D’Annunzio, Il conte Andrea Sperelli-Fieschi d’Ugenta

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D’Annunzio, Il conte Andrea Sperelli-Fieschi d’Ugenta

 

Andrea Sperelli, giovane artista di origini nobili, viene educato dal padre al culto della bellezza e del piacere. La grande sensibilità artistica e le massime del padre, incontrandosi con la debole moralità del suo carattere, ne fann0 un uomo tutto artificio e falsità, al punto che egli non sa più essere sincero, neppure con se stesso.

Il conte Andrea Sperelli-Fieschi d’Ugenta, unico erede, proseguiva la tradizion familiare. Egli era, in verità, l’ideal tipo del giovine signore italiano del XIX secolo, il legittimo campione d’una stirpe di gentiluomini e di artisti eleganti, ultimo discendente d’una razza intellettuale.

Egli era, per così dire, tutto impregnato di arte. La sua adolescenza, nutrita di studii varii e profondi, parve prodigiosa. Egli alternò, fino a vent’anni, le lunghe letture coi lunghi viaggi in compagnia del padre e poté compiere la sua straordinaria educazione estetica sotto la cura paterna, senza restrizioni e constrizioni di pedagoghi. Dal padre appunto ebbe il gusto delle cose d’arte, il culto passionato della bellezza, il paradossale disprezzo de’ pregiudizii, l’avidità del piacere. […]

L’educazione d’Andrea era dunque, per così dire, viva, cioè fatta non tanto su i libri quanto in conspetto delle realità umane. Lo spirito di lui non era soltanto corrotto dall’alta cultura ma anche dall’esperimento; e in lui la curiosità diveniva più acuta come più si allargava la conoscenza. Fin dal principio egli fu prodigo di sé; poiché la grande forza sensitiva, ond’egli era dotato, non si stancava mai di fornire tesori alle sue prodigalità. Ma l’espansion di quella sua forza era la distruzione in lui di un’altra forza, della forza morale che il padre stesso non aveva ritegno a deprimere. Ed egli non si accorgeva che la sua vita era la riduzion progressiva delle sue facoltà, delle sue speranze, del suo piacere, quasi una progressiva rinunzia; e che il circolo gli si restringeva sempre più d’intorno, inesorabilmente sebben con lentezza.

Il padre gli aveva dato, tra le altre, questa massima fondamentale: «Bisogna fare la propria vita, come si fa un’opera d’arte. Bisogna che la vita d’un uomo d’intelletto sia opera di lui. La superiorità vera è tutta qui.».

Anche, il padre ammoniva: «Bisogna conservare ad ogni costo intiera la libertà, fin nell’ebrezza. La regola dell’uomo d’intelletto, eccola: – Habere, non haberi.[1]»

Anche, diceva: «Il rimpianto è il vano pascolo d’uno spirito disoccupato. Bisogna sopra tutto evitare il rimpianto occupando sempre lo spirito con nuove sensazioni e con nuove imaginazioni.»

Ma queste massime volontarie, che per l’ambiguità loro potevano anche essere interpretate come alti criterii morali, cadevano appunto in una natura involontaria, in un uomo, cioè, la cui potenza volitiva era debolissima.

[…] A poco a poco, in Andrea la menzogna non tanto verso gli altri quanto verso sé stesso divenne un abito così aderente alla conscienza ch’egli giunse a non poter mai essere interamente sincero e a non poter mai riprendere su sé stesso il libero dominio.

Analisi del testo

Il padre trasmette ad Andrea il culto della bellezza e del piacere. La formazione del giovane è straordinariamente libera, fatta di letture e viaggi, di esperienze dirette e non di formazione libresca e scolastica. In lui si è sviluppata una grande sensibilità estetica, a scapito però della forza morale e di volontà.

Le massime del padre hanno come scopo quello di indurlo a essere padrone di se stesso, ma ottengono l’effetto opposto, influendo negativamente sulla sua personalità, in cui la forza di volontà è molto debole. Così Andrea costruisce la propria esistenza all’insegna dell’artificio ed è talmente abituato a mentire che finge persino con sé stesso, fino al punto di renderlo incapace di essere sincero e di avere un consapevole controllo delle proprie azioni.

Analisi del testo

  1. Delinea le caratteristiche di Andrea Sperelli, con riferimento al testo letto, evidenziando:

a)    il ceto sociale a cui appartiene;

b)    la sua formazione culturale;

c)    i principi secondo cui il padre lo ha educato;

d)    le caratteristiche complessive del suo carattere.


[1]                Habere, non haberi: possedere, non essere posseduti.

 

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