Machiavelli, Il Principe o De Principatibus

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Machiavelli, Il Principe o De Principatibus

La lettera al Vettori

Il 10 dicembre 1513 Machiavelli scrive una lettera all’amico Francesco Vettori, in cui descrive il suo stato d’animo e le sue attività di esiliato. Nella lettera Machiavelli accenna anche alla composizione del Principe, al contenuto fondamentale (che cosa è principato, di quale spezie sono, come e’ si acquistono, come e’ si mantengono, perché e’ si perdono) e alla consapevolezza che l’opera può essere di valido aiuto soprattutto a quei “principi nuovi” che hanno un principato non ancora del tutto consolidato. All’amico descrive la sua giornata “in villa” a Sant’Andrea in Percussina, fatta di attività modeste e grossolane. La sera, però, Machiavelli si dedica alla passione della sua vita:

Testo parafrasato

Venuta la sera, ritorno a casa ed entro nel mio studio, e sull’uscio mi spoglio di quella veste quotidiana e plebea, piena di fango e di melma, e mi vesto con panni reali e curiali (nobili); e rivestito decentemente entro nelle antiche corti degli antichi uomini, nelle quali, ricevuto amorevolmente da loro, mi nutro di quel cibo, il solo che fa per me e per il quale io sono nato; e in quelle corti non mi vergogno di parlare con essi e chiedere la ragione delle loro azioni; e quelli, per la loro umanità, mi rispondono; e per quattro ore non sento alcuna noia; dimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi turba la morte: tutto son preso da quegli incontri.

Testo originale

Venuta la sera, mi ritorno in casa ed entro nel mio scrittoio; e in su l’uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto i panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui uomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo, che solum è mio e che io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro umanità mi rispondono; e non sento per quattro ore di tempo alcuna noia; sdimentico ogni affanno, non temo la povertà; non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro.

Tra Machiavelli e Vettori ci fu un ricco scambio epistolare, soprattutto negli anni 1513-14, nel quale i due amici si raccontavano non solo le loro avventure galanti, ma si scambiavano anche osservazioni sugli avvenimenti politici di Roma e di Firenze anche in relazione all’Italia e all’Europa.

Le finalità dell’opera.

Machiavelli dedicò “Il Principe” a Lorenzo de’ Medici, nipote di Lorenzo il Magnifico, con la vana speranza di poter rientrare nella politica attiva guadagnandosi le sue simpatie.

Lo scopo dell’opera è di offrire indicazioni concrete su quale sia il modo migliore per gestire il potere politico, sulla base della sua esperienza diretta di diplomatico e dello studio delle opere dell’antichità. Non si tratta di uno studio astratto, ideale, ma dell’analisi concreta e precisa della realtà.

Nel Cinquecento sono numerosi i trattati sui più svariati argomenti: sull’amore (Gli Asolani) e sulla lingua (Prose della volgar lingua e altre opere), sulla politica, sull’uomo pio e sull’uomo di corte (Il cortegiano, Il Galateo, ecc.), perfino sulle regole (di Pietro Aretino) per fare la cortigiana.

La diffusione dell’opera e il “machiavellismo”.

L’opera manoscritta si diffuse rapidamente anche al di fuori della cerchia degli amici più intimi, suscitando reazioni contrastanti non solo da parte di chi ebbe l’opportunità di leggerla, ma anche di chi ne aveva sentito parlare, talvolta in modo distorto. Scrisse Giovan Battista Busini in una sua lettera a Benedetto Varchi: “pareva che quel suo Principe fosse stato un documento da insegnare al Duca di tor loro tutta la roba e a’ poveri tutta la libertà; ai piagnoni pareva che e’ fosse eretico, ai buoni disonesto, ai tristi più tristo o più valente di loro; talché ognuno lo odiava”.

Il nome e l’opera di Machiavelli si diffusero anche fuori dei confini italiani. Il cardinale Reginald Pole criticò aspramente il Principe, inaugurando la leggenda diabolica secondo cui: il Principe è «opus digito Sathanae scriptum», un’opera scritta con il dito di Satana.

Con il termine machiavellico è stato indicato un atteggiamento spregiudicato nell’uso del potere politico: un buon principe deve essere astuto, mentitore, abile manovratore negli interessi propri e del suo popolo.

I principati

Fino al capitolo XI Machiavelli tratta “Di quante ragioni sieno e’ principati, e in che modo si acquistino” cioè dei vari tipi di principato e di come possano essere acquisiti. L’autore fornisce indicazioni, per ciascuna tipologia, sul modo migliore per governarli.

Le milizie

Nei capitoli XII – XIV l’opera tratta del problema delle milizie. Due sono i fondamenti su cui deve poggiare ogni principato o Stato, e sono “le buone leggi e le buone arme”; se esse non sono buone “conviene che ruini” (lo Stato è destinato a crollare). I due fondamenti si condizionano a vicenda, perché le buone leggi possono essere mantenute in vigore solo dalla presenza di buone armi, e le buone armi possono essere ordinate e organizzate solo dove esiste un ordine civile retto da buone leggi. Le milizie possono essere di vario tipo: proprie, mercenarie, ausiliarie (inviate in aiuto), miste. Machiavelli giudica negativamente l’uso degli eserciti mercenari, abituale nell’Italia del tempo, perché essi combattendo solo per denaro, sono infidi e pertanto costituiscono una delle cause principali della debolezza degli Stati italiani. La forza di uno Stato consiste soprattutto nel poter contare su armi proprie, su un esercito composto dagli stessi cittadini, che combattano per difendere i loro averi e la loro vita stessa.

La verità effettuale

Primo fondamento della teoria politica di Machiavelli è che la realtà non deve mai essere travisata o travestita. Solo la piena conoscenza della realtà delle cose (la verità effettuale) può aiutare nel raggiungimento dei propri fini. Machiavelli non immagina repubbliche o principati ideali mai esistiti, ma analizza la storia concreta dei popoli e delle istituzioni che questi hanno realizzato per ricavare regole che possano essere utili per realizzare la conquista e il mantenimento del potere. La verità effettuale è il vero motore della sua indagine storico-politica.

Mezzi e fini

Un principe spesso è “necessitato” a compiere determinate azioni col fine di salvaguardare non solo se stesso ma lo Stato. Machiavelli rileva che primo compito del principe è il mantenimento dello Stato e che i mezzi impiegati per questo fine saranno sempre lodati dal popolo, che vedrà così difesi i propri interessi e la propria sicurezza. Il Principe deve aver presenti in primo luogo i fini che si propone, in funzione dei quali adotterà i mezzi necessari per conseguirli. Il fatto che i mezzi impiegati siano moralmente discutibili passa in secondo ordine. Secondo Machiavelli ogni azione del principe deve adeguarsi alle circostanze ed essere corrispondente al fine da raggiungere. La “giustificazione” dell’uso della forza e della violenza non è un problema morale ma politico. L’uso della violenza non è teorizzato come valore in sé, ma indicato come una necessità per conservare potere. Machiavelli non giustifica mai l’uso della violenza, ma mostra l’uso che gli uomini ne fanno nella pratica quotidiana, e i principi in modo particolare. La violenza deve essere impiegata solo se è necessario e se si è costretti dalla superiore ragion di Stato, perché in qualunque frangente il principe deve mostrare la sua potenza per incutere timore. L’assassinio trova una sua giustificazione per l’esigenza di conservare del potere.

L’imitazione dei classici

Uno dei modelli di comportamento per il principe è l’imitazione dei grandi dell’antichità, di quelli che hanno costruito un potere durevole. Tuttavia l’imitazione non deve essere fredda e passiva, ma tener conto della realtà concreta in cui il principe si trova ad agire. Il principio dell’imitazione, proprio del Rinascimento, viene applicato al campo della politica, però le storie per Machiavelli non possono essere che schemi generali, che vanno adattati con elasticità alla realtà concreta.

