Goldoni, Il cavaliere di Ripafratta.

locandiera

Carlo Goldoni, Il cavaliere di Ripafratta.

Da Carlo Goldoni, La locandiera

 

SCENA QUARTA

II Cavaliere di Ripafratta dalla sua camera, e detti.

CAVALIERE: Amici, che cos’è questo romore? Vi è qualche dissensione  fra di voi altri?

CONTE: Si disputava sopra un bellissimo punto.

MARCHESE: II Conte disputa meco sul merito della nobiltà. (Ironico.)

CONTE: Io non levo il merito alla nobiltà: ma sostengo, che per cavarsi dei capricci, vogliono esser denari.

CAVALIERE: Veramente, Marchese mio…

MARCHESE: Orsù, parliamo d’altro.

CAVALIERE: Perché siete venuti a simil contesa?

CONTE: Per un motivo il più ridicolo della terra.

MARCHESE: Sì, bravo! il Conte mette tutto in ridicolo.

CONTE: Il signor Marchese ama la nostra locandiera. Io l’amo ancor più di lui. Egli pretende corrispondenza, come un tributo alla sua nobiltà. Io la spero, come una ricompensa alle mie attenzioni. Pare a voi che la questione non sia ridicola?

MARCHESE: Bisogna sapere con quanto impegno io la proteggo.

CONTE: Egli la protegge, ed io spendo. (Al Cavaliere.)

CAVALIERE: In verità non si può contendere per ragione alcuna che io meriti meno. Una donna vi altera? vi scompone? Una donna? che cosa mai mi convien sentire? Una donna? Io certamente non vi è pericolo che per le donne abbia che dir con nessuno. Non le ho mai amate, non le ho mai stimate, e ho sempre creduto che sia la donna per l’uomo una infermità insopportabile.

MARCHESE: In quanto a questo poi, Mirandolina ha un merito estraordinario.

CONTE: Sin qua il signor Marchese ha ragione. La nostra padroncina della locanda è veramente amabile.

MARCHESE: Quando l’amo io, potete credere che in lei vi sia qualche cosa di grande.

CAVALIERE: In verità mi fate ridere. Che mai può avere di stravagante costei, che non sia comune all’altre donne?

MARCHESE: Ha un tratto nobile, che incatena.

CONTE: È bella, parla bene, veste con pulizia, è di un ottimo gusto.

CAVALIERE: Tutte cose che non vagliono un fico. Sono tre giorni ch’io sono in questa locanda, e non mi ha fatto specie veruna.

CONTE: Guardatela, e forse ci troverete del buono.

CAVALIERE: Eh, pazzia! L’ho veduta benissimo. È una donna come l’altre.

MARCHESE: Non è come l’altre, ha qualche cosa di più. Io che ho praticate le prime dame, non ho trovato una donna che sappia unire, come questa, la gentilezza e il decoro.

CONTE: Cospetto di bacco! Io son sempre stato solito trattar donne: ne conosco li difetti ed il loro debole. Pure con costei, non ostante il mio lungo corteggio e le tante spese per essa fatte, non ho potuto toccarle un dito.

CAVALIERE: Arte, arte sopraffina. Poveri gonzi! Le credete, eh? A me non la farebbe. Donne? Alla larga tutte quante elle sono.

CONTE: Non siete mai stato innamorato?

CAVALIERE: Mai, né mai lo sarò. Hanno fatto il diavolo per darmi moglie, né mai l’ho voluta.

MARCHESE: Ma siete unico della vostra casa: non volete pensare alla successione?

CAVALIERE: Ci ho pensato più volte ma quando considero che per aver figliuoli mi converrebbe soffrire una donna, mi passa subito la volontà.

CONTE: Che volete voi fare delle vostre ricchezze?

CAVALIERE: Godermi quel poco che ho con i miei amici.

MARCHESE: Bravo, Cavaliere, bravo; ci goderemo.

CONTE: E alle donne non volete dar nulla?

CAVALIERE: Niente affatto. A me non ne mangiano sicuramente.

CONTE: Ecco la nostra padrona. Guardatela, se non è adorabile.

CAVALIERE: Oh la bella cosa! Per me stimo più di lei quattro volte un bravo cane da caccia.

MARCHESE: Se non la stimate voi, la stimo io.

CAVALIERE: Ve la lascio, se fosse più bella di Venere.

 

 

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