Pirandello, Enrico IV.

Enrico IV

Pirandello, Enrico IV.

Enrico IV è un dramma in tre atti, scritto nel 1921 e rappresentato con grande successo nel febbraio del 1922 al “Teatro Manzoni” di Milano. Il protagonista è un giovane aristocratico romano che durante una festa in costume, in cui veste i panni di Enrico IV, cade da cavallo e, impazzito in seguito al trauma ricevuto, crede di essere davvero Enrico IV.


Per vent’anni la famiglia ne asseconda la pazzia, ricostruendo intorno a lui l’ambiente medievale. Un giorno arrivano alla villa umbra Matilde Spina, fidanzata di “Enrico IV” al tempo della caduta, con la figlia diciannovenne Frida, avuta dall’amante Belcredi, e un medico che vuole tentare di guarire il folle sottoponendolo ad uno shock.

Frida, che somiglia moltissimo alla madre da giovane, dovrà presentarsi a “Enrico” nelle vesti che indossava il giorno della caduta; contemporaneamente la vera Matilde dovrà mostrarsi nel suo aspetto attuale e nei suoi abiti moderni.

Però le cose non vanno secondo le previsioni perché “Enrico” non è più pazzo: da otto anni è tornato in sé, ma rendendosi conto di essere solo, anziano, con tutti quegli anni di vita non vissuti, ha continuato nella finzione per difendersi dalla vita, per guardarla dal di fuori e nello stesso tempo per prendersi una rivincita nei confronti dei “sani” che gli stanno attorno, obbligati a recitare per lui un’interminabile farsa.

Ma ora, nauseato per la mascherata che gli hanno disegnato, non vuole più fingere: egli rivela di sapere che la sua caduta da cavallo non fu accidentale, ma provocata da Belcredi che voleva per sé Matilde, per cui adesso gli sembra giusto che sia sua Frida. Abbraccia la ragazza e Belcredi gli si oppone, così egli lo trafigge con la spada.

A questo punto, non gli resta che ricominciare a fingersi pazzo, imprigionato per sempre in una finta forma

Una consapevole pazzia (Da Enrico IV, atto III)

Enrico IV: Bisogna perdonarli! Questo, (si scuote l’abito addosso) questo che è per me la caricatura, evidente e volontaria, di quest’altra mascherata, continua, d’ogni minuto, di cui siamo i pagliacci involontari (indica Belcredi) quando senza saperlo ci mascheriamo di ciò che ci par d’essere – l’abito, il loro abito, perdonateli, ancora non lo vedono come la loro stessa persona. (Voltandosi di nuovo a Belcredi) Sai? Ci si assuefà facilmente. E si passeggia come niente, così, da tragico personaggio – (eseguisce) – in una sala come questa! – Guardate, dottore! – Ricordo un prete – certamente irlandese – bello – che dormiva al sole, un giorno di novembre, appoggiato col braccio alla spalliera del sedile, in un pubblico giardino: annegato nella dorata delizia di quel tepore, che per lui doveva essere quasi estivo. Si può star sicuri che in quel momento non sapeva più d’esser prete, né dove fosse. Sognava! E chi sa che sognava! – Passò un monello, che aveva strappato con tutto il gambo un fiore. Passando, lo vellicò, qua al collo. – Gli vidi aprir gli occhi ridenti; e tutta la bocca ridergli del riso beato del suo sogno; immemore: ma subito vi so dire che si ricompose rigido nel suo abito da prete e che gli ritornò negli occhi la stessa serietà che voi avete già veduta nei miei; perché i preti irlandesi difendono la serietà della loro fede cattolica con lo stesso zelo con cui io i diritti sacrosanti della monarchia ereditaria. – Sono guarito, signori: perché so perfettamente di fare il pazzo, qua; e lo faccio, quieto! – Il guaio è per voi che la vivete agitatamente, senza saperla e senza vederla la vostra pazzia.

Belcredi: Siamo arrivati, guarda! alla conclusione, che i pazzi adesso siamo noi!

Enrico IV: (con uno scatto che pur si sforza di contenere) Ma se non foste pazzi, tu e lei insieme, (indica la Marchesa) sareste venuti da me?

Belcredi: Io, veramente, sono venuto credendo che il pazzo fossi tu.

Enrico IV: (subito forte, indicando la Marchesa) E lei?

Belcredi: Ah lei, non so… Vedo che è come incantata da quello che tu dici… affascinata da codesta tua “cosciente” pazzia! (Si volge a lei) Parata come già siete, dico, potreste anche restare qua a viverla, Marchesa…

Matilde: Voi siete un insolente!

da Maschere nude, cit.

Analisi del testo

L’incomunicabilità diventa legge definitiva della condizione umana nell’altro capolavoro, il dramma “Enrico IV” (1922), nel quale un giovane gentiluomo, che impersona la “maschera” dell’imperatore Enrico IV in una cavalcata storica, cadendo da cavallo, batte la testa e impazzisce finendo per credersi realmente Enrico IV per dodici anni. Quando però improvvisamente riacquista il senno, scopre che l’amata Matilde è diventata la donna dell’odiato rivale Belcredi. Finge allora di essere ancora pazzo, illudendosi di poter così conservare se stesso in una “forma” assoluta, immutabile, che lo preservi dalla relatività della vita reale.

Quando Matilde, con la figlia Frida e con altri, vengono a trovarlo, avendo compreso che la sua caduta da cavallo era stata provocata da Belcredi, amareggiato per la giovinezza perduta, rivela la finzione, ma non si sente più attratto dalla donna, bensì da Frida che gli ricorda Matilde da giovane, e, quando cerca di abbracciarla, Belcredi si scaglia su di lui che reagisce trapassandolo con la spada; l’uccisione del rivale lo condanna però a rifugiarsi per sempre nella finzione, nella “maschera” della pazzia.

Esercizi di analisi del testo

  1. Dopo aver letto il testo, sintetizzane il significato in un massimo di dieci righe.
  2. Che cosa simboleggia la figura del prete irlandese descritta da Enrico?
  3. Quale diversa reazione hanno Belcredi e Matilde di fronte alla “guarigione” di Enrico?
  4. Belcredi definisce lo stato di Enrico una forma di «cosciente» pazzia. Che cosa intende?
  5. Il tema della follia e, più in generale, quello dell’apparenza sono motivi ricorrenti nella produzione di Pirandello. Spiega e commenta questi aspetti facendo riferimento alle sue opere e al contesto culturale e letterario in cui si sviluppano queste nuove riflessioni sull’individuo e sulla sua identità.

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