Verga, La famiglia Malavoglia

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Giovanni Verga La famiglia Malavoglia e la partenza di ‘Ntoni

Da I Malavoglia (Cap. I)

Il romanzo immette direttamente il lettore nei luoghi in cui si svolge la vicenda narrata. L’ambiente, a differenza di quanto fa Manzoni nei Promessi sposi, non viene descritto e la voce narrante si rivolge al lettore come se quest’ultimo già lo conoscesse. Dei personaggi sono indicati i nomi e alcuni tratti tipici che li contraddistinguono, ma a differenza di quanto erano soliti fare i grandi romanzieri dell’Ottocento, Verga non indugia in un’ampia descrizione delle loro caratteristiche. In particolare, emerge le figura di padron ‘Ntoni, il patriarca-capo famiglia, che esprime costantemente attraverso i proverbi l’antica saggezza popolare. La chiamata per il servizio di leva per ‘Ntoni, il maggiore dei nipoti, turba il clima di serenità e dà il via ad una serie di drammatici eventi.

 

Un tempo i Malavoglia erano stati numerosi come i sassi della strada vecchia di Trezza; ce n’erano persino ad Ognina, e ad Aci Castello, tutti buona e brava gente di mare, proprio all’opposto di quel che sembrava dal nomignolo, come dev’essere. Veramente nel libro della parrocchia si chiamavano Toscano, ma questo non voleva dir nulla, poiché da che il mondo era mondo, all’Ognina, a Trezza e ad Aci Castello, li avevano sempre conosciuti per Malavoglia, di padre in figlio, che avevano sempre avuto delle barche sull’acqua, e delle tegole al sole. Adesso a Trezza non rimanevano che i Malavoglia di padron ‘Ntoni, quelli della casa del nespolo, e della Provvidenza ch’era ammarrata sul greto, sotto il lavatoio, accanto alla Concetta dello zio Cola, e alla paranza di padron Fortunato Cipolla.

Le burrasche che avevano disperso di qua e di là gli altri Malavoglia, erano passate senza far gran danno sulla casa del nespolo e sulla barca ammarrata sotto il lavatoio; e padron ‘Ntoni, per spiegare il miracolo, soleva dire, mostrando il pugno chiuso – un pugno che sembrava fatto di legno di noce – Per menare il remo bisogna che le cinque dita s’aiutino l’un l’altro.

Diceva pure: – Gli uomini son fatti come le dita della mano: il dito grosso deve far da dito grosso, e il dito piccolo deve far da dito piccolo.

E la famigliuola di padron ‘Ntoni era realmente disposta come le dita della mano. Prima veniva lui, il dito grosso, che comandava le feste e le quarant’ore; poi suo figlio Bastiano, Bastianazzo, perché era grande e grosso quanto il San Cristoforo che c’era dipinto sotto l’arco della pescheria della città; e così grande e grosso com’era filava diritto alla manovra comandata, e non si sarebbe soffiato il naso se suo padre non gli avesse detto «soffiati il naso» tanto che s’era tolta in moglie la Longa quando gli avevano detto «pigliatela». Poi veniva la Longa, una piccina che badava a tessere, salare le acciughe, e far figliuoli, da buona massaia; infine i nipoti, in ordine di anzianità: ‘Ntoni il maggiore, un bighellone di vent’anni, che si buscava tutt’ora qualche scappellotto dal nonno, e qualche pedata più giù per rimettere l’equilibrio, quando lo scappellotto era stato troppo forte; Luca, «che aveva più giudizio del grande» ripeteva il nonno; Mena (Filomena) soprannominata «Sant’Agata» perché stava sempre al telaio, e si suol dire «donna di telaio, gallina di pollaio, e triglia di gennaio»; Alessi (Alessio) un moccioso tutto suo nonno colui!; e Lia (Rosalia) ancora né carne né pesce. – Alla domenica, quando entravano in chiesa, l’uno dietro l’altro, pareva una processione.

Padron ‘Ntoni sapeva anche certi motti e proverbi che aveva sentito dagli antichi: «Perché il motto degli antichi mai mentì»: – «Senza pilota barca non cammina» – «Per far da papa bisogna saper far da sagrestano» – oppure – «Fa il mestiere che sai, che se non arricchisci camperai» – «Contentati di quel che t’ha fatto tuo padre; se non altro non sarai un birbante» ed altre sentenze giudiziose.

