Leopardi – Pensieri dallo Zibaldone

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Leopardi – Pensieri dallo Zibaldone

 

Tutto è male.

Tutto è male. Cioè tutto quello che è, è male; che ciascuna cosa esista è un male; ciascuna cosa esiste per fin di male; l’esistenza è un male e ordinata al male; il fine dell’universo è il male; l’ordine e lo stato, le leggi, l’andamento naturale dell’universo non sono altro che male, né diretti ad altro che al male.Non v’è altro bene che il non essere; non v’ha altro di buono che quel che non è; le cose che non son cose: tutte le cose sono cattive. Il tutto esistente; il complesso dei tanti mondi che esistono; l’universo; non è che un neo, un bruscolo in metafisica. L’esistenza, per sua natura ed essenza propria e generale, è un’imperfezione, un’irregolarità, una mostruosità. […]

Il giardino della sofferenza.

Non gli uomini solamente, ma il genere umano fu e sarà sempre infelice di necessità. Non il genere umano solamente ma tutti gli animali. Non gli animali soltanto ma tutti gli altri esseri al loro modo. Non gl’individui, ma le specie, i generi, i regni, i globi, i sistemi, i mondi. Entrate in un giardino di piante, d’erbe, di fiori. Sia pur quanto volete ridente. Sia nella più mite stagione dell’anno. Voi non potete volger lo sguardo in nessuna parte che voi non vi troviate del patimento. Tutta quella famiglia di vegetali è in istato di souffrance, qual individuo più, qual meno. Là quella rosa è offesa dal sole, che gli ha dato la vita; si corruga, langue, appassisce. Là quel giglio è succhiato crudelmente da un’ape, nelle sue parti più sensibili, più vitali. Il dolce mele non si fabbrica dalle industriose, pazienti, buone, virtuose api senza indicibili tormenti di quelle fibre delicatissime, senza strage spietata di teneri fiorellini. Quell’albero è infestato da un formicaio, quell’altro da bruchi, da mosche, da lumache, da zanzare; questo è ferito nella scorza e cruciato dall’aria o dal sole che penetra nella piaga; quello è offeso nel tronco, o nelle radici; quell’altro ha più foglie secche; quest’altro è roso, morsicato nei fiori; quello trafitto, punzecchiato nei frutti. Quella pianta ha troppo caldo, questa troppo fresco; troppa luce, troppa ombra; troppo umido, troppo secco. L’una patisce incomodo e trova ostacolo e ingombro nel crescere, nello stendersi; l’altra non trova dove appoggiarsi, o si affatica e stenta per arrivarvi. In tutto il giardino tu non trovi una pianticella sola in istato di sanità perfetta. Qua un ramicello è rotto o dal vento o dal suo proprio peso; là un zeffiretto va stracciando un fiore, vola con un brano, un filamento, una foglia, una parte viva di questa o quella pianta, staccata e strappata via. Intanto tu strazi le erbe co’ tuoi passi; le stritoli, le ammacchi, ne spremi il sangue, le rompi, le uccidi. Quella donzelletta sensibile e gentile, va dolcemente sterpando e infrangendo steli. Il giardiniere va saggiamente troncando, tagliando membra sensibili, colle unghie, col ferro.                                                                                                                           (Bologna. 19. Aprile. 1826.).

La vecchiaia e la morte.

La morte non è male, perché libera l’uomo da tutti i mali e insieme coi beni gli toglie i desideri. La vecchiaia è il male più grande, perché priva l’uomo di tutti i piaceri lasciandogliene il desiderio, ed è accompagnata da ogni sorta di dolore. Eppure gli uomini temono la morte e desiderano la vecchiaia (giungere alla vecchiaia).

La felicità e la noia.

La Natura non ci ha dato solo il desiderio della felicità, ma il bisogno di essa, simile a quello di nutrirci. Chi non è felice è infelice e come chi non ha cibo soffre la fame. La Natura ci ha dato questo bisogno, senza però la possibilità di soddisfarlo.

In modo poco appropriato si dice che la noia è un male comune. Comune è l’essere senza occupazione, senza nulla da fare, non annoiati. La noia riguarda solo chi ha un animo grande. Più questo è grande più la noia è frequente, penosa e terribile. La maggior parte degli uomini trova una sufficiente occupazione ed un sufficiente piacere in una qualsiasi attività insulsa. E quando non ha proprio nulla da fare non ne soffre particolarmente. Ecco perché gli uomini di grandi sentimenti e d’animo grande sono così poco compresi circa la noia, ed il popolo spesso se ne stupisce o li deride quando parlano della noia con espressioni tragiche, che si usano per definire i mali più grandi ed inevitabili della vita.

La noia è per certi aspetti il più sublime dei sentimenti umani… Non poter mai essere soddisfatti di alcuna cosa terrena, né della terra intera; considerare l’ampiezza inestimabile dello spazio, il numero e la mole meravigliosa dei mondi, e sentire che tutto è poco e piccolo per le capacità del proprio animo; immaginare il numero infinito dei mondi, e l’universo infinito, e sentire che il nostro animo ed il nostro desiderio sarebbe ancora più grande di questo universo; e sempre accusare le cose di insufficienza o nullità, e soffrire mancanza o vuoto, perciò noia, mi sembra il maggior senso di grandezza e nobiltà che possa vedersi nella natura umana. Per questo la noia è poco nota alla maggior parte degli uomini e pochissimo o per nulla agli altri esseri viventi.

  1. Sulla base dei testi sopra riportati, indica la concezione che Leopardi ha della sofferenza, della felicità e del piacere.
  2. Perché Leopardi sostiene che la noia “riguarda solo chi ha un animo grande” e “è per certi aspetti il più sublime dei sentimenti umani…”? Quali sono le caratteristiche che Leopardi attribuisce alla noia?
  3. Per quale ragione la morte, secondo Leopardi, non è un male? Qual è il male più grande?
  4. Che cosa pensa Leopardi dell’esistenza, della morte e della vecchiaia?

“Alle volte l’anima desidererà ed effettivamente desidera una veduta ristretta e confinata in certi modi, come nelle situazioni romantiche. La cagione è la stessa, cioè il desiderio dell’infinito, perché allora in luogo della vista, lavora l’immaginazione e il fantastico sottentra al reale. L’anima s’immagina quello che non vede, che quell’albero, quella siepe, quella torre gli nasconde, e va errando in uno spazio immaginario, e si figura cose che non potrebbe, se la sua vista si estendesse da per tutto, perché il reale escluderebbe l’immaginario”.

Un oggetto qualunque, per esempio un luogo, un sito, una campagna, per bella che sia, se non desta alcuna rimembranza non è punto poetica a vederla (…). La rimembranza è essenziale e principale nel sentimento poetico, non per altro, se non perché il presente, quel ch’egli sia, non può esser poetico; e il poetico, in uno o in altro modo, si trova sempre consistere nel lontano, nell’indefinito, nel vago.

Zibaldone

 

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