Umberto Eco, Il nome della rosa

il_nome_della_rosaUmberto Eco, Il nome della rosa

Nell’introduzione (Naturalmente, un manoscritto) Eco dice di aver trovato la traduzione francese (scritta da un certo abate Vallet nella seconda metà del 1660 ma edita nel 1842) del manoscritto latino-medioevale di Adso, novizio benedettino nel monastero austriaco di Melk (e narratore ormai vecchio della vicenda), e di averla a sua volta tradotta.

Lo sfondo storico del romanzo è quello della lotta tra Papa Giovanni XXII, con sede ad Avignone, e l’imperatore germanico Ludovico il Bavaro. Contemporaneamente, si consuma la frattura tra il Papa e i francescani spirituali, fedeli all’ideale della povertà assoluta, che nel 1323 Giovanni XXII dichiara eretici. Per ricomporre questi contrasti, il Generale dell’Ordine dei Francescani Michele da Cesena invia, nel novembre del 1327, il dotto frate francescano inglese Guglielmo da Baskerville in un’abbazia benedettina dell’Italia settentrionale che si è offerta come luogo di convegno delle parti in causa. Accompagnato da Adso, frate Guglielmo, nei sette giorni di permanenza nell’abbazia, si trova a indagare su alcuni terribili e oscuri delitti.

Appena giunto viene informato dall’Abate che il giovane frate miniatore Adelmo da Otranto è stato trovato morto in fondo al dirupo davanti alla biblioteca del monastero. L’Abate affida le indagini sul delitto a Guglielmo, confidando nelle sue acute doti di osservatore. Intanto viene trovato il cadavere di un altro monaco, Venanzio, traduttore dal greco, conficcato a testa in giù in un orcio pieno di sangue di maiale. Guglielmo si convince che gli indizi riconducono alla biblioteca, così assieme ad Adso, penetra di nascosto nello scriptorium, ma qui i due sono disturbati da presenze misteriose e riescono a stento a fuggire. Alla fine del terzo giorno, il cadavere del monaco Berengario, aiuto bibliotecario, è ritrovato in una vasca, apparentemente annegato. Il quarto giorno giungono al convento la delegazione dei frati minori e quella papale. Intanto Guglielmo scopre che Berengario è stato avvelenato e che un legame omosessuale lo univa ad Adelmo. Il quinto giorno, mentre sono in corso le dispute tra le due delegazioni, un frate annuncia la morte di Severino, l’erborista, ritrovato con la testa spaccata. Messo sotto tortura per ordine dell’Inquisitore Bernardo Gui, il cellario Remigio, già reo confesso di aver fatto parte del movimento eretico di Fra Dolcino si dichiara autore di tutti i delitti. I membri della delegazione francescana lasciano l’abbazia, temendo di essere incarcerati. Il sesto giorno, tuttavia, si verifica un nuovo delitto, quello del bibliotecario Malachia, avvelenato da una sostanza che gli ha annerito le dita della mano destra e la lingua. Guglielmo e Adso hanno così la conferma dei loro sospetti: la chiave dei delitti è nella biblioteca, e in particolare in un libro del quale è vietata la lettura e nascosto nel finis Africae.

Informano della loro scoperta l’Abate, che però reagisce in modo strano, dispensandoli da ulteriori indagini e invitandoli a lasciare l’abbazia, giacché la loro missione è finita. Tuttavia frate Guglielmo è deciso a smascherare l’autore dei delitti…

 La conclusione:

…e nella notte penetra con Adso nelle stanze segrete della biblioteca, dove trova ad attenderlo l’ex bibliotecario, il vecchio e cieco Jorge de Burgos. Questi ammette di essere stato lui a impregnare di veleno le pagine del libro di Aristotele, di modo che alcuni monaci erano morti per averlo sfogliato (bagnando il dito sulla lingua per cambiare pagina). Dopo una lunga conversazione sul contenuto di quel manoscritto, che Guglielmo sfoglia munito di guanti, Jorge se ne rimpadronisce, ne strappa le pagine e le ingoia arretrando dinanzi ai due monaci che cercano di fermarlo, quindi riesce ad afferrare il lume che Adso tiene in mano e ad appiccare il fuoco ai libri e a tutta la biblioteca. Guglielmo e Adso riescono a raggiungere l’esterno, mentre l’Abbazia è avvolta dalle fiamme. Tre giorni dopo Guglielmo e Adso prendono la via del ritorno.

Tornato sul posto sessant’anni dopo, Adso raccoglie tra i ruderi frammenti dei manoscritti risparmiati dal fuoco, quasi che da quei resti dovesse pervenirgli un messaggio, e li porta con sé a Melk, dove trascorre gli ultimi anni della sua vita ricomponendo con quelle reliquie una «biblioteca minore», «fatta di brani, citazioni, periodi incompiuti, moncherini di libri».

Nato ad Alessandria nel 1932, Umberto Eco compie gli studi universitari a Torino, dove si laurea in filosofia nel 1954 con una tesi sul Problema estetico in San Tommaso d’Aquino sotto la guida di Luigi Pareyson, una delle figure più importanti della filosofia italiana del secondo Novecento. Lavora dapprima alla Rai in qualità di esperto di sperimentazione musicale, quindi nella redazione della casa editrice Bompiani (1959). A partire dal 1962 inizia una fortunata carriera accademica che lo porterà in diverse università italiane (Torino, Milano, Firenze), fino ad occupare, dal 1975, la prima cattedra di Semiotica e a diventare preside della facoltà di Scienze della comunicazione a Bologna. Contemporaneamente, aderisce al Gruppo 63, costituito a Palermo da giovani autori della Neoavanguardia e collabora a riviste (“L’Espresso”) e a quotidiani con articoli sui fenomeni della cultura di massa. Diventa il primo segretario generale della International Association for Semeiotic Studies, istituita a Parigi nel 1969, nell’ambito della quale organizza nel 1974 il primo congresso di semiotica a Milano. Prima di dedicarsi alla narrativa, Eco ha scritto numerosi saggi di contenuto storico, estetico, semiotico, massmediologico.

I romanzi

Eco esordì con il romanzo di ambientazione storica medioevale Il nome della rosa (1980), che divenne un vero e proprio caso letterario: tradotto in tutto il mondo, vincitore del Premio Strega nel 1981, riscosse un vasto interesse di pubblico, vendendo milioni di copie. Da questo romanzo è stato tratto anche un film, per la regia di Jean-Jacques Annaud.

Gli altri romanzi

  • Il pendolo di Foucault.
  • L’isola del giorno prima.
  • La misteriosa fiamma della regina Loana.
  • Il cimitero di Praga.

 

 

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