Il surrealismo

dalì orologi

Il surrealismo

 

Il 17 gennaio 1920 Tristan Tzara arriva a Parigi. I suoi punti di riferimento sono Francis Picabia e un gruppo di giovani poeti che, scontenti delle tendenze classicistiche allora in voga nella letteratura, hanno fondato una rivista di avanguardia “Litérature”. La rivista, dal 1919 al 1921, è diretta, in collaborazione, da André Breton (1896-1966), Louis Aragon (1897-1982), Paul Eluard (1895-1952).

Del dadaismo, i giovani intellettuali parigini condividono lo spirito ribelle e anticonformista, nonché la tendenza alla provocazione dissacrante.

L’automatismo

Tuttavia i fondatori del “surrealismo” provano una strada nuova: pur all’interno di questa ricerca volta “a distruggere”, Brèton e compagni danno corso al nuovo procedimento creativo detto automatismo (scrittura automatica).

Attingendo alla realtà dell’inconscio e liberando, attraverso l’immaginazione e il sogno, il desiderio, i surrealisti si propongono di dare voce all’Io sepolto e represso.

Alienazione e impegno politico

All’uomo, umiliato e inibito dalle convenzioni, viene così restituita la sua libertà, ma tale libertà individuale non è possibile in una società fondata sull’alienazione e sullo sfruttamento. Alla negazione totale del dadaismo, i surrealisti oppongono un progetto che fa dell’arte uno strumento di rinnovamento globale dell’uomo e della società. Nel 1927 Aragon, Breton, Eluard, Perrét entrano nel Partito comunista francese.

Max Ernst

Max Ernst (1891-1976), una delle figure più creative del surrealismo, inventa nel 1925 un equivalente pittorico della scrittura automatica: il frottage. Si tratta di una tecnica nella quale una matita o un pastello viene sfregato su di un supporto posato su di una superficie ruvida. Ernst colloca lo spago sotto le tele sulle cui superfici strofina il colore: le sinuosità dello spago risultano così messe in evidenza. Le configurazioni ottenute in questo modo, vengono in seguito manipolate per trarne immagini.

Altre volte il flusso automatico delle forze interiori si esprime nell’accostamento di due realtà in apparenza inconciliabili ma dal cui incontro nasce un nuovo significato di ordine estetico.

Salvator Dalì, Joan Mirò, René Magritte

Le sconvolgenti incongruenze del soggetto creano i paesaggi onirici di Salvator Dalì (1904-1989) e Joan Mirò (1893-1983), e le inquietanti raffigurazioni di René Magritte (1898-1967). In esse, gli oggetti comuni, stravolti nelle loro proporzioni, nel peso e nella funzione, sono collocati in contesti inusuali.

Nei suoi paesaggi onirici Salvator Dalì unisce un meticoloso realismo ottico alla rappresentazione di elementi del tutto irrazionali come orologi molli che si allungano, si deformano o si trasformano in altri oggetti.

Nella pittura di Joan Mirò il meccanismo delle libere associazioni si sostanzia in un insieme fantasioso dove il colore vivace si unisce a forme biomorfe, in una miriade di particolari iconografici. Questi attingono spesso alla sua terra natale come in Terra arata (1923-24, New York, Museum Guggenheim), dove la stilizzazione dei campi arati, del pino e del fico, evocano la terra catalana.

L’opera di Magritte, con le sue immagini ambigue, sollecita nell’osservatore il gioco della significazione “l’oggetto dipinto è l’oggetto reale?” e apre quindi problematiche relative alla natura stessa del codice arte che vanno molto al di là delle premesse iniziali del movimento.

 

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