Ecco perché la casa del nespolo prosperava, e padron ‘Ntoni passava per testa quadra, al punto che a Trezza l’avrebbero fatto consigliere comunale, se don Silvestro, il segretario, il quale la sapeva lunga, non avesse predicato che era un codino marcio, un reazionario di quelli che proteggono i Borboni, e che cospirava pel ritorno di Franceschello, onde poter spadroneggiare nel villaggio, come spadroneggiava in casa propria.

Padron ‘Ntoni invece non lo conosceva neanche di vista Franceschello, e badava agli affari suoi, e soleva dire: «Chi ha carico di casa non può dormire quando vuole» perché «chi comanda ha da dar conto».

Nel dicembre 1863, ‘Ntoni, il maggiore dei nipoti, era stato chiamato per la leva di mare.

Da G. Verga, I Malavoglia, Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori, 1986

Analisi del testo.

Verga presenta i personaggi direttamente in azione, dopo averne tratteggiati alcuni aspetti caratterizzanti, che emergono dai nomignoli, dai modi di dire, dai proverbi e dalle opinioni del narratore popolare o da quelle espresse dagli abitanti di Trezza, con l’intento di dare concretezza al canone dell’impersonalità, eliminando ogni intrusione dell’autore. Come ebbe a spiegare lo stesso Verga in una lettera a Capuana, la scelta stilistica di rinunciare alla cosiddetta “messa in scena”, ponendo il lettore a contatto immediato con i personaggi, come se li avesse conosciuti e fosse vissuto in mezzo a loro, poteva produrre all’inizio una certa “confusione”, che aveva lo scopo però di rendere più naturale la narrazione, dando “l’illusione completa della realtà”.

Padron ‘Ntoni è il personaggio che domina l’apertura del romanzo e che rappresenta l’equilibrio secolare del mondo di Aci Trezza, prima che sia turbato dall’avvento del “progresso”, con la sua fiducia nei motti e proverbi degli antichi.

I proverbi da lui pronunciati sono riconducibili a tre nuclei concettuali che sono alla base dell’ideologia del romanzo:

  • la necessaria solidarietà della famiglia (Per menare il remo bisogna che le cinque dita s’aiutino l’un l’altro);
  • l’obbligo di accettare l’autorità senza impossibili ribaltamenti di ruolo («Senza pilota barca non cammina» – «Per far da papa bisogna saper far da sagrestano»);
  • l’importanza di accettare la propria condizione sociale («Fa il mestiere che sai, che se non arricchisci camperai» – «Contentati di quel che t’ha fatto tuo padre; se non altro non sarai un birbante»).

Una versione articolata e popolare della cosiddetta “morale dell’ostrica”, espressa nella novella Fantasticheria: non ci si può allontanare dai valori e dalle tradizioni, non ci si può allontanare dalla famiglia pena la sconfitta. Il lavoro e la casa sono gli elementi che caratterizzano i Malavoglia: la casa del nespolo rappresenta simbolicamente l’unità della famiglia, così come la barca, la Provvidenza, rappresenta la sua attività, quella della pesca.

La partenza di ‘Ntoni per il servizio militare, che padron ‘Ntoni cerca inutilmente di evitare, mette in moto un meccanismo disgregatore, di cui paradossalmente è responsabile lo stesso capo famiglia (lui decide il commercio dei lupini), che viene meno, seppure spinto dalle circostanze, al terzo dei principi da lui espressi tramite i proverbi.

Esercizi di analisi del testo

  1. All’inizio del romanzo Verga fornisce un sintetico quadro della condizione sociale dei Malavoglia: che cosa la caratterizza?
  2. Quale significato assume il soprannome “Malavoglia” e perché? Qual è il vero cognome della famiglia?
  3. Nella prima parte del brano sono descritti a rapide pennellate i membri della famiglia: indica con parole tue, quali aspetti li caratterizzano.
  4. Padron ‘Ntoni parla quasi esclusivamente per proverbi: individuali e spiegane il significato. Quale visione del mondo ne emerge?
  5. Verga applica nel romanzo alcune tecniche narrative che mirano a realizzare il canone verista dell’impersonalità. In che modo sono applicate e che cosa differenzia I Malavoglia dai Promessi sposi e dalla precedente narrativa ottocentesca?

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