Charles Baudelaire, Il veleno
Il vino sa rivestire il più sordido tugurio
d’un lusso miracoloso
e innalza portici favolosi
nell’oro del suo rosso vapore,
come un sole al tramonto in un cielo nuvoloso.
L’oppio ingrandisce le cose che non hanno limiti,
estende l’illimitato,
approfondisce il tempo, scava dentro la voluttà
e di neri e cupi piaceri
riempie l’anima al di là delle sue capacità.
Tutto questo non vale il veleno che scaturisce
dai tuoi occhi, dai tuoi occhi verdi,
laghi in cui la mia anima trema e si vede rovesciata…
I miei sogni vengono a frotte
per dissetarsi a questi amari abissi.
Tutto questo non vale il terribile prodigio
della tua saliva che morde,
che sprofonda nell’oblio la mia anima senza rimorso,
e trasportando la vertigine,
la fa rotolare smarrita alle rive della morte!
Analisi del testo
Questa poesia appartiene alla raccolta “I fiori del male”, e fa parte della sezione Spleen et Idéal, la più importante dell’opera. Molto probabilmente Baudelaire dedica questa poesia all’attrice Marie Brunaud detta Marie Daubrun, con la quale ebbe una tormentata relazione nel 1847.
La poesia parla di una serie di piaceri (vino, oppio, donna) che si susseguono l’uno dopo l’altro. Baudelaire richiama i cosiddetti “paradisi artificiali”, prodotti dal consumo del vino e dell’oppio.
Il primo rende tutto più “favoloso” perché riesce miracolosamente a trasformare i luoghi più miserabili in ambienti sontuosi. Il secondo produce invece una dilatazione del tempo e dello spazio, fa sembrare tutto infinito e si impadronisce a tal punto dei desideri da appagare l’animo, al di là della sua capacità di contenere“neri e cupi piaceri”.
Eppure, né il vino né l’oppio possono essere paragonati al veleno prodotto dai verdi occhi della donna amata. Nella profondità del suo sguardo egli vede la propria anima tremante, che vi si riflette come rovesciata e tutti i suoi sogni sprofondano in quegli “amari abissi”.
La profondità e intensità dello sguardo della donna domina il poeta e lo rende dipendente, ancor più di quel che possano fare il vino e l’oppio. Ancor più straordinari e terribili sono i baci appassionati e crudeli della donna, che spingono l’anima del poeta a sprofondare nell’oblio di ogni cosa, senza alcun rimorso. Essi portano il poeta a raggiungere uno stato di vertigine, che lo trascina sfinito e smarrito in una condizione simile alla morte.
La poesia si concentra su quattro elementi: il vino, l’oppio, gli occhi e i baci (la tua saliva) della donna. I “paradisi artificiali” provocano la morte dell’anima, ma la donna, con la sua sensualità, con l’intensità ammaliante del suo sguardo e con la passionalità erotica dei suoi baci, si impadronisce completamente dell’animo del poeta, in un modo terribilmente piacevole, come nessuna droga può fare.
In verità, qualcuno ha visto nell’espressione che descrive gli occhi della donna “de tes yeux verts”, ovvero “dei tuoi occhi verdi” una possibile allusione all’assenzio, di cui Baudelaire faceva uso, definito anche, come è noto, “la fée verte” (la fata verde).
Il testo presenta numerose figure retoriche: la similitudine (come un sole al tramonto in un cielo nuvoloso), la metafora (laghi in cui la mia anima trema) ma soprattutto antitesi e ossimoro, in cui termini generalmente contrastanti vengono accostati (sordido tugurio/lusso miracoloso; cupi piaceri, terribile prodigio), la sinestesia amari abissi.
Charles Baudelaire, Le poison
Le vin sait revêtir le plus sordide bouge
D’un luxe miraculeux,
Et fait surgir plus d’un portique fabuleux
Dans l’or de sa vapeur rouge,
Comme un soleil couchant dans un ciel nébuleux.
L’opium agrandit ce qui n’a pas de bornes,
Allonge l’illimité,
Approfondit le temps, creuse la volupté,
Et de plaisirs noirs et mornes
Remplit l’âme au-delà de sa capacité.
Tout cela ne vaut pas le poison qui découle
De tes yeux, de tes yeux verts,
Lacs où mon âme tremble et se voit à l’envers…
Mes songes viennent en foule
Pour se désaltérer à ces gouffres amers.
Tout cela ne vaut pas le terrible prodige
De ta salive qui mord,
Qui plonge dans l’oubli mon âme sans remords,
Et, charriant le vertige,
La roule défaillante aux rives de la mort!
Charles Baudelaire, da “Spleen et Idéal”, in “Les Fleurs du mal”, Paris, Auguste Poulet-Malassis et de Broise, 1861
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