Marinetti, L’esecrabile sonno

Filippo Tommaso Marinetti, L’esecrabile sonno

Da L’Aeroplano del Papa

Romanzo profetico in versi liberi

 

Suvvia!… È un’indecenza! Svegliatevi!

Presto! se non volete che io sfondi

le vostre finestre con un colpo d’ala!

Credete dunque molto bello ciò che fate,

sdraiati, là, nei vostri letti, a gambe aperte,

con le mani tra le coscie

o coricati sul fianco con le ginocchia piegate,

oppure con le gambe allacciate

a quelle delle vostre donne?

Voi meritate che gli obici

sfondino a un tratto i vostri tetti e vi schiaccino,

marmellate coniugali!

Puah! sembrate caduti a terra,

piatti come sterchi di vacca!

La guerra! La guerra!… Capite,

udite questa grande parola: la Guerra?

Su! È semplicissimo! Bisogna balzare in piedi!

Su ritti! Spalancate

le vostre finestre ed i vostri balconi!

Aprite tutte le porte! E uscite

dalla prigione del sonno,

per seguire a ritmici passi la Guerra,

liberatrice di schiavi!

Ma voi russate! È vergognoso,

è indecente, è immondo!

Tutti, giudici e agenti di polizia,

vi dichiarano che non si può

copulare in mezzo alla strada,

né pisciar fuori dagli orinatoi,

né palpare le donne nella folla,

né violare i ragazzini….

Eh! via!… Si tratta di ben altro!…

Il sonno! Il sonno! Ecco l’unica,

la più esecrabile immoralità!…

Dormendo – capite? – dormendo,

voi offendete le leggi sublimi della vita!

O Sole! O Sole! Fracassa

tutte le vetrate della città,

e spazza fuori dalle case

tutti questi poltroni

che hanno l’inaudita impudenza di dormire!…

In verità, lo stomaco mi si rivolta!

Oh! le pesanti esalazioni di tanti sonni!

Che nausea!

Per fortuna, vi sono ancora

quelli che non vogliono mai andare a letto

perché hanno orrore del letto!

Vi sono quelli che amano alzarsi

la mattina, prestissimo,

e che se ne vanno, orgogliosi di essere soli,

con le loro canne da pesca sulla spalla,

o col fucile ad armacollo,

verso la pesca o la caccia!

E infatti, dormono forse gli uccelli?

Ascoltate il gran popolo dei passeri,

che cinguetta sugli alberi,

rumorosi teatri dai cupi gradini!…

E le rondinelle sputate dai fucili del vento,

le rondinelle che mescolano, lacerano

e arruffano i loro voli capricciosi, le udite?

Passeri e rondini non dormono,

o, per dir meglio, non dormono più!

Tutti gli uccelli si ribellano, gridando il loro disgusto

sul nauseante brodo fangoso

che il sonno distribuisce prodigalmente

in fondo ai refettorii mefitici della notte.

Quanto a voi, Italiani, che udiste

ieri sera le trombe squarciate

della guerra, che fate là immoti,

già predisposti alle cure delle tenebre,

imbalsamatrici di cadaveri?…

Che fate, infornati e caldi

nella farina delle vostre lenzuola,

come pani di cui la morte regolerà la cottura?

Non vedete che le case non dormono,

con le loro chiare facciate che aspettano,

agitate da angosciosi riflessi,

la festa dall’aurora?

Non vedete che le acque non dormono?

Fiumi, canali e ruscelli,

non dormirono mai!

Scorrono sempre gridando:

«Senza riposo! Senza riposo! Senza riposo!…»

E le puttane, dormono forse?

Irrequiete sotto la dirotta pioggia elettrica delle lampade,

dànno la caccia ai sessi impazziti

che la notte ha stanati….

E i cani dei carrettieri?

Camminano abbaiando di tanto in tanto

fra le ruote tonanti

dei carri colossali….

E gli automobili di piazza, dormono forse?

Ah! no!… Sempre desti.

I loro chauffeurs, i loro motori,

che sonnecchiano appena,

son sempre pronti a partire,

tra le gialle fiamme, chiacchierone e smorfiose,

dei lampioni che fanno lunghi inchini….

Sia gloria agli automobili di piazza,

che salvano il mondo

dalla morte totale del sonno!

Gli automobili di piazza sono belli

e orgogliosi come le stelle!

Nemmeno le stelle dormono, ma corrono,

facendo grandi gesti folli

per salvare da collisioni fatali

le prue salienti dei pianeti, che forse

stanno per investirci a tutto vapore?

E quella stella sola, laggiù – la vedete? –

più bianca, dalle braccia più lunghe,

è tutta affaccendata a sgombrare

la soglia dell’orizzonte….

Poi se ne viene a picchiare

con le sue lunghe dita indiamantate e sonore

su ogni finestra chiusa, per avvertire,

per avvertire che arriva la luce

e che le si devono innalzare

degli archi di trionfo!

Guai all’uomo che non balzò sussultando

fuori dal suo letto, allorquando

passò, cantando, la stella del mattino!

Lo giuro in suo nome!…

Se l’umanità s’addormentasse,

tutta, improvvisamente, una notte,

coi suoi nottambuli, i suoi automobili,

le sue guardie, i suoi cani,

le sue rondini e i suoi passeri,

i suoi ruscelli, i suoi fiumi,

le sue puttane e le sue stelle,

morrebbe infallibilmente

alle quattro della mattina!…

Quando non posso volar via

col mio monoplano, io percorro la città,

a notte alta,

con orde pazze di studenti,

rompendo tutti i vetri dei pianterreni,

lanciando nelle finestre aperte

grosse pietre che s’odono

poi ruzzolare fragorosamente nell’interno!

Nulla è più divertente! Ecco, noi prepariamo

con cura minuziosa il blocco e l’assedio metodico

d’una casa addormentata….

Ognuno di noi reca fra le mani grossi sassi

come se fossero astri carbonizzati….

Poi, ad un tratto, tutti i vetri della casa

emettono grida umane

e lunghi singhiozzi di terrore….

Talvolta, si svolgono trattative d’armistizio….

«Portinaio, che ne diresti

se fracassassi i tuoi vetri?»

«Oh! no!… Per pietà! Non lo fate!…»

supplica una voce. «Ebbene, prendi!

Ecco il nostro sasso sublime, nel tuo vetro infranto,

per insegnarti a non imputridire

senza fine, nel tuo letto nero!

Tu mi dirai che lavori dalla mattina alla sera.

Noi facciamo altrettanto…. Che vuol dire?»

Questo non c’impedisce di correre nella notte

come un incubo enorme,

per le piazze, vasi sanguigni,

e per le vie, circonvoluzioni della città,

grande cranio assopito!

Bisogna pure che qualcuno si dia la briga

di rinnovare così lo stupore

nel cervello degli uomini!

Come te, noi abbiam lavorato tutto il giorno,

ma ad onta della stanchezza che ci rompe le gambe,

continuiamo a lavorare

diversamente e ancor meglio!

Poiché bisogna pure che qualcuno s’incarichi

di dipingere le statue nelle piazze alberate,

di sostituire all’insegna d’un dentista

quella imponente d’un avvocato,

o d’appendere alla porta d’un lupanare,

che s’affatica ed ànsima,

il cartello d’un teatro che annunzia: «Riposo»!

Bisogna pure che qualcuno provveda

a lanciar nei canali

le persiane dei pianterreni,

graziose zattere avventurose

che vanno forse a ritrovare, lontano,

lontano, nella campagna,

le loro radici d’alberi segati

e a rivedere i loro amici

d’infanzia vegetale!

Si calano le brache allo spirito filosofico

per sculacciarlo come si deve!…

Che fa quella puttana, col suo sorriso

come una lenza,

sull’acqua torbida e pescosa del marciapiede?

Non si diverte affatto! Per divertirla,

l’afferriamo gentilmente pei fianchi

e ce la mettiamo sulle spalle!

Da una viuzza all’altra, dove si va? Aspettate!

Alt! Silenzio!… Quella finestra aperta,

a pianterreno, russa stranamente!

Soffi di clarinetto, e a quando a quando

sordi ribollimenti di caldaia….

Non è altro che la grossa marea notturna

d’un seno di donna obesa….

Qui s’infradicia l’inondante borghesia

clericale e sudante, dalla faccia di sego….

La chiamano Saggezza, nel rione….

A teatro, essa lascia grondare dal palco

le sue due poppe ripugnanti,

su cui son tatuati questi due sudici nomi:

«Pudore! Morale!»

Ora capirete con quali attente precauzioni

introduciamo la puttana guizzante

per la finestra aperta….

Senza far rumore deponiamo cautamente

il corpo bene aerato

accanto al grosso corpo costipato….

Che cosa accadrà?… Chi ci pensa più?…

Abbiamo altro da fare…. Per esempio?…

Chi di noi ha del mastice?…

Ecco una serratura inglese da ostruire….

Eccone un’altra!…

E poi ci si nasconde, fondendoci nelle rughe

della casa dirimpetto,

ad aspettare il lento piede del borghese che rincasa

dal teatro, senza affannare

la sua paziente stupidità!…

Ah! Ah!… Potrà divertirsi un pezzo

a stappare la serratura

con la sua chiave che non serve più!

