Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore.

sei personaggi

Luigi Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore. 

Vogliamo vivere, signore!

Il dramma teatrale è del 1921. È l’opera che rese celebre quasi all’improvviso Luigi Pirandello, trascinandolo anche in una iniziale polemica critica. Fu rappresentata per la prima volta il 9 maggio 1921 al Teatro Valle di Roma, ad opera della Compagnia di Dario Niccodemi. È considerata la prima opera della trilogia del teatro nel teatro, comprendente ‘Questa sera si recita a soggetto’ e ‘Ciascuno a suo modo’. Incentrata sul problema dell’autonomia del personaggio, l’opera presenta sei personaggi appena abbozzati che pretendono dal loro autore una vita vera.

 

L’uscere (col berretto in mano)

Scusi, signor Commendatore.

Il capocomico (di scatto, sgarbato)

Che altro c’è?

L’uscere (timidamente)

Ci sono qua certi signori, che chiedono di lei.

Il Capocomico e gli Attori si volteranno stupiti a guardare dal palcoscenico giù nella sala.

Il capocomico (di nuovo sulle furie)

Ma io qua provo! E sapete bene che durante la prova non deve passar nessuno!

Rivolgendosi in fondo:

Chi sono lor signori? Che cosa vogliono?

Il padre (facendosi avanti, seguito dagli altri, fino a una delle due scalette)

Siamo qua in cerca d’un autore

Il capocomico (fra stordito e irato)

D’un autore? Che autore?

Il padre

D’uno qualunque, signore.

Il capocomico

Ma qui non c’è nessun autore, perché non abbiamo in prova nessuna commedia nuova.

La Figliastra (con gaja vivacità, salendo di furia la scaletta).

Tanto meglio, tanto meglio, allora, signore! Potremmo esser noi la loro commedia nuova.

Qualcuno degli attori (fra i vivaci commenti e le risate degli altri)

Oh, senti, senti!

Il padre (seguendo sul palcoscenico la Figliastra).

Già, ma se non c’è l’autore!

Al Capocomico:

Tranne che non voglia esser lei…

La Madre, con la Bambina per mano, e il Giovinetto saliranno i primi scalini della scaletta e resteranno lì in attesa. Il Figlio resterà sotto, scontroso.

Il capocomico

Lor signori vogliono scherzare?

Il padre

No, che dice mai, signore! Le portiamo al contrario un dramma doloroso.

La figliastra

E potremmo essere la sua fortuna!

Il capocomico

Ma mi facciano il piacere d’andar via, che non abbiamo tempo da perdere coi pazzi!

Il padre (ferito e mellifluo)

Oh, signore, lei sa bene che la vita è piena d’infinite assurdità, le quali sfacciatamente non han neppure bisogno di parer verosimili; perché sono vere.

Il capocomico

Ma che diavolo dice?

Il padre

Dico che può stimarsi realmente una pazzia, sissignore, sforzarsi di fare il contrario; cioè, di crearne di verosimili, perché pajano vere. Ma mi permetta di farle osservare che, se pazzia è, questa è pur l’unica ragione del loro mestiere.

Gli Attori si agiteranno, sdegnati.

Il capocomico (alzandosi e squadrandolo)

Ah sì? Le sembra un mestiere da pazzi, il nostro?

Il padre

Eh, far parer vero quello che non è; senza bisogno, signore: per giuoco… Non è loro ufficio dar vita sulla scena a personaggi fantasticati?

Il capocomico (subito facendosi voce dello sdegno crescente dei suoi Attori)

Ma io la prego di credere che la professione del comico, caro signore, è una nobilissima professione! Se oggi come oggi i signori commediografi nuovi ci danno da rappresentare stolide commedie e fantocci invece di uomini, sappia che è nostro vanto aver dato vita – qua, su queste tavole – a opere immortali!

Gli Attori, soddisfatti, approveranno e applaudiranno il loro Capocomico.

Il padre (interrompendo e incalzando con foga).

Ecco! benissimo! a esseri vivi, più vivi di quelli che respirano e vestono panni! Meno reali, forse; ma più veri! Siamo dello stessissimo parere!