Virtù e Fortuna

La Fortuna (il caso, il destino, le circostanze), secondo Machiavelli, ha una profonda influenza sull’esistenza umana. Egli sostiene che la metà degli avvenimenti è retta dalla fortuna, mentre sull’altra metà l’uomo può agire con la sua virtù fino a cambiare il corso degli eventi. La fortuna è una forza misteriosa che agisce al di fuori della volontà umana, dirigendo il corso degli eventi, fino a determinare vittorie e sconfitte, ed è come un fiume che può straripare travolgendo tutto: l’uomo virtuoso nulla può fare contro un fiume che straripa, ma può costruire argini potenti e insuperabili nei momenti in cui scorre pacifico nel suo alveo naturale. Per Machiavelli l’uomo ha il potere di dominare una parte delle vicende, se riesce a prevederne lo sviluppo. La capacità di previsione è una delle qualità fondamentali del politico: bisogna saper vedere le cose al loro nascere e agire tempestivamente con decisione prima che sia troppo tardi. Il principe dovrebbe avere la capacità di adattare la propria indole e il proprio comportamento al variare delle circostanze. La fortuna, le circostanze cambiano, mentre gli uomini si ostinano a usare sempre gli stessi metodi. Conseguentemente, finché i metodi impiegati sono adatti alle situazioni, gli uomini hanno successo, ma sono destinati all’insuccesso in caso contrario. Poiché è difficile che un principe riesca ad adattare il proprio comportamento alle circostanze, essendo ora cauto ora impetuoso al variare di esse, Machiavelli ritiene che sia meglio essere impetuosi piuttosto che cauti, perché la fortuna è come una donna, con cui bisogna essere decisi ed audaci per poterla volgere a proprio favore. La virtù per Machiavelli è la capacità di usare i mezzi adatti per raggiungere un fine sfruttando l’occasione propizia e battendo la fortuna avversa. Il principe deve agire in modo che le sue decisioni siano coerenti con il fine da conseguire, che una volta raggiunto giustifica ogni sua decisione. La virtù è la capacità del Principe di adottare la decisione più opportuna, più idonea a volgere determinate situazioni a suo favore.

La religione

Secondo Machiavelli il Papato ha provocato in gran parte le guerre dei barbari in Italia, mal impiegando il suo grande prestigio spirituale in una cattiva politica mondana. In Italia il potere temporale del Papato è stato troppo forte per permettere che un principe unificasse la penisola in una sola nazione, come stava avvenendo in Francia e Spagna, e al contempo troppo debole per unificarla sotto la sua sovranità. Esso è stato inoltre all’origine di gran parte delle guerre in Italia, facendone terra di conquista per gli Stati più potenti. Machiavelli concepisce la religione come “instrumentum regni”, uno strumento di cui il principe dispone per ottenere il consenso del popolo.

La concezione dell’uomo

Secondo Machiavelli gli uomini sono ingrati, volubili, simulatori e dissimulatori, timorosi dei pericoli, avidi dei guadagni. Finché il principe fa i loro interessi si proclamano dalla sua parte, dicendosi pronti a sacrificarsi per lui, ma quando il principe ha bisogno di loro si tirano indietro e si ribellano. Il principe che si fidi dei giuramenti degli uomini e delle loro parole e che sia privo di altri mezzi per difendersi perde il potere.

La concezione ciclica della storia

Machiavelli ha una concezione ciclica della storia: “Tutti li tempi tornano, li uomini sono sempre li medesimi”. Tuttavia, Machiavelli attribuisce grande importanza alla “virtù” umana, alla capacità dell’uomo di cambiare il corso degli eventi. Non a caso il Principe, nella conclusione, abbandona il suo taglio cinico e pragmatico per esortare solennemente i sovrani italiani a riconquistare la sovranità perduta e a cacciare l’invasore straniero.

L’Esortazione a pigliare l’Italia.

Il Capitolo XXVI che conclude il Principe contiene la famosa Esortazione a pigliare la Italia e liberarla dalle mani de’ barbari. Nell’Ottocento Machiavelli fu ritenuto nell’Ottocento un precursore del movimento risorgimentale, ma l’idea di nazione ha assunto l’attuale significato solo dalla seconda metà del ‘700, mentre Machiavelli la utilizza in senso più ristretto e resta un’idea indeterminata. Machiavelli propugnava la liberazione dell’Italia dalla presenza di eserciti stranieri e la sua unificazione sotto la guida di un principe, criticando il dominio temporale dei Papi che spezzava in due la penisola.

