Dialogo di un folletto e di uno gnomo
(testo parafrasato)
Scritto nel 1824, il testo è un dialogo privo di cornice introduttiva, in cui i due protagonisti forniscono una serie di informazioni sull’accaduto all’interno del dialogo stesso. Il dialogo affronta un tema caro a Leopardi, quello del “mondo senza gente”: una indefinita catastrofe ha portato a compimento il processo di autodistruzione avviato dall’uomo stesso, cancellandolo completamente dalla faccia della terra. Un Folletto e uno Gnomo discutono della sorte toccata alla specie umana, della sua passata superbia intellettuale, delle conseguenze della sua scomparsa.
Folletto. Oh sei tu, figlio di Sabazio? Dove vai?
Gnomo. Mio padre mi manda a cercar di capire che cosa stiano architettando quei furfanti degli uomini. È preoccupato perché da qualche tempo non ci molestano, e in tutto il suo regno non se ne vede uno. Teme che stiano preparando qualcosa di grosso contro di lui. A meno che non sia tornato in uso il mercanteggiare con pecore, anziché con oro e argento; o che i popoli civili non si contentino di pezzi di carta come moneta, come han già fatto più volte, o di paternostri di vetro, come fanno i barbari; o che non siano tornate in vigore le leggi di Licurgo, cosa però incredibile.
Folletto. Voi gli aspettate invan: son tutti morti, diceva il finale di una tragedia dove morivano tutti i personaggi.
Gnomo. Che intendi dire?
Folletto. Voglio dire che gli uomini sono tutti morti, e che la loro razza si è estinta.
Gnomo. Ma è un fatto straordinario, da prima pagina dei quotidiani! Eppure non ne parlano.
Folletto. Sciocco, non pensi che ora, scomparsi gli uomini, non vi sono più giornali?
Gnomo. Hai ragione! Ma ora come faremo a conoscere le novità del mondo?
Folletto. Quali novità? Che il sole si è levato o è tramontato, che fa caldo o freddo, che qua o là è piovuto o nevicato o ha tirato vento? Ora che gli uomini sono spariti la fortuna si è tolta la benda, e messasi gli occhiali, appesa la ruota a un arpione, se ne sta stravaccata a sedere, a guardare le cose del mondo senza più mettervi il naso: non ci son più regni né imperi che s’estendano e scoppino come bolle, perché sono tutti sfumati. Non si fanno più guerre e gli anni assomigliano l’uno all’altro come uova.
Gnomo. Ma non si saprà neppure che giorno del mese è, perché non si stamperanno i calendari.
Folletto Non sarà un gran male, dato che la luna non sbaglierà certo strada per questo.
Gnomo. Ma i giorni della settimana non avranno nome.
Folletto. E pensi che se non li chiami per nome non vengano ugualmente? O pensi, quando sono passati, di poterli richiamare indietro?
Gnomo. Ma non si potrà tenere il conto degli anni.
Folletto. Meglio, così ci spacceremo per giovani anche in età avanzata; e non misurando il tempo trascorso ce ne preoccuperemo di meno, e quando saremo vecchissimi non saremo lì ad aspettare la morte, di giorno in giorno.
Gnomo. Ma, in che modo si sono estinti, quei furfanti?
Folletto. Alcuni sono morti guerreggiando tra di loro, altri per mare, altri mangiandosi l’un l’altro, molti uccidendosi con le proprie mani, altri marcendo nell’ozio, altri spremendosi il cervello sui libri, altri gozzovigliando e conducendo una vita disordinata. Insomma, le hanno studiate tutte per agire contro la propria natura e per finir male.
Gnomo. Tuttavia, non so capacitarmi di come tutta una specie di esseri viventi possa sparire così, d’un tratto.
Folletto. Tu che sei esperto di geologia non dovresti stupirti, giacché non è la prima volta che accade, e sai bene che molti generi di animali un tempo esistenti oggi sono estinti e ridotti a pochi resti ossei pietrificati. E certamente quelle povere creature non si sono ingegnate, come hanno fatto gli uomini, per autodistruggersi.
Gnomo. Se è come dici, mi piacerebbe proprio che un paio di loro risuscitasse, per sapere come la prenderebbero a vedere che le cose procedono come prima, benché essi siano scomparsi, mentre credevano che il mondo fosse stato creato apposta per loro.
Folletto. E non volevano capire, invece, che è fatto apposta per i folletti.
Gnomo. Tu folleggi veramente, se parli sul serio !
Folletto. Perché? Certamente che parlo sul serio!
Gnomo. Eh, buffoncello, lascia perdere. Chi non sa che il mondo è fatto per gli gnomi?
Folletto. Per gli gnomi che stanno sempre sotto terra? Oh questa è bella. Che se ne fanno gli gnomi del sole, della luna, dell’aria, del mare, della campagna?
Gnomo. Che se ne fanno allora i folletti delle miniere d’oro e d’argento, e di tutta la terra, se si esclude la superficie?
Folletto. Bene, ho capito, lasciamo perdere questa stupida controversia, perché sono certo che le lucertole e i moscerini sono fermamente convinti che tutto il mondo sia fatto ad uso e consumo della loro specie. Perciò, lasciamo ciascuno del suo parere, perché nessuno glielo toglierebbe di testa. Ti dico solo che io, se non fossi nato folletto, sarei proprio disperato!
Gnomo. Lo stesso accadrebbe a me se non fossi nato gnomo. Comunque, si può facilmente immaginare quel che direbbero gli uomini nella loro presunzione, a causa della quale, tra l’altro, s’inabissavano per mille braccia sottoterra e ci derubavano delle nostre ricchezze, dicendo che esse appartenevano al genere umano, e che la natura gliele aveva nascoste e sepolte laggiù per burla, per vedere se le avessero trovate e fossero riusciti a portarle fuori.
Folletto. Non c’è da stupirsi, se si pensa che non solo pretendevano che le cose del mondo non avessero altro compito che di stare al loro servizio, ma che tutte, messe a confronto con loro, fossero una bagattella. Così, avevano la presunzione di considerare le proprie storie come le storie del mondo intero. Questo nonostante si potesse contare un numero di specie animali numeroso quanto tutti gli uomini viventi messi assieme e nonostante gli animali, che a detta degli uomini eran lì per loro, non si accorgessero minimamente dