Passavanti, Il carbonaio di Niversa

passavantiJacopo Passavanti, Il carbonaio di Niversa

Un carbonaio assiste alla visione terrificante di una “caccia tragica”: un cavaliere su un cavallo nero insegue una donna nuda, la afferra per i capelli, la trapassa con un coltello e la getta nella fossa dei carboni ardenti; quindi la carica sul suo cavallo e se ne torna via al galoppo. La visione si presenta identica per tre notti, finché il carbonaio ne parla al conte di Niversa, il quale assiste di persona alla visione e ne chiede ragione al feroce cavaliere.

Il cavaliere rivela che tale condizione, di cacciatore e preda, spetta a lui e alla donna che fu la sua amante: ora, per la legge del contrappasso che regola la giustizia divina, lei, in quanto uccise il marito, subisce ogni notte l’uccisione per mano dell’amante; e così come arse d’amore per lui, ora è gettata da lui ad ardere nei carboni infuocati; infine, così come in vita vide il suo amante con desiderio e piacere, ora lo vede ogni notte con odio e terrore. Siccome poi, chiarisce il cavaliere, loro due peccatori si pentirono in punto di morte, la misericordia di Dio mutò la pena eterna dell’inferno in pena temporale di purgatorio; pertanto egli sollecita preghiere, elemosine e messe affinché le loro sofferenze siano alleviate.

  • L’adultera è punita dall’amante per la legge del contrappasso;
  • L’inseguitore è armato e su un cavallo;
  • Il brano è tratto da una raccolta di prediche del frate: ha uno scopo educativo;
  • La pena non è in realtà infernale, ma del Purgatorio: gli amanti, infatti, hanno confessato il loro peccato prima di morire e quindi la pena è temporanea.

Il testo:

D’uno carbonaio che vidde entrare una femina nella fossa de’ carboni che aveva accesa

Leggesi scritto da Eliando, che fu uno povero uomo che temeva Iddio, nel contado di Niversa, el quale era carbonaio, avendo amicizia col Conte; e di quella arte si vivea. E avendo egli acceso una volta la fossa de’ carboni, e stando una notte a guardàrela in una sua capannetta, in sulla mezzanotte sentì grandi strida. Uscì fuori per vedere chi fosse; e vidde venire una femina in verso la fossa, correndo e stridendo, tutta scapigliata; e drieto le venìa uno cavaliere in sun uno  orribile cavallo: e degli occhi e del naso e degli orecchi e de la bocca del cavalieri usciva fuoco ardentissimo. Giugnendo la femina alla fossa ardente, passò più oltre, e non ardiva d’entrare nella fossa; ma, correndo intorno alla fossa, fu sopraggiunta dal cavaliere che le correa dietro; e presela per gli sua lattenti capegli, e crudelmente la fedì per lo mezzo del petto col coltello ch’egli avea in mano. E cadendo in terra con molto spargimento di sangue, sì la riprese per gli insanguinati capelli, e gittòlla nella fossa de’ carboni ardenti, e lasciòlla stare per spazio di un’ora; e tutta focosa e arsa la ricolse, e così, ponendola in sul collo del cavallo, e con istrida, se n’andò per la via ch’era venuto. E così vidde la seconda e terza notte il carbonaio la visione. Donde, essendo dimestico, il carbonaio, del Conte di Niversa, e sì per l’arte che facea e sì perché il Conte era uomo spirituale, andòssene a lui e narrògli quello che avea veduto. El Conte disse: «Io voglio venire teco, e vedere questa cosa». Et essendo la notte el Conte e ‘l carbonaio nella capanna, nella ora usata venne la femina, e il cavaliere drieto; e féciono tutto ciò che è scritto di sopra. El Conte, veggendo pure con grande paura, prese ardire e uscì fuori della capanna. Partendosi il cavaliere molto spietato colla donna attraverso in sul cavallo, gridò il Conte e scongiuròllo che gli dovesse sporre quella visione. Volse il cavaliero il cavallo, e fortemente piangendo disse: «Poi che tu, Conte, vuogli sapere i nostri martirii, i quali Iddio t’ha voluti mostrare, sappia che io fu’ Gufredi, tuo cavaliere, e nutrito in tua corte. Questa femina contro a cui io sono tanto crudele e fiero, è donna Beatrice, moglie che fu del tuo caro cavaliere Berlinghieri. Noi prendemo amore di disonesto piacere, conducémoci a peccato, il quale condusse lei ch’ella uccise il suo marito; e così perseveramo infino alla infermità della morte. Ma nella infermità della morte, in prima ella e poi io ci conducemo a penitenzia, e confessando il nostro peccato ricevemo misericordia da Dio. Lo quale ci mutò la pena dello inferno in pena del purgatorio. Sappia, Conte, che noi non siamo dannati; anzi, ha stanziata la divina iustizia che, come noi ci amavamo di disonesto amore, così ogni notte ci perseguitiamo come hai veduto. E così facciamo purgatorio; e quando piacerà a Dio, aranno fine e nostri martirii». E domandando il Conte che gli desse ad intendere meglio e più specificatamente le loro pene, rispose il cavaliere: «Perché questa donna per amore di me uccise il marito, l’è stata data questa penitenzia, che ogni notte, quanto ha stanziato la divina iustizia, patisce per le [mie] mani pene di morte di coltello; e imperò ch’ella ebbe in verso di me ardente amore di carnale concupiscenzia, per le mie mani è gittata ogni notte ad ardere nel fuoco, come nella visione vi fu mostrato; e come già ci vedemo con grande disio e con piacere di gran diletto, così ora ci veggiamo con grande odio, e perseguitiamoci con grande sdegno; e come uno fu cagione all’altro di accendimento di disonesto amore, così l’uno all’altro è cagione di grande tormento; che ogni pena ch’io fo patire a lei, patisco io; che col coltello con che io la ferisco tutto è fuoco che non si spegne; gittandola nel fuoco, tutto ardo di quello medesimo fuoco che arde ella. Questo cavallo è uno demonio, al quale siamo dati a tormentare. Oimmè, che molte sono l’altre nostre pene: pregate Iddio per noi, e fate dire delle messe, a ciò che Iddio abbrievi le nostre pene». E detto questo, si partirono come fosse una saetta. Non ci incresca adunque sofferire qui uno poco di penitenzia, a ciò che noi possiamo scampare di quelle orribili pene e dolorosi tormenti dell’altra vita, alle quali ci conviene pur venire.

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