Pirandello, Quaderni di Serafino Gubbio operatore

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Pirandello, Quaderni di Serafino Gubbio operatore

Il romanzo Quaderni di Serafino Gubbio operatore fu pubblicato nel 1925, dopo una prima edizione del 1915, con il titolo Si gira.

 

Il protagonista racconta in prima persona la sua storia: Serafino Gubbio, operatore cinematografico, ha con la cinepresa un rapporto alienato e distorto, tanto che alla lunga egli diventa quasi una componente indispensabile della macchina e vede le cose con il medesimo distacco dell’obiettivo.

Nel corso della ripresa finale del film La donna e la tigre, l’attrice Varia Nesteroff viene uccisa sul set dall’amante geloso, l’attore Aldo Nuti, che muore a sua volta sbranato dalla tigre che egli avrebbe dovuto uccidere. Serafino continua a filmare la scena con estrema freddezza e per il terrore perde la parola, ma si compiace di ciò perché, “solo, muto e impassibile”, ha tutte le caratteristiche dell’operatore modello.

Il romanzo, oltre a testimoniare l’attenzione e l’interesse dell’autore per la nuova forma d’arte, la cinematografia, rappresenta anche una decisa denuncia dello stato di spersonalizzazione e di asservimento cui la civiltà delle macchine rischia di condurre l’uomo.

Viva la Macchina che meccanizza la vita!

Soddisfo, scrivendo, a un bisogno di sfogo, prepotente. Scarico la mia professionale impassibilità e mi vendico, anche; e con me vendico tanti, condannati come me a non esser altro, che una mano che gira una manovella.

Questo doveva avvenire, e questo è finalmente avvenuto!

L’uomo che prima, poeta, deificava i suoi sentimenti e li adorava, buttati via i sentimenti, ingombro non solo inutile ma anche dannoso, e divenuto saggio e industre, s’è messo a fabbricar di ferro, d’acciajo le sue nuove divinità ed è diventato servo e schiavo di esse.

Viva la Macchina che meccanizza la vita!

Vi resta ancora, o signori, un po’ d’anima, un po’ di cuore e di mente? Date, date qua alle macchine voraci, che aspettano! Vedrete e sentirete, che prodotto di deliziose stupidità ne sapranno cavare.

Per la loro fame, nella fretta incalzante di saziarle, che pasto potete estrarre da voi ogni giorno, ogni ora, ogni minuto?

È per forza il trionfo della stupidità, dopo tanto ingegno e tanto studio spesi per la creazione di questi mostri, che dovevano rimanere strumenti e sono divenuti invece, per forza, i nostri padroni.

La macchina è fatta per agire, per muoversi, ha bisogno di ingojarsi la nostra anima, di divorar la nostra vita. E come volete che ce le ridiano, l’anima e la vita, in produzione centuplicata e continua, le macchine? Ecco qua: in pezzetti e bocconcini, tutti d’uno stampo, stupidi e precisi, da farne, a metterli sù, uno su l’altro, una piramide che potrebbe arrivare alle stelle. Ma che stelle, no, signori! Non ci credete. Neppure all’altezza d’un palo telegrafico. Un soffio li abbatte e li ròtola giù, e tal altro ingombro, non più dentro ma fuori, ce ne fa, che – Dio, vedete quante scatole, scatolette, scatolone, scatoline? – non sappiamo più dove mettere i piedi, come muovere un passo. Ecco le produzioni dell’anima nostra, le scatolette della nostra vita!

Che volete farci? Io sono qua. Servo la mia macchinetta, in quanto la giro perché possa mangiare. Ma l’anima, a me, non mi serve. Mi serve la mano; cioè serve alla macchina. L’anima in pasto, in pasto la vita, dovete dargliela voi signori, alla macchinetta ch’io giro. Mi divertirò a vedere, se permettete, il prodotto che ne verrà fuori. Un bel prodotto e un bel divertimento, ve lo dico io.

Già i miei occhi, e anche le mie orecchie, per la lunga abitudine, cominciano a vedere e a sentir tutto sotto la specie di questa rapida tremula ticchettante riproduzione meccanica.

Non dico di no: l’apparenza è lieve e vivace. Si va, si vola. E il vento della corsa dà un’ansia vigile ilare acuta, e si porta via tutti i pensieri. Avanti! Avanti perché non s’abbia tempo né modo d’avvertire il peso della tristezza, l’avvilimento della vergogna, che restano dentro, in fondo. Fuori, è un balenìo continuo, uno sbarbàglio incessante: tutto guizza e scompare.

Che cos’è? Niente, è passato! Era forse una cosa triste; ma niente, ora è passata.

C’è una molestia, però, che non passa. La sentite? Un calabrone che ronza sempre, cupo, fosco, brusco, sotto sotto, sempre. Che è? Il ronzìo dei pali telegrafici? lo striscìo continuo della carrùcola lungo il filo dei tram elettrici? il fremito incalzante di tante macchine, vicine, lontane? quello del motore dell’automobile? quello dell’apparecchio cinematografico?

Il bàttito del cuore non s’avverte, non s’avverte il pulsar delle arterie. Guaj, se s’avvertisse! Ma questo ronzìo, questo ticchettìo perpetuo, sì, e dice che non è naturale tutta questa furia turbinosa, tutto questo guizzare e scomparire d’immagini; ma che c’è sotto un meccanismo, il quale pare lo insegua, stridendo precipitosamente.

Si spezzerà?

Ah, non bisogna fissarci l’udito. Darebbe una smania di punto in punto crescente, un’esasperazione a lungo insopportabile; farebbe impazzire.

In nulla, più in nulla, in mezzo a questo tramenìo vertiginoso, che investe e travolge, bisognerebbe fissarsi. Cogliere, attimo per attimo, questo rapido passaggio d’aspetti e di casi, e via, fino al punto che il ronzìo per ciascuno di noi non cesserà.

Analisi del testo

Le concezioni pirandelliane risaltano con grande chiarezza anche nel romanzo Quaderni di Serafino Gubbio operatore (il testo, del 1925, era uscito la prima volta nel 1915 con il titolo Si gira).

Il romanzo, oltre a testimoniare l’attenzione e l’interesse dell’autore per la nuova forma d’arte, la cinematografia, rappresenta anche una decisa denuncia dello stato di spersonalizzazione e di asservimento a cui la civiltà delle macchine rischia di condurre l’uomo.

Il protagonista racconta in prima persona la sua storia.

Serafino Gubbio, perfetto operatore cinematografico, ha con la cinepresa un rapporto alienato e distorto, tanto che alla lunga egli diventa quasi una componente indispensabile dello strumento, e perde la capacità di “guardare” veramente le cose: riesce solo a “vederle” con il medesimo distacco dell’obiettivo.

Così, anche quando la realtà diventa terribilmente tragica perché nel corso della ripresa finale del film La donna e la tigre l’attrice Varia Nesteroff viene uccisa sul set dall’amante geloso – l’attore Aldo Nuti –, il quale muore a sua volta sbranato dalla tigre che egli avrebbe dovuto abbattere, Serafino continua a filmare la scena con estrema freddezza; per il terrore perde la parola, ma si compiace di ciò perché, “solo, muto e impassibile”, ha tutte le caratteristiche dell’operatore modello.

Quaderni

 

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