tuo padre, e tuo fratello Luca, benedetto! che non ha avuto paura di andare a fare il suo dovere. Tua madre l’ha fatto anche lei il suo dovere, povera femminuccia, nascosta fra quelle quattro mura; e tu non sai quante lagrime ha pianto, e quante ne piange ora che vuoi andartene; che la mattina tua sorella trova il lenzuolo tutto fradicio! E nondimeno sta zitta e non dice di queste cose che ti vengono in mente; e ha lavorato, e si è aiutata come una povera formica anche lei; non ha fatto altro, tutta la sua vita, prima che le toccasse di piangere tanto, fin da quando ti dava la poppa, e quando non sapevi ancora abbottonarti le brache, che allora non ti era venuta in mente la tentazione di muovere le gambe, e andartene pel mondo come uno zingaro.

In conclusione ‘Ntoni si mise a piangere come un bambino, perché in fondo quel ragazzo il cuore ce l’aveva buono come il pane; ma il giorno dopo tornò da capo.

Giovanni Verga, I Malavoglia 

Analisi del testo.

Il rapporto tra ‘Ntoni e padron ‘Ntoni è centrale nel romanzo. Esso assume le caratteristiche del conflitto tra mentalità e tra generazioni: il nonno legato alla tradizione, alle radici ancestrali, al “nido”; il nipote insofferente del suo destino, desideroso di cambiarlo allontanandosi dal villaggio che egli sente come soffocante. Eppure vi sono tra i due anche aspetti comuni: anche padron ‘Ntoni non si rassegna alla situazione data, combatte eroicamente per cambiarla, pur nell’orizzonte dell’ambiente in cui è nato. ‘Ntoni, dal canto suo, rifiuta quest’ambiente che gli riserva una vita immutabile e un futuro di miseria, ma lo fa anche perché vorrebbe migliorare le condizioni della famiglia, cui anche lui è legato, tanto che l’affetto per la madre gli fa ritardare la decisione di andarsene di casa.

Nel dialogo riportato ‘Ntoni dice: Non voglio più farla questa vita. Voglio cambiar stato, io e tutti voi. Voglio che siamo ricchi, la mamma, voi, Mena, Alessi e tutti.  Padron ‘Ntoni è colpito da queste parole, che lo sconcertano, ma è l’idea che tutta la famiglia possa andare a vivere in città, espressa dal nipote, che lo sconvolge e suscita la sua reazione emotiva  (– Va, va a starci tu in città. Per me io voglio morire dove son nato;). Parlando, come è solito fare, per proverbi, padron ‘Ntoni ribadisce tristemente: – «Ad ogni uccello, suo nido è bello». Ma non si tratta di un’argomentazione convincente per il nipote, che replica: – Io non sono una passera. Io non sono una bestia come loro!

‘Ntoni esprime il suo rifiuto per la vita che è costretto a condurre passando dalla similitudine zoomorfa delle passere a quella di animali che per lui simboleggiano la condizione di sottomissione e di sfruttamento: Io non voglio vivere come un cane alla catena, come l’asino di compare Alfio, o come un mulo da bindolo, sempre a girar la ruota.

Il nonno si mostra in difficoltà, sul piano delle argomentazioni, e non può che riproporre proverbi che invitano ad accontentarsi della propria condizione e a non cercare pericolosi cambiamenti. Solo sul piano emotivo le sue parole si mostrano alla fine convincenti, in particolare quando fa riferimento a Maruzza, la madre di ‘Ntoni, alla sua vita di sofferenze, che ha sopportato con coraggio, senza lamentarsi, cui la partenza del figlio arrecherebbe ulteriore dolore. L’affetto per la madre risulta, almeno temporaneamente, vincente: ‘Ntoni si mise a piangere come un bambino, perché in fondo quel ragazzo il cuore ce l’aveva buono come il pane; ma il giorno dopo tornò da capo.

Esercizi di analisi del testo

  1. Quali sono le ragioni del malcontento di ‘Ntoni?
  2. In che modo padron ‘Ntoni gli risponde?
  3. Il giovane vorrebbe andarsene e il nonno cerca di convincerlo che sbaglia. Individua le argomentazioni di ‘Ntoni e di padron ‘Ntoni: ti sembra che il nonno sia convincente?
  4. Qual è il motivo per cui ‘Ntoni decide temporaneamente di non partire?
  5. Che cos’hanno in comune nonno e nipote, nonostante la diversa visione del mondo?

 

 

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