Rainer Maria Rilke, Spegnimi gli occhi…

Rilke Rainer Maria Rilke, Spegnimi gli occhi…

Rainer Maria Rilke nasce a Praga il 4 dicembre 1875. Infanzia e adolescenza trascorrono infelici. Nel 1884 i genitori si separano, e Rilke fra gli undici e i sedici anni è costretto a frequentare l’accademia militare.

 


Questo provoca in lui una perenne sensazione di sradicamento.
Alla sua prima raccolta poetica, Vita e canti del 1894, segue l’anno dopo Sacrificio ai Lari. Di seguito escono Incoronato di sogno nel 1896 e Avvento nel 1897, l’anno in cui conosce Lou Andreas-Salomè, moglie dello studioso berlinese Andreas. Lou germanizza il nome Renè in Rainer.  Nel 1901, dopo l’abbandono da parte della donna, sposa la scultrice Clara Westhoff da cui avrà una figlia. Poco dopo la nascita della figlia il matrimonio si scioglie. Vive del sostegno e dell’ospitalità di amici, e spesso incontra serie difficoltà economiche. Ospite della contessa Thurn und Taxis a Duino, Rilke scrive le Elegie Duinesi, una delle maggiori opere poetiche del Novecento.Poco dopo muore di leucemia il 29 dicembre 1926. 

 

Spegnimi gli occhi…

L’amore per Lou si è impossessato a tal punto dell’animo del poeta, imbevendolo totalmente, che anche se il suo corpo fosse smembrato ed annullato egli continuerebbe a portarla nel proprio sangue. 

Spegnimi gli occhi: posso vederti

sigillami gli orecchi: posso udirti

e senza piedi ancora posso venire da te

e senza bocca ancora posso implorarti.

Spezzami le braccia: col mio cuore

ti stringerò come una mano,

strappami il cuore e il mio cervello pulserà

e pur se getterai nel fuoco il mio cervello

ti porterò nel sangue. 

Sono nelle tenebre e come cieco

Per il poeta l’abbandono da parte della donna amata, dopo i momenti dell’esaltazione, in cui si è sentito plasmato da lei, in cui lei era tutto, madre, amica, figlia, è un profondo abisso che lo ha inghiottito.

I

Sono nelle tenebre e come cieco,

perché il mio sguardo più non ti ritrova.

Un velario è per me il folle tumulto

dei giorni, e tu sei là dietro.

Lo fisso con occhi sbarrati sperando che s’alzi,

il velario, là dietro la mia vita vive,

il suo valore, la sua norma –

e insieme la mia morte – .

II

A me ti stringesti, e non per scherno,

solo così, come la mano che plasma alla creta si stringe.

Mano con la potenza del creatore.

Sognava una forma – poi si stancò, cedette,

mi lasciò cadere, e mi spezzai.

 

III

Fosti per me la più materna delle madri,

fosti un amico, come gli uomini lo sono,

una donna fosti da guardare,

più spesso ancora tu fosti un bimbo.

Fosti la dolcezza più alta che incontrai,

la durezza più aspra contro cui lottai.

La vetta fosti, che mi benedì,

ora sei l’abisso che mi ha inghiottito. 

 

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