Mio Dio! Quante bestemmie e quante

imprecazioni!… La neve intanto

gli fiocca sulla schiena

che tossisce malgrado la costosa pelliccia!…

Divertitevi, pance ben pensanti!

Arrivederci fra poco….

Una carrozza di piazza?… Utilizzabile anch’essa!…

Si apre e si richiude lo sportello,

si finge di salutare qualcuno che è dentro,

e si grida al vetturino: «Alla stazione!»

È semplicissimo: Egli si rimette in cammino

scarrozzando il vuoto!

Un campanello?… «Levatrice»….

«svegliatevi, signora!»

Si suona ancora…. «Presto! Su! Alzatevi! Correte!…

La terra ci partorisce! Siamo noi, i neonati!

Milano sta per mettere al mondo

un nuovo futurista!»

Ora gettiamo a terra quest’altra vetrina

piena di vasi e di cristalli….

Fragore di valanga, di terremoto!…

È l’ora della ricreazione!

Passando via, si fracassano coi bastoni

le vetrate che pensano e guardano….

Poiché, insomma, rispondeteci,

chi vi ha dato

diritto di dormire?… La polizia, siamo noi!

Polizia del disordine e della libertà!

A grandi passi si va per le vie riconquistate,

alta la testa, come re, con la spavalderia

e la superbia dei capitani vittoriosi. È naturale!

Lo vedete! La Città tutta intera

sta supina, atterrita davanti a noi!

Fanciullaggini, dite?

E altri brontolano: «Vandalismi indecenti!…»

Per conto mio, mi auguro di morire prima

d’aver perduto le mie deliziose fanciullaggini

e i miei cari vandalismi!…

Io non sarò mai due vecchierelli tremanti,

un vecchio cuore, un vecchio corpo

incollati come due cani

sotto le risate di quelle folli educande

che sono le stelle!…

Sia maledetto il giovane che adora il suo letto

e che non casca dal sonno tutto il giorno

per aver scatenati i suoi istinti durante la notte!

Sia maledetto il giovane che non è convinto

di essere diventato, finalmente,

padrone della città, dopo mezzanotte,

con tutti i suoi sputacchi lanciati a ventaglio

sull’ordine carceriere

e sul sinistro come-si-deve della società!

Filippo Tommaso Marinetti, L’esecrabile sonno, da: L’aeroplano del Papa: romanzo profetico in versi liberi / F. T. Marinetti, futurista – Milano : Edizioni futuriste di Poesia, 1914

Analisi del testo

Il testo riportato è tratto da L’esecrabile sonno, che fa parte del romanzo futurista in versi liberi L’aeroplano del Papa (nell’originale, Le monoplan du Pape), composto da Filippo Tommaso Marinetti nel 1912, in francese. Una sua traduzione in italiano fu pubblicata nel 1914 dalle marinettiane Edizioni futuriste di Poesia. 

Dedicato a “Trieste, nostra bella polveriera”, il romanzo predica la necessità di “svaticanare l’Italia” e di muovere guerra all’Austria, un’idea che poteva sembrare ardita nel 1912, in tempi di Triplice Alleanza, ma che divenne di grande attualità nel 1914. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, infatti, in Italia si accese lo scontro tra interventisti e neutralisti (non a caso l’edizione italiana porta il sottotitolo di “romanzo profetico”).

L’Aeroplano del papa esalta e glorifica la violenza, profetizzando la rottura della Triplice Alleanza e il conseguente “svaticanamento” dell’Italia, giungendo a incredibili vette di anticlericalismo: “O Papa, carceriere della terra, / o sorcio mostruoso delle fogne del cuore, / vecchio scarafaggio nutrito d’immondizie, / pistillo osceno nella corolla d’una veste talare, / battaglio di campana funerea! / Tu respiri a stento, / congestionato per aver mangiato tutto il divino del mondo, / tutto l’allettevole azzurro delle anime! 

Non a caso, forse, Marinetti non ripubblicherà più l’opera, che è a tutt’oggi una delle sue meno conosciute.

Nei versi di L’esecrabile sonno Marinetti proclama: “Il sonno! Ecco l’unica esecrabile immoralità!”. E nella parte centrale del testo descrive in tono esalato alcune “gloriose” imprese da lui compiute percorrendo a notte inoltrata le vie di Milano, “con orde pazze di studenti” volte a sconvolgere con violenza la “tranquillità borghese” e il “sinistro come-si-deve della società!”.

 

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