Gli Attori si guardano tra loro, sbalorditi.

Il direttore

Ma come! Se prima diceva…

Il padre

No, scusi, per lei dicevo, signore, che ci ha gridato di non aver tempo da perdere coi pazzi, mentre nessuno meglio di lei può sapere che la natura si serve da strumento della fantasia umana per proseguire, più alta, la sua opera di creazione.

Il capocomico

Sta bene, sta bene. Ma che cosa vuol concludere con questo?

Il padre

Niente, signore. Dimostrarle che si nasce alla vita in tanti modi, in tante forme: albero o sasso, acqua o farfalla… o donna. E che si nasce anche personaggi!

Il capocomico (con finto ironico stupore)

E lei, con codesti signori attorno, è nato personaggio?

Il padre

Appunto, signore. E vivi, come ci vede.

Il Capocomico e gli Attori scoppieranno a ridere, come per una burla.

Il Padre (ferito)

Mi dispiace che ridano così, perché portiamo in noi, ripeto, un dramma doloroso, come lor signori possono argomentare da questa donna velata di nero.

Così dicendo porgerà la mano alla Madre per aiutarla a salire gli ultimi scalini e, seguitando a tenerla per mano, la condurrà con una certa tragica solennità dall’altra parte del palcoscenico, che s’illuminerà subito di una fantastica luce. La Bambina e il Giovinetto seguiranno la Madre; poi il Figlio, che si terrà discosto, in fondo; poi la Figliastra, che s’apparterà anche lei sul davanti, appoggiata all’arcoscenico. Gli Attori, prima stupefatti, poi ammirati di questa evoluzione, scoppieranno in applausi come per uno spettacolo che sia stato loro offerto.

Il capocomico (prima sbalordito, poi sdegnato)

Ma via! Facciano silenzio!

Poi, rivolgendosi ai Personaggi:

E loro si levino! Sgombrino di qua!

Al Direttore di scena:

Perdio, faccia sgombrare!

Il direttore di scena (facendosi avanti, ma poi fermandosi, come trattenuto da uno strano sgomento)

Via! Via!

Il padre (al Capocomico)

Ma no, veda, noi…

Il capocomico (gridando)

Insomma, noi qua dobbiamo lavorare!

Il primo attore

Non è lecito farsi beffe così…

Il padre (risoluto, facendosi avanti)

Io mi faccio maraviglia della loro incredulità! Non sono forse abituati lor signori a vedere balzar vivi quassù, uno di fronte all’altro, i personaggi creati da un autore? Forse perché non c’è là

indicherà la buca del Suggeritore

un copione che ci contenga?

La Figliastra (facendosi avanti al Capocomico, sorridente, lusingatrice)

Creda che siamo veramente sei personaggi, signore, interessantissimi! Quantunque, sperduti.

Il Padre (scartandola)

Sì, sperduti, va bene!

Al Capocomico subito:

Nel senso, veda, che l’autore che ci creò, vivi, non volle poi, o non potè materialmente, metterci al mondo dell’arte. E fu un vero delitto, signore, perché chi ha la ventura di nascere personaggio vivo, può ridersi anche della morte. Non muore più! Morrà l’uomo, lo scrittore, strumento della creazione; la creatura non muore più! E per vivere eterna non ha neanche bisogno di straordinarie doti o di compiere prodigi. Chi era Sancho Panza? Chi era don Abbondio? Eppure vivono eterni, perché – vivi germi – ebbero la ventura di trovare una matrice feconda, una fantasia che li seppe allevare e nutrire, far vivere per l’eternità!

Il capocomico

Tutto questo va benissimo! Ma che cosa vogliono loro qua?

Il padre

Vogliamo vivere, signore!

Il capocomico (ironico)

Per l’eternità?

Il padre

No, signore: almeno per un momento, in loro.

sei personaggi

 

 

 

https://www.youtube.com/watch?time_continue=48&v=kjpfKafnPMk 

 

Analisi del testo.

