Leopardi, A Silvia

Leopardi

Leopardi, A Silvia

La poesia “A Silvia” è una canzone libera (“a selva”) con versi endecasillabi e settenari che si alternano e rime irregolari. Si struttura in sei strofe il cui contenuto in sintesi è il seguente:

  • Prima e seconda strofa: descrizione di Silvia, delle sue azioni e dei suoi pensieri.
  • Terza strofa: descrizione delle azioni, dei pensieri, dei sentimenti del poeta.
  • Quarta strofa: ricordo delle comuni speranze e riflessione sull’atroce delusione di cui la Natura è responsabile.
  • Quinta strofa: la morte di Silvia e le sua adolescenza troncata.
  • Sesta strofa: la fine delle speranza del poeta e la prospettiva della morte.

 

Silvia, rimembri ancora

Quel tempo della tua vita mortale,

Quando beltà splendea

Negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,

E tu, lieta e pensosa, il limitare

Di gioventù salivi?

Sonavan le quiete

Stanze, e le vie dintorno,

Al tuo perpetuo canto,

Allor che all’opre femminili intenta

Sedevi, assai contenta

Di quel vago avvenir che in mente avevi.

Era il maggio odoroso: e tu solevi

Così menare il giorno.

 

Io gli studi leggiadri

Talor lasciando e le sudate carte,

Ove il tempo mio primo

E di me si spendea la miglior parte,

D’in su i veroni del paterno ostello

Porgea gli orecchi al suon della tua voce,

Ed alla man veloce

Che percorrea la faticosa tela.

Mirava il ciel sereno,

Le vie dorate e gli orti,

E quinci il mar da lungi, e quindi il monte.

Lingua mortal non dice

Quel ch’io sentiva in seno.

 

Che pensieri soavi,

Che speranze, che cori, o Silvia mia!

Quale allor ci apparia

La vita umana e il fato!

Quando sovviemmi di cotanta speme,

Un affetto mi preme

Acerbo e sconsolato,

E tornami a doler di mia sventura.

O natura, o natura,

Perché non rendi poi

Quel che prometti allor? perché di tanto

Inganni i figli tuoi?

 

Tu pria che l’erbe inaridisse il verno,

Da chiuso morbo combattuta e vinta,

Perivi, o tenerella. E non vedevi

Il fior degli anni tuoi[1];

Non ti molceva il core

La dolce lode or delle negre chiome,

Or degli sguardi innamorati e schivi;

Né teco le compagne ai dì festivi

Ragionavan d’amore.

 

Anche peria fra poco

La speranza mia dolce: agli anni miei

Anche negaro i fati

La giovanezza. Ahi come,

Come passata sei,

Cara compagna dell’età mia nova,

Mia lacrimata speme!

Questo è quel mondo? questi

I diletti, l’amor, l’opre, gli eventi

Onde cotanto ragionammo insieme?

Questa la sorte dell’umane genti?

All’apparir del vero

Tu, misera, cadesti: e con la mano

La fredda morte ed una tomba ignuda

Mostravi di lontano.


[1] Il fior degli anni tuoi: la giovinezza.

Parafrasi

Silvia, ricordi ancora quel tempo della tua vita terrena, quando la bellezza risplendeva nei tuoi occhi sorridenti e timidi, e tu, lieta e pensierosa, stavi per oltrepassare la soglia della giovinezza? Risuonavano le quiete  stanze e le vie circostanti al tuo continuo canto, quando sedevi intenta ai lavori femminili, assai felice per quel futuro indefinito e lieto che immaginavi. Era maggio, profumato da tanti fiori: tu eri solita trascorrere il giorno in questo modo. Io, abbandonando talvolta gli studi amati e gli scritti frutto di fatica, su cui si consumava la mia adolescenza e la miglior parte di me, dai balconi del palazzo paterno ascoltavo il suono della tua voce e il rumore prodotto dalla tua mano che tesseva. Contemplavo il cielo sereno, le vie illuminate dal sole e gli orti, e da una parte il mare da lontano, dall’altra le montagne. Lingua umana non può descrivere cosa provassi nel cuore. Quali pensieri dolci, quali speranze, quali sentimenti, o Silvia mia! Come allora ci appariva la vita umana e il futuro! Quando ripenso a tanta speranza, mi sento opprimere da una pena crudele ed inconsolabile, e torno a sentire il dolore della mia sventura. 

