Cerbero

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Cerbero

Mostro infernale dell’antica mitologia pagana, figlio di Tifeo ed Echidna, era un cane con tre teste e coda di serpente.

Virgilio e Ovidio lo collocano a guardia dell’Averno, per impedire alle ombre di uscire e ai vivi di entrare. La sua cattura è la dodicesima e ultima fatica di Ercole. Sua caratteristica specifica è una fame mai soddisfatta.

Nella Divina Commedia Cerbero assume caratteristiche tipicamente medievali: è una fiera mostruosa non solo perché con tre teste, ma anche per i particolari umani (barba, mani, facce) sul corpo di cane. Dante lo pone a custodia del III Cerchio (golosi), dove graffia e scuoia gli spiriti con i suoi artigli (Inf., Canto VI).

Il mostro è descritto con occhi rossi, i peli del muso sporchi e neri, il ventre largo e le zampe artigliate; emette latrati che assordano i dannati e ciò acuisce il loro tormento. Appena vede i due poeti si avventa contro di loro, ma Virgilio gli getta in gola una manciata di terra che placa la sua fame (in modo analogo all’episodio dell’Eneide in cui la Sibilla lo ammansisce gettandogli una focaccia di miele intrisa di erbe soporifere).

Durante il Medioevo nella figura di Cerbero erano confluiti due simboli: quello dell’ingordigia e della voracità, e quello dell’odio e della discordia intestina.

 

Canto VI – Cerchio III

Cerbero, fiera crudele e diversa,

con tre gole caninamente latra

sovra la gente che quivi è sommersa.             15

Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,

e ‘l ventre largo, e unghiate le mani;

graffia li spirti, ed iscoia ed isquatra.                18

[…]

Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,

le bocche aperse e mostrocci le sanne;

non avea membro che tenesse fermo.             24

E ‘l duca mio distese le sue spanne,

prese la terra, e con piene le pugna

la gittò dentro a le bramose canne.                 27

 

 

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