Il dramma, in tre atti, messo in scena al “Teatro Valle” di Roma nel 1921, subì un clamoroso insuccesso, ma pochi mesi dopo al “Manzoni” di Milano ottenne un altrettanto clamoroso successo. 

Una compagnia teatrale sta provando “Il giuoco delle parti” di Pirandello quando sul palcoscenico si presentano sei “personaggi”: il Padre, la Madre, il Figlio, la Figliastra, il Giovinetto e la Bambina. Essi dichiarano che l’autore, dopo averli creati nella sua fantasia, non ha voluto scrivere il testo, perciò chiedono al capocomico di mettere in scena la loro storia, che essi raccontano in modo disorganico, interrompendosi a vicenda. Il Padre, che ha avuto il Figlio dalla Madre, ha lasciato che questa, innamoratasi del suo segretario, andasse a vivere con lui, avendone altri tre figli: la Figliastra, il Giovinetto e la Bambina. 

sei personaggiDopo molti anni, il Padre per caso ha incontrato la Figliastra in una casa d’appuntamenti, dove è costretta a prostituirsi da quando le è morto il padre naturale, e solo l’intervento della Madre ha evitato che si consumasse un rapporto dalle caratteristiche incestuose. Il Padre, pentito e addolorato, ha accolto in casa propria la Moglie e i figli non suoi, creando una situazione difficilissima: il Figlio si è chiuso in se stesso, mentre la Figliastra gli continua a dimostrare un’aperta ostilità. Il capocomico, colpito dalla vicenda, accetta di metterla in scena, a patto che siano i suoi attori a recitare. Iniziano le prove, ma vengono di continuo interrotte dalle obiezioni dei “personaggi”, che non si riconoscono nell’interpretazione degli attori e chiedono di essere essi stessi a recitare, in quanto il dramma, anziché “rappresentato”, sarebbe “vissuto” direttamente. 

Alla fine il capocomico si lascia convincere, e durante un’ennesima lite tra il Padre, la Madre, il Figlio e la Figliastra, la Bambina cade in una vasca da giardino e muore. Il Giovinetto, che non si è mosso per salvarla, si uccide con una pistola. Né il capocomico né gli attori sanno più se quanto è accaduto sia realtà o finzione.  Oppresso come da un incubo, il capocomico fa accendere le luci in sala, e finalmente la tensione si scioglie. Restano sulla scena le ombre del Figlio, della Madre e del Padre, mentre risuona la stridula risata della Figliastra. 

Con questo dramma Pirandello dà inizio alla trilogia del “teatro nel teatro” (Sei personaggi in cerca d’autore, Questa sera si recita a soggetto e Ciascuno a suo modo), con cui distrugge la costruzione scenica tradizionale. Lo scrittore abolisce la suddivisione in atti e scene e trasforma lo spazio teatrale in un luogo di confronto tra varie interpretazioni della realtà. I Sei personaggi hanno trasformato la percezione stessa del teatro, che rivela se stesso. Pirandello vede la vita umana come teatrale. I protagonisti non sono uomini, ma personaggi che rappresentano se stessi in un testo che «non ha atti né scene».

L’autore intende rappresentare il dramma dell’incomunicabilità, che deriva dai rapporti inautentici e dalle convenzioni sociali. L’ambiente del teatro, che viene rappresentato, è emblema di tale inautenticità. Inevitabile una solitudine, senza rimedi.

Voler rappresentare la vita vera sulla scena è pazzia, di cui però la vita stessa è intrisa, poiché essa “è piena d’infinite assurdità, le quali sfacciatamente non han neppure bisogno di parer verosimili; perché sono vere.”.

L’arte e la fantasia umane sono strumenti di cui la natura si serve “per proseguire, più alta, la sua opera di creazione”. I personaggi da essa creati sono meno reali ma più vivi e più veri: chi ha la ventura di nascere personaggio vivo, può ridersi anche della morte. Non muore più! Morrà l’uomo, lo scrittore, strumento della creazione; la creatura non muore più! E per vivere eterna non ha neanche bisogno di straordinarie doti o di compiere prodigi. Chi era Sancho Panza? Chi era don Abbondio? Eppure vivono eterni

 

 

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