Montale – La poetica

Montale

Montale – La poetica

 

Nell’Intervista immaginaria del 1946, il poeta spiegava le caratteristiche della sua concezione dell’arte, della vita e della poesia. Montale considerava l’arte “la forma di vita di chi veramente non vive: un compenso o un surrogato”.

Egli sostiene, inoltre, che la sua poesia ha origine non tanto da una condizione storica e oggettiva, ma dalla sua negativa coscienza del male del mondo. La scrittura assume il significato di una confessione della propria impotenza e incapacità.

 

“Avendo sentito fin dalla nascita una totale disarmonia con la realtà che mi circondava, la materia della mia ispirazione non poteva essere che quella disarmonia. Non nego che il fascismo dapprima, la guerra più tardi, e la guerra civile più tardi ancora mi abbiano reso infelice; tuttavia esistevano in me ragioni di infelicità che andavano molto al di là e al di fuori di questi fenomeni. Ritengo si tratti di un inadattamento, di un maladjustement psicologico e morale che è proprio di tutte le nature a sfondo introspettivo, cioè a tutte le nature poetiche”

(Intervista immaginaria – 1946).

 

La scrittura assume il significato di una confessione della propria impotenza e incapacità e fin da Ossi di seppia, la prima raccolta, il mestiere di poeta appare privo di ogni privilegio gnoseologico o professionale. Nella poesia-manifesto I limoni Montale contrappone la propria poesia a quella dei “poeti laureati”: questa concezione “laica” e prosaica della poesia accompagna con coerenza tutta la sua produzione poetica, dapprima manifestandosi come critica all’eloquenza dannunziana e come denuncia del proprio “male di vivere”, poi (da Satura in poi) esprimendosi attraverso la critica della società industriale e della cultura di massa.

 

 

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