Philip K. Dick, Blade Runner (Il cacciatore di androidi)

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Philip K. Dick, Blade Runner (Il cacciatore di androidi)

Traduzione di Riccardo Duranti, Fanucci Editore,
[Titolo originale: Do Androids Dream of Electric Sheep?]

 

Una gioviale scossetta elettrica, trasmessa dalla sveglia automatica incorporata nel modulatore d’umore che si trovava vicino al letto, destò Rick Deckard. Sorpreso – lo sorprendeva sempre il trovarsi sveglio senza alcun preavviso – si alzò dal letto con indosso il pigiama multicolore e si stiracchiò. Ora, nell’altro letto, anche Iran, sua moglie, schiuse gli occhi grigi, tutt’altro che gioviali, sbatté le palpebre, quindi gemette e li richiuse.

«Hai programmato il tuo Penfield a volume troppo basso», le disse. «Te lo alzo e ti sveglierai come si deve e…»

«Giù le mani dai miei programmi». La voce della donna aveva un tono di tagliente amarezza. «Non voglio svegliarmi». Le si sedette accanto, si chinò su di lei, e le spiegò con dolcezza. «Se regoli la scossa su un livello abbastanza alto, sarai contenta di svegliarti, capito? Al livello C supera la soglia che blocca lo stato di coscienza; con me, perlomeno, funziona». Con premura e delicatezza, perché si sentiva ben disposto verso il mondo – lui aveva scelto il livello D – la toccò sulla spalla nuda, pallida.

«Toglimi di dosso quelle manacce da sbirro!» esclamò Iran.

«Non sono uno sbirro». Si sentì irritato, ora, senza che avesse digitato il codice corrispondente.

«Sei peggio di uno sbirro», disse la moglie, gli occhi ancora chiusi. «Sei un assassino al soldo degli sbirri».

«In vita mia non ho mai ucciso un essere umano». L’irritazione si era intensificata, adesso; si era mutata in aperta ostilità.

Iran precisò: «Solo quei poveri droidi».

«Però mi pare tu non abbia mai in alcun modo esitato a spendere il denaro delle taglie che porto a casa per una qualsiasi cosa che per un attimo riesce ad attrarre la tua attenzione». Si alzò e si portò al quadro di comando del suo modulatore d’umore. «Invece di risparmiare», disse, «così da permetterci di comprare una pecora vera, per rimpiazzare quella finta, quella elettrica, su di sopra. Ci possiamo permettere solo un animale elettrico. E pensare la fatica che ho fatto in tutti questi anni per farmi una posizione!». Alla tastiera si trovò indeciso tra il codice di un inibitore talamico (che avrebbe bloccato lo stato d’animo arrabbiato) o di uno stimolante talamico (che l’avrebbe reso sufficientemente stizzoso da prevalere nel battibecco).

«Se digiti il codice», disse Iran, occhi aperti e vigili, «per ottenere un astio maggiore, guarda che lo faccio anch’io. Chiederò il massimo e allora vedrai un litigio che farà impallidire qualsiasi discussione che abbiamo mai avuto finora. Fai quel numero e vedrai; mettimi alla prova». Si alzò anche lei, lesta, si portò al quadro di controllo del proprio modulatore d’umore e gli rivolse uno sguardo di sfida. Aspettava.

Lui sospirò, sconfitto dalla minaccia. «Digito il codice di quello che c’è sulla mia agenda per oggi». Consultando il programma del 3 gennaio 1992, vide che gli si richiedeva un atteggiamento professionale, da uomo d’affari. «Se io digito il codice secondo programma», disse cauto, «sei d’accordo a farlo anche tu?» Attese, astuto quanto basta da non impegnarsi prima che la moglie accondiscendesse a seguire il suo esempio.

«La mia agenda per oggi prevede sei ore di depressione autoaccusatoria», disse Iran.

«Cosa? Perché hai messo in programma una cosa del genere?» Andava contro la finalità del modulatore d’umore. «Nemmeno sapevo si potesse programmare a quel modo», disse cupo.

«Me ne stavo qui seduta, un pomeriggio», disse Iran, «come al solito ero sintonizzata su Buster Friendly e i suoi Simpatici Amichetti, e lui stava parlando di una grande notizia che era sul punto di dare quando si è inserita quell’orribile pubblicità, quella che odio; quella delle Braghette in Piombo Montibank. Così per un minuto ho tolto l’audio. E così ho sentito il palazzo, questo edificio; ho sentito gli…» Fece un gesto per indicare tutto intorno a sé.

«Appartamenti vuoti», completò la frase Rick. A volte anche lui li sentiva la notte, quando avrebbe dovuto essere già addormentato. Eppure, a quell’epoca, un condapp abitato a metà si collocava nella parte alta della classifica di densità abitativa; fuori, in ciò che prima della guerra era stata la fascia suburbana, si potevano trovare edifici completamente vuoti… almeno, così aveva sentito dire. Aveva lasciato che quell’informazione rimanesse di seconda mano; come la maggior parte della gente, non ci teneva a farne esperienza diretta.

