Voltaire, Candido ovvero l’ottimismo

Voltaire

Voltaire, Candido ovvero l’ottimismo

 

I filosofi illuministi fecero frequentemente ricorso all’ironia e alla dissimulazione sarcastica e umoristica.

Essi infatti fingevano spesso, sul piano letterale, di sostenere una tesi, simulando ingenuità e ignoranza, mentre in realtà intendevano ridicolizzarla e magari avvalorare il contrario.  In tal modo essi affermarono le nuove idee e demolirono, attraverso il riso, tutto ciò che consideravano arretrato e superato.

candidoCandido ovvero l’ottimismo di Voltaire è una delle opere narrative del ‘700 in cui il ricorso all’ironia assume un ruolo centrale. Nel Candido si esprimono lo spirito vivace e arguto e il senso dell’umorismo che animavano i salotti aristocratici e intellettuali parigini. Esso è tuttavia anche un romanzo di formazione: il susseguirsi delle peripezie di Candido, infatti, conduce alla sua crescita e maturazione intellettuale.

Tema centrale del romanzo è la satira contro le presunte certezze metafisiche: non esistono verità assolute e chi crede di esserne in possesso si fa inevitabilmente portatore di fanatismo e di intolleranza.

La polemica di Voltaire è in particolare rivolta contro le tesi del filosofo e matematico tedesco Leibniz, secondo il quale il nostro mondo è “il migliore dei modi possibili”, “perché il tutto essendo fatto per un fine, tutto è necessariamente per l’ottimo fine”. Voltaire ridicolizza questa inverificabile tesi, attribuendola a Pangloss, l’istitutore che continua ciecamente a ripeterla anche in presenza delle più gravi sciagure (il disastroso terremoto di Lisbona del 1755, la guerra, le ingiustizie e sopraffazioni, ecc.). Secondo Voltaire il male e l’irrazionalità sono purtroppo molto diffusi nel mondo e la ragione umana non è in grado di spiegarne la presenza. Tuttavia l’uomo grazie alla ragione può costruire una società in cui prevalgano idee di giustizia e di progresso.

La trama

Nel castello del barone di Thunder-den-Tronckht vivono felici Candido, madamigella Cunegonda, figlia del barone, e Pangloss, insegnante di “metafisico-teologo-cosmoscemologia”, il quale è convinto che “le cose non possono essere in altro modo: perché, siccome tutto è creato per un fine, tutto è necessariamente per il migliore dei fini”.

Cunegonda, scoperto Pangloss mentre tra i cespugli sta dando alla cameriera una “lezione di anatomia”, ne vuole subito imitare l’esperienza con Candido dietro un paravento, ma il Barone li scopre e caccia il giovane a pedate nel sedere dal migliore dei castelli possibili.

Candido vive una serie di disavventure che sembrano negare la visione ottimistica di Pangloss. Forzatamente arruolato dai Bulgari, è costretto a suon di bastonate a fare gli esercizi militari nell’armata di Federico II.

La battaglia tra Avari (Francesi) e Bulgari (Prussiani) è un’immane carneficina, benedetta dal canto del Te deum. Candido riesce a fuggire, scavalcando montagne di cadaveri, tra villaggi bruciati e membra palpitanti.

Si rifugia in Olanda dove sperimenta il fanatismo di un ugonotto e la pietà di un anabattista che lo accoglie e lo aiuta. Incontra Pangloss, sfigurato dalla sifilide e sopravvissuto alla distruzione del castello da parte dei soldati bulgari.

Insieme si recano a Lisbona, dove assistono al terribile terremoto che la distrugge. I due finiscono nelle mani dell’Inquisizione: Pangloss è impiccato e Candido fustigato.

Una vecchia cura il ragazzo e lo accompagna da Cunegonda, sopravvissuta alla distruzione del castello e finita in mano a un banchiere ebreo, che la divide con il Grande Inquisitore. Candido uccide entrambi e fugge con Cunegonda e con la vecchia a Buenos Aires, dove Cunegonda diventa l’amante del governatore.

Perseguitato dalla giustizia, Candido si rifugia in Paraguay, nel regno dei gesuiti, dove durante una lite uccide il barone fratello di Cunegonda.

Candido e Cacambò, suo servitore, si inoltrano nella foresta e qui sono catturati dagli Orecchioni, una tribù di cannibali, ma poi sono liberati e, dopo molte difficoltà, giungono nel paese di Eldorado, regno della felicità, dove non esistono denaro, violenza, tribunali e preti. Tuttavia decidono di non fermarsi e ripartono carichi di oro.

Di nuovo alla ricerca di Cunegonda, candido riparte per l’Europa, destinazione finale Venezia. In viaggio incontra Martin, un filosofo radicalmente pessimista, dalle idee completamente opposte a quelle di Pangloss.

A Venezia Candido non ritrova Cunegonda, ma Paquette, la vecchia amante di Pangloss, divenuta prostituta. Anche Cacambò arriva a Venezia, ma è ridotto in schiavitù. I tre s’imbarcano per Costantinopoli, dove anche Cunegonda è divenuta schiava di un avventuriero.

Sulla nave Candido riconosce in due forzati incatenati ai remi il filosofo Pangloss, che era stato male impiccato, e il redivivo baronetto gesuita, fratello di Cunegonda.

Candido li riscatta entrambi e tutti quanti giungono in Turchia dove trovano Cunegonda, brutta, invecchiata e noiosa. Liberata, anche lei, Candido si stabilisce con il resto della compagnia in una piccola fattoria, per dedicarsi a “coltivare il proprio giardino”.

 

 

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