Montale, Il sogno del prigioniero

sogno del prigioniero

Eugenio Montale, Il sogno del prigioniero

La poesia, che fa parte della raccolta La Bufera e altro, descrive la realtà di un campo di concentramento assumendo il punto di vista di un prigioniero, che attraverso il sogno trasfigura la tragica realtà e non rinuncia alla speranza.

Alba e notti qui variano per pochi segni.

Il zigzag degli storni sui battifredi[1]
nei giorni di battaglia, mie sole ali,

un filo d’aria polare,
l’occhio del capoguardia dallo spioncino[2],
crac di noci schiacciate, un oleoso
sfrigolìo dalle cave, girarrosti
veri o supposti[3] – ma la paglia è oro,
la lanterna vinosa [4]è focolare
se dormendo mi credo ai tuoi piedi.

La purga dura da sempre[5], senza un perché.
Dicono che chi abiura e sottoscrive[6]
può salvarsi da questo sterminio d’oche[7];
che chi obiurga se stesso, ma tradisce
e vende carne d’altri[8], afferra il mestolo
anzi che terminare nel pâté
destinato agl’Iddii pestilenziali[9].

Tardo di mente, piagato
dal pungente giaciglio [10] mi sono fuso
col volo della tarma che la mia suola
sfarina sull’impiantito,
coi kimoni cangianti delle luci
scironate all’aurora dai torrioni,
ho annusato nel vento il bruciaticcio[11]
dei buccellati dai forni[12],
mi son guardato attorno, ho suscitato
iridi su orizzonti di ragnateli[13]
e petali sui tralicci delle inferriate,
mi sono alzato, sono ricaduto
nel fondo dove il secolo è il minuto –

e i colpi si ripetono ed i passi,
e ancora ignoro se sarò al festino
farcitore o farcito.[14] L’attesa è lunga,
il mio sogno di te non è finito.

Da La bufera e altro, in Tutte le poesie, Mondadori, Milano, 1977 

[1] Battifredi: torri di guardia

[2] Buco, sportellino per controllare i prigionieri.

[3] Elementi riferibili a torture inflitte ai prigionieri.

[4] Colore del vino.

[5] La persecuzione dura da sempre.

[6] Chi rinnega le proprie idee e aderisce a confessioni e denunce.

[7] Sterminio di esseri indifesi.

[8] Chi critica se stesso ma anche tradisce e vende carne d’altri uomini denunciandoli.

[9] Iddii pestilenziali: divinità del male.

[10] Lento di mente e ferito dal pungente giaciglio

[11] Puzzo di bruciato

[12] delle ciambelle proveniente dai forni

[13] ho creato con l’immaginazione arcobaleni sull’orizzonte segnato di ragnatele

[14] se sarò al festino tra coloro che farciscono (riempiono un dolce o carne) o farcito (cioè usato come ripieno); se sarò carnefice o vittima.

Parafrasi

Nella baracca del campo (o nella prigione) l’alba e la notte si distinguono tra loro per pochi indizi. Il volo degli uccelli (o degli aerei) sulle torri di guardia, nei giorni di battaglia, mie sole ali, uno spiffero d’aria gelida che filtra dalla porta, l’occhio della guardia che sorveglia dallo spioncino, un rumore di noci schiacciate, uno sfrigolio oleoso proveniente dai forni, girarrosti veri o presunti – ma la paglia del pagliericcio si muta in oro, la luce rossastra della lanterna diventa un focolare se mentre dormo sogno di essere vicino a te. L’epurazione dura da sempre, senza un motivo. Dicono che chi ritratta e sottoscrive una confessione può salvarsi da questo sterminio di esseri indifesi; che chi rinnega se stesso e tradisce e denuncia i propri compagni impugna il mestolo invece di finire nel paté destinato alle divinità del male.  Lento di mente e piagato dal pagliericcio pungente mi sono identificato con il volo della tarma che la mia scarpa schiaccia sul pavimento, con i kimoni variopinti delle luci provenienti all’aurora dalle torri, ho annusato nel vento il puzzo di bruciato delle ciambelle proveniente dai forni, mi sono guardato attorno, ho immaginato arcobaleni su orizzonti di ragnatele petali sui tralicci delle inferriate, mi sono rialzato in piedi, sono ricaduto sul fondo della prigione dove un minuto ha la durata di un secolo. E i colpi e i passi si susseguono continuamente, e non so ancora se al banchetto sarò cuoco (farcitore) o cibo (farcito). L’attesa è lunga, ma il mio sogno di rivederti non è finito.

Analisi del testo.

La poesia descrive la realtà di un campo di concentramento, secondo la prospettiva di un prigioniero e ruota attorno all’alternarsi di realtà e sogno. La tremenda condizione del lager domina nel testo, ma il prigioniero, attraverso la sua immaginazione, ne trasfigura le caratteristiche e non rinuncia alla speranza. Tale speranza culmina nel sogno, cui non ha rinunciato, di potersi ricongiungere con la donna amata.

Nelle prime due strofe (la prima è di un solo verso introduttivo) il poeta descrive la vita dei prigionieri nel campo, come se fosse percepita dall’interno di una delle baracche. Pochi segni distinguono il giorno dalla notte: il volo degli uccelli (o degli aerei) sulle torri di guardia, l’aria gelida che filtra attraverso le fessure, lo sguardo minaccioso del carceriere attraverso lo spioncino della porta, un rumore come di noci schiacciate o altri rumori che lasciano immaginare la tragica realtà di tortura e di morte, espressa mediante un gergo gastronomico. In quest’inferno, tuttavia, la paglia del giaciglio assume il colore dell’oro e la lanterna rossastra ricorda la luce di un focolare, per il prigioniero che s’immagina vicino alla donna amata. Nella terza strofa la descrizione prosegue secondo una prospettiva più ampia, cui si aggiunge una riflessione sui meccanismi di funzionamento del lager. L’oppressione e lo sterminio sembrano durare da sempre e l’uomo è ridotto a pura carne (oche – carne – patè), una macabra mistura di morte. Solo chi tradisce i propri compagni, si vende all’oppressore e si trasforma a sua volta in carnefice può in qualche modo salvarsi dal massacro, mettendosi al servizio di divinità infernali. Nella quarta strofa la prospettiva diventa più personale: il prigioniero descrive la propria condizione fisica e psichica degradata, ma si mostra ancora, disperatamente, capace di trasfigurare la realtà. Alle immagini di tortura, di prigionia e di morte che lo circondano (l’odore di bruciato proveniente dai forni crematori, i tralicci delle inferriate), si alternano quelle del “sogno”: le luci provenienti dalle torri di guardia gli sembrano chimoni variopinti; le ragnatele assumono i colori dell’arcobaleno; immagina petali sui tralicci delle inferriate. La disperazione sembra prendere il sopravvento, poiché il tempo in quella condizione di prigionia non trascorrere mai (il secolo è il minuto). Nella breve strofa conclusiva, il prigioniero sente colpi e passi inquietanti e riprende concettualmente uno dei temi della terza strofa (ignoro se sarò al festino/farcitore o farcito); l’attesa (di nuovo il tempo) è lunga, ma il prigioniero non cessa di sperare di poter incontrare finalmente la donna amata.

Nella lirica uno degli elementi più rilevanti è costituito, appunto, dal lento trascorrere del tempo, scandito da pochi segni indicativi: Alba e notti qui variano per pochi segni; La purga dura da sempre; nel fondo dove il secolo è il minuto; i colpi si ripetono ed i passi; L’attesa è lunga. I segni della realtà e del sogno si fondono, ma l’elemento catalizzatore del secondo è costituito dalla donna, che nella condizione degradata della prigionia induce il prigioniero a non perdere completamente la speranza. Tale ruolo della figura femminile non a caso compare fin dalla prima trasfigurazione della realtà, che incontriamo nella seconda strofa (la paglia è oro… se dormendo mi credo ai tuoi piedi) e nella litote dell’ultimo verso (il mio sogno di te non è finito): solo il ricordo della donna amata dà al prigioniero la forza per resistere e per continuare a sperare.

La poesia, scritta nel 1954, è strutturata in cinque strofe, di cui la prima di un solo verso, di versi endecasillabi, spesso ipermetri e in alcuni casi di tredici sillabe (v. 11 e v. 28). La poesia, priva di rime regolari, si caratterizza tuttavia per una trama fonica molto ricca di rime interne, assonanze, allitterazioni e termini onomatopeici, come ad esempio quelli legati alla metafora gastronomica, avviati dall’onomatopea del verso 6 (crac – noci – schiacciate – sfrigolìo). Il lessico è scabro, con molti termini legati al campo semantico della gastronomia, crudele metafora della degradazione dell’uomo.

Il sogno del prigioniero rappresenta un’esplicita denuncia degli stermini e delle crudeltà dei regimi totalitari, che ebbero il loro culmine nell’istituzione dei campi di concentramento. Tuttavia, Montale stesso chiarì che nella sua poesia il prigioniero poteva essere sì considerato un prigioniero politico ma anche un prigioniero della condizione esistenziale. In tale ottica, la poesia e la donna rivestono una funzione salvifica, si prospettano come mezzi, pur molto fragili, per sottrarsi alla crudezza del reale, per evadere dal senso di disarmonia con la realtà. 

Esercizi di analisi del testo

  1. Riassumi brevemente il contenuto della poesia (max 5 righe metà colonna)
  2. Quali sono le percezioni che il prigioniero ha della realtà esterna?
  3. In che modo il prigioniero si sottrae a tale realtà?
  4. Il poeta utilizza una serie di immagini gastronomiche per alludere a ciò che accade nel campo di concentramento. Individuale e indica quale significato assumono.
  5. Quali sono le condizioni psico-fisiche in cui il prigioniero si trova?
  6. A quali diversi tipi di campi di detenzione fanno riferimento le espressioni “La purga dura da sempre” “il bruciaticcio dei buccellati dai forni…”? Perché?
  7. Spiega il significato della metafora gastronomica utilizzata dal poeta e in che modo i prigionieri possano sperare di sottrarsi allo “sterminio d’oche”.
  8. Individua e sottolinea le espressioni riferibili al trascorrere del tempo nel campo di concentramento: che tipo di rapporto ha il prigioniero con il tempo?
  9. Spiega il significato del titolo, individuando le espressioni che lo motivano.
  10. Nella poesia la figura femminile assume una funzione “salvifica”. Perché?
  11. Il testo fa riferimento alla condizione di un prigioniero. Qual è il significato più generale cui può alludere?
  12. Nel componimento si può cogliere un implicito riferimento alla funzione della poesia. Perché?

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