Il teatro di Goldoni.

Goldoni

Il teatro di Goldoni.

 

Goldoni, allontanandosi dalla commedia dell’arte, si propose di scrivere il testo teatrale nella sua completezza, in modo da poter determinare il carattere psicologico dei personaggi, portando sulla scena la rappresentazione della realtà sociale e non una sua caricatura.

Pur con parziali cedimenti e successive riprese Goldoni operò un cambiamento di rotta nel teatro, in cui la commedia dell’arte proponeva canovacci scontati, prevedibili e volgari.

Nella Prefazione al primo tomo delle Commedie (1750) Goldoni parla del libro del Mondo e di quello del Teatro. “Il primo mi mostra tanti e poi tanti vari caratteri di persone, me li dipinge così al naturale, che paion fatti apposta per somministrarmi abbondantissimi argomenti di graziose e istruttive Commedie”.

Mondo è il vario ed inesauribile spettacolo della vita quotidiana, il campionario di comportamenti e atteggiamenti umani, di rapporti sociali e di vicende, di avvenimenti curiosi e Teatro è un modo specifico di rappresentazione, un genere letterario che ha regole e modalità sue per mezzo delle quali è possibile raggiungere determinati effetti sul pubblico.

Questi sono i due “libri” di cui si è servito. A ispirare Goldoni è dunque la società civile, quella che viveva a Venezia nelle case borghesi. Il suo punto di riferimento è la rappresentazione realistica del ceto medio e di una morale più umana e concreta. Il linguaggio riflette l’esigenza di realismo, si basa sulla vivacità del parlato (coordinazione, interrogazioni, botta e risposta); anche il dialetto risponde a esigenze realistiche.

L’attività del commediografo ha intenti educativi, civili. Rivoluzionario sul piano letterario-teatrale, è moderato sul piano politico e ideologico. Goldoni non aspirò mai a cambiamenti radicali, ma a una civiltà più gentile e rispettosa dei diritti, nella quale tramontassero le consuetudini “rusteghe” in favore di rapporti basati sulla lealtà, sul riconoscimento della sfera dei sentimenti, tenuti a freno però dalla ragionevolezza.

Egli esprime una forma di elementare “illuminismo”, di cui accoglie alcuni punti fermi:

  1. la fiducia nella razionalità;
  2. la simpatia per un tipo umano caratterizzato da equilibrio e buon senso;
  3. l’adesione allo spirito pacifista e cosmopolita del ‘700 (umanità affratellata);
  4. la profonda simpatia per il borghese intraprendente e fattivo che, con la sua attività e i suoi commerci produce benessere per sé e per gli altri (Pantalone);
  5. rifiuto dell’arroganza nobiliare e dell’ozio improduttivo: ne Il Cavaliere e la Dama il mercante Anselmo dice: “La mercatura è utile al mondo, necessaria al commercio delle nazioni, e a chi l’esercita onoratamente come fo io, non si dice uomo plebeo; ma più plebeo è quegli che per avere ereditato un titolo e poche terre, consuma i giorni nell’ozio e crede che gli sia lecito calpestare tutti e di vivere di prepotenza”.

Goldoni si rivolgeva a un pubblico borghese. Carlo Gozzi (1720-1806) rimproverò a Goldoni di avere “frequentemente addossati le truffe, le barerie e il ridicolo a’ suoi personaggi nobili e le azioni eroiche serie e generose ai suoi personaggi della plebe”, fornendo così “un pubblico malo esempio contrario all’ordine indispensabile della subordinazione”. Egli ebbe un atteggiamento più chiuso e conservatore del fratello, Gasparo Gozzi: a Venezia fu protagonista di uno scontro violento con Goldoni e con Chiari, dei quali contestava la riforma del teatro comico in senso borghese e illuminista. Alla commedia goldoniana contrappone con forza il ritorno alla commedia dell’arte, alla sua comicità spontanea e alle sue invenzioni sceniche, privilegiando soprattutto la fantasia creativa dell’intreccio: L’amore delle tre melarance (1761), una fiaba recitata a soggetto, nasce da queste polemiche.

 

 

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