Controllo della cultura e riviste tra le due guerre

Controllo della cultura e riviste tra le due guerre

Un anno dopo la presa del potere fu varata quella che la riforma Gentile della scuola (1923), quella che Mussolini definì la «più fascista delle riforme», che privilegiava la scuola umanistica tradizionale, escludeva l’Italia dalla cultura scientifica e dal pensiero moderno, relegava i figli dei non abbienti nelle scuole di avviamento al lavoro o nei corsi complementari. Il fascismo generò anche, con i suoi strumenti organizzativi totalitari, una cultura di massa demagogica e impastata di razzismo, colonialismo, autarchismo.

Esso fece leva sulla scuola, sull’inquadramento delle nuove leve giovanili in organizzazioni paramilitari, sull’organizzazione del tempo libero, sulle “adunate oceaniche”, sull’uso manipolato della stampa, del cinema e della radio. Furono creati l’Istituto Fascista di Cultura e l’Accademia d’Italia (1926) di cui fecero parte artisti e scienziati graditi al regime. In gran parte la cultura italiana aderì, per convinzione o per convenienza, al fascismo e molti intellettuali firmarono il Manifesto degli intellettuali fascisti di Gentile, mentre ben pochi aderirono a quello degli intellettuali antifascisti redatto da Benedetto Croce.

Gramsci e Gobetti

Antonio Gramsci, leader del PCd’I e fondatore della rivista “Ordine nuovo” e Piero Gobetti, intellettuale liberale progressista, fondatore prima di “Rivoluzione liberale” e poi de “Il Baretti”, furono tra i più lucidi oppositori e critici del fascismo. Il primo, arrestato nel 1926, trascorse i suoi ultimi anni in carcere e morì nel 1934; il secondo, picchiato violentemente dai fascisti, morì nel 1926 a Parigi per le lesioni interne provocategli. Pur nella diversità delle rispettive posizioni politiche, essi sostennero il valore dell’impegno e della concretezza della cultura, rifiutando l’idea di un’arte “pura”, non contaminata dalla realtà. La rivista “Il Baretti”, soppressa due anni dopo la morte del suo fondatore, fu costretta ad assumere un taglio esclusivamente letterario,  ma riuscì per qualche tempo a svolgere un proficuo ruolo di diffusione della cultura e della letteratura straniera e in particolare con alcuni grandi scrittori del decadentismo europeo come Joyce, Kafka, Mann, Proust.

“La Ronda”

Nella letteratura del primo dopoguerra si manifestò la tendenza a un ritorno all’ordine, agli equilibri formali e al valore della tradizione in senso classicistico. Massima promotrice di questa tendenza fu la rivista romana “La Ronda” (1919-1922). I rondisti polemizzarono con tutta l’avanguardia del primo Novecento e proposero il ritorno ai puri valori formali della tradizione letteraria, con una prosa d’arte ispirata a quella dello Zibaldone e delle Operette morali di Leopardi ed estranea alla realtà sociale e politica. Il poeta e narratore Vincenzo Cardarelli e il critico Emilio Cecchi furono le due figure di maggior spicco di questa esperienza letteraria.

“Solaria”

Durante il Ventennio fascista, accanto alla letteratura “di regime”, si affermò tra gli scrittori e gli artisti la tendenza ad estraniarsi dalle vicende strettamente politiche e sociali, sia per scelta ideologica sia per non incappare nella censura. Oltre alle riviste italiane legate al fascismo, ve ne furono altre che si occuparono quasi esclusivamente di letteratura.

Nel 1926 a Firenze fu fondata da Alberto Carocci, affiancato da Alessandro Bonsanti, la rivista “Solaria” (1926-1936), che ebbe tra i propri collaboratori poeti come Montale, Ungaretti, Saba, Quasimodo e narratori come Pavese, Vittorini, Gadda. Essa assunse una connotazione esclusivamente letteraria, ma a differenza della “Ronda” guardò con grande attenzione alle nuove forme della poesia e della narrativa. In contrasto con l’autarchia culturale del fascismo, essa si caratterizzò per una decisa apertura alla letteratura europea (Proust, Kafka, Joyce, Mann), partecipò al dibattito sul “caso Svevo” e fece conoscere, ad opera di Pavese e Vittorini, autori della letteratura americana come Faulkner ed Hemingway, contribuendo a creare il mito dell’America, divenuto fondamentale a partire dagli anni Trenta.

Strapaese e Stracittà

Pur nell’alveo dell’accettazione del fascismo, si manifestarono due tendenze contrastanti, quella di “Strapaese” e di “Stracittà”. La prima ebbe la sua massima espressione nella rivista “Il Selvaggio” (1924-1943), fondata da Mino Maccari, pittore, caricaturista e umorista, che ebbe come importante collaboratore Curzio Malaparte. “Il Selvaggio” contrapponeva al dichiarato europeismo delle altre riviste la difesa del patrimonio culturale italiano, la valorizzazione della presunta vocazione rurale dell’Italia e la rottura del conformismo borghese. Maccari fu un sincero sostenitore del fascismo, di cui non esitò a criticare con coraggio il malcostume. La seconda tendenza ebbe come punto di riferimento la rivista “900” (1926-1929), diretta da Massimo Bontempelli, e sosteneva l’esigenza di aprirsi alla modernità e al progresso, recependo le novità del panorama culturale europeo. Il particolare interesse per il simbolismo e il surrealismo condusse Bontempelli alla teorizzazione del cosiddetto “realismo magico” che si proponeva, parallelamente alla contemporanea pittura metafisica, di mettere in luce le dimensioni “magiche” e talvolta assurde e inquietanti della realtà quotidiana.

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