Le tecniche argomentative

I capitoli del Principe sono costruiti su una rigorosa struttura logico-argomentativa:

a)    due ipotesi contrapposte (antitesi), relative al comportamento più idoneo da adottare da parte del principe, una delle quali risulta essere la migliore;

b)    analisi di casi concreti, di esempi tratti dal presente o dalla storia, concludendo l’argomentazione con una norma generale, mentre raramente accade il contrario;

c)    citazione, a sostegno di tale analisi, di altri, numerosi casi analoghi (elencazione);

d)    ogni capitolo è caratterizzato da due elementi, l’analisi e l’esemplificazione;

e)    ogni affermazione è sempre accompagnata da esempi tratti dalla storia e dall’esperienza.

Lo stile

Il Principe è scritto in volgare fiorentino anziché in latino, la lingua ufficiale dei trattati, soprattutto quelli a carattere filosofico, storico-politico e scientifico. L’uso del volgare dona all’espressione un’immediatezza che il latino non avrebbe avuto. Machiavelli usa un volgare che possiamo definire “popolare”, un linguaggio orale che assume la dignità della lingua scritta, con metafore e similitudini tratte dalla quotidianità. La concretezza è una delle caratteristiche salienti: l’esempio concreto ed essenziale, tratto dalla storia anche recente, è sempre preferito al concetto astratto.

Il principe – Contenuti dei capitoli

  • Dedica: Nicolò Machiavelli al Magnifico Lorenzo de’ Medici

Prima sezione (11 capitoli): i diversi tipi di principati.

  • Capitolo I: Di quante ragioni sieno e principati, e in che modo si acquistino
  • Capitolo II: De’ principati ereditarii
  • Capitolo III: De’ principati misti
  • Capitolo IV: Per qual cagione il regno di Dario, il quale da Alessandro fu occupato, non si ribellò da’ sua successori dopo la morte di Alessandro
  • Capitolo V: In che modo si debbino governare le città o principati li quali, innanzi fussino occupati, si vivevano con le loro legge
  • Capitolo VI: De’ Principati nuovi che s’acquistano con l’arme proprie e virtuosamente
  • Capitolo VII: De’ principati nuovi che s’acquistano con le armi e fortuna di altri
  • Capitolo VIII: Di quelli che per scelleratezze sono venuti al principato
  • Capitolo IX: Del Principato Civile
  • Capitolo X: In che modo si debbino misurare le forze di tutti i principati
  • Capitolo XI: De’ principati ecclesiastici

Seconda sezione: (3 capitoli): le milizie.

  • Capitolo XII: Di quante ragioni sia la milizia, e de’ soldati mercennarii
  • Capitolo XIII: De’ soldati ausiliarii, misti e proprii
  • Capitolo XIV: Quello che s’appartenga a uno principe circa la milizia

Terza sezione (7 capitoli): le virtù del principe.

  • Capitolo XV: Di quelle cose per le quali li uomini, e specialmente i principi, sono laudati o vituperati
  • Capitolo XVI: Della liberalità e della parsimonia
  • Capitolo XVII: Della crudeltà e pietà e s’elli è meglio esser amato che temuto, o più tosto temuto che amato
  • Capitolo XVIII: In che modo è principi abbino a mantenere la fede
  • Capitolo XIX: In che modo si abbia a fuggire lo essere sprezzato e odiato
  • Capitolo XX: Se le fortezze e molte altre cose, che ogni giorno si fanno da’ principi, sono utili o no
  • Capitolo XXI: Che si conviene a un principe perché sia stimato

Quarta sezione (5 capitoli): la crisi italiana, la fortuna e l’esortazione finale.

  • Capitolo XXII: De’ secretarii ch’e’ principi hanno appresso di loro
  • Capitolo XXIII: In che modo si abbino a fuggire li adulatori
  • Capitolo XXIV: Per quale cagione li principi di Italia hanno perso li stati loro
  • Capitolo XXV: Quanto possa la Fortuna nelle cose umane, et in che modo se li abbia a resistere
  • Capitolo XXVI: Esortazione a pigliare la Italia e liberarla dalle mani de’ barbari

 

 

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