O Natura, o natura, perché non mantieni le promesse che fai ai giovani, in età adulta? Perché inganni a tal punto i tuoi figli? Tu, prima che l’inverno facesse inaridire la vegetazione, morivi in tenera età, combattuta e stroncata da una malattia incurabile. E non potevi vivere gli anni migliori della vita; non ti addolcivano il cuore la dolce lode dei tuoi neri capelli o gli sguardi innamorati e timidi; né con te parlavano d’amore le coetanee nei giorni di festa. Di lì a poco perivano anche le mie dolci speranze: il destino vietò alla mia esistenza la giovinezza. Ahi come sei fuggita velocemente cara compagna della mia giovinezza, mia rimpianta speranza! Questo è il mondo, questi i piaceri, l’amore, i progetti, gli avvenimenti di cui tanto ragionammo insieme? Questo è il destino degli uomini? All’apparire della cruda realtà tu, misera, cadesti: e con la mano indicavi da lontano la fredda morte e una tomba spoglia.

Analisi del testo

Dopo anni di silenzio poetico, di uno stato d’animo poco incline alla poesia, in occasione di un “grato” soggiorno pisano (1827-28) Leopardi sentì rinascere in sé il bisogno di quella forma espressiva, che trovò una prima realizzazione nel Risorgimento (aprile 1828) in cui egli appunto descrive il risorgere dei propri affetti, la rinnovata capacità di illudersi e concepire sentimenti poetici. 

A Silvia (19-20 aprile 1828), di pochi giorni successiva, è il primo risultato veramente compiuto di questa nuova stagione. Dopo pochi versi introduttivi che annunciano l’intento evocativo, la rimembranza, due strofe rappresentano l’età delle speranze di Silvia e del poeta da giovani. Quel che accomuna Silvia e il poeta è la condizione giovanile, e le illusioni ad essa connesse. La realtà è percepita dal poeta con il “filtro” fisico della finestra, mentre è immerso nel suo mondo interiore e impegnato nei suoi intensi studi, che sospende brevemente per ascoltare il canto della fanciulla. 

La strofa centrale interrompe la rievocazione: i due giovani, il poeta e Silvia, erano pieni di speranze e di attese sul proprio futuro, tanto che ora il ricordo di esse è fonte di acuta sofferenza. Conclude la strofa un’accorata e violenta accusa alla natura, che suscita aspettative che poi atrocemente distrugge. È infatti proprio della natura umana sperare nella felicità, ma è inevitabile che tale speranza sia disattesa poiché la natura non è finalizzata a soddisfare le aspettative degli individui. Seguono due strofe che tornano a rappresentare Silvia e il poeta, nella fase di morte delle speranze. Silvia è simbolo della giovinezza e delle sue illusioni e la sua morte precoce è simbolo del cadere di esse all’apparir del vero, quando la natura mostra il suo vero volto.

La misura delle strofe è libera, libero l’alternarsi dei settenari e degli endecasillabi, libere le rime ora rare ora più insistenti; ciascuna strofa si chiude con un settenario che rima con uno dei versi precedenti. Le rime sono meno frequenti nella prima evocazione di Silvia, mentre divengono più fitte ed evidenti quando si accentua il tono polemico e disperato del poeta. 

A livello lessicale assumono rilievo parole “tipicamente poetiche” per la loro indefinitezza, come rimembri, vago, lontano, o per la loro pregnanza letteraria, come limitare, opre, leggiadri, veroni, ostello.

Nel testo sono numerose le figure retoriche, tra le quali: apostrofe (O Silvia mia!); metonimia (sudate carte, faticosa tela); personificazione (O natura, o natura); climax (Che pensieri soavi, Che speranze, che cori); metafora (il fior degli anni tuoi). 

Sul piano fonico gli elementi più rilevanti sono costituiti dal gruppo fonetico /vi/ (presente anche in Silvia, di cui salivi è anagramma) e dal fonema /a/ (spesso seguita o preceduta dalla /n/ o dalla /r/ che ne dilatano il suono).

 

 

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