«In quell’istante», continuò Iran, «quando ho tolto l’audio, ero d’umore 382; avevo appena composto il numero. Benché percepissi intellettualmente quel vuoto, non lo sentivo. La prima reazione è stata quella di ringraziare il cielo che ci potevamo permettere un modulatore d’umore Penfield. Ma poi mi sono resa conto di quanto fosse malsano percepire l’assenza di vita, non solo in questo palazzo ma ovunque, e non reagire; capisci? Credo di no. Ma questo veniva una volta considerato segno di malattia mentale; la chiamavano “assenza di affetto adeguato“. Così ho lasciato l’audio a zero e mi sono messa alla tastiera del modulatore d’umore per fare qualche esperimento. Alla fine ho trovato la combinazione della disperazione». Il volto scuro, spavaldo, mostrava soddisfazione come se avesse con-seguito un risultato di valore. «E così l’ho messa in agenda due volte al mese; ritengo sia un lasso di tempo ragionevole per disperarsi di tutto, di esser rimasti qui sulla Terra dopo che chiunque fosse sufficientemente svegliò è emigrato, non credi? »

«Ma in uno stato d’animo così», obiettò Rick, «finisce che ci rimani dentro, non digiti più un codice per uscirne. Una disperazione del genere, sulla realtà globale, si autoperpetua».

«Io programmo un codice automatico per tre ore dopo», ribatté melliflua la moglie. «Un 481. Consapevolezza delle molteplici possibilità che mi si aprono davanti nel futuro; nuova speranza che…»

«Lo conosco il 481», la interruppe. Aveva composto molte volte quella combinazione, ci faceva molto affidamento. «Senti», le disse, sedendosi sul letto e prendendole le mani per attirarla a sé, «anche con l’interruzione automatica è pericoloso entrare in uno stato di de-pressione, di qualsiasi tipo. Lascia perdere quello che hai in agenda e io lascio perdere il mio programma. Facciamo insieme un 104, ci entriamo tutti e due, poi tu resti lì mentre per me riprogrammo l’atteggiamento professionale. Così riuscirò a fare un salto in terrazza a dare un’occhiata alla pecora e poi andrò in ufficio; e intanto saprò che tu non te ne stai qui immersa in pensieri tetri senza la TV». Lasciò le lunghe dita sottili e attraversò l’ampia camera verso il salotto che ancora tratteneva un leggero sentore delle sigarette della sera prima. Si chinò ad accendere la TV.

Dalla camera giunse la voce di Iran. «Non sopporto la TV prima di colazione».

«Fai l’888», disse Rick mentre l’apparecchio si riscaldava. «Desiderio di guardare la TV, qualsiasi cosa trasmetta».

«Adesso non ho voglia di fare un bel niente», rispose Iran.

«Allora fai il 3», le disse.

«Non posso digitare un numero che stimola nella corteccia cerebrale il desiderio di comporre un codice! Se non voglio fare un numero, quello è il numero che voglio fare meno di tutti, perché poi mi verrebbe voglia di comporre un altro numero, e aver voglia di comporre un numero è al momento la voglia che sento meno; me ne voglio solo star qui seduta sul letto a fissare il pavimento». La voce le si era fatta affilata, carica di toni freddi e deprimenti, e l’anima le si rapprendeva e cessava di muoversi, e come una specie di onnipresente e pesantissima pellicola istintiva, un’inerzia quasi assoluta, si depositava su di lei.

Rick alzò il volume della TV e la voce di Buster Friendly rimbombò riempiendo la stanza. «…Oh-oh, gente! È giunto il momento di un breve aggiornamento sul tempo di oggi. Il satellite Mangusta ci dice che la pioggia di polvere sarà molto pronunciata intorno a mezzogiorno, ma poi tenderà a diminuire. Perciò tutti voi, amici, che vorrete avventurarvi all’aperto…»

Iran apparve al suo fianco, con le frange della lunga camicia da notte che sfioravano il pavimento, e spense la TV. «OK, cedo; faccio un numero. Quello che tu vuoi che io sia, qualsiasi cosa; estatica beatitudine sessuale… Mi sento talmente male che sopporterei perfino quella. Che diamine! Tanto, che differenza fa?»

«Faccio io un numero per tutti e due», disse Rick, e la ricondusse in camera. Sulla tastiera di lei, Rick batté il 594: compiaciuto riconoscimento della superiore saggezza del marito in ogni campo. Sulla propria tastiera digitò il codice di un atteggiamento creativo e senza preclusioni nei confronti del lavoro, anche se non ne aveva molto bisogno; in fondo, era il suo stato d’animo abituale e innato, anche senza ricorso alla stimolazione cerebrale artificiale del Penfield.

Romanzo e film

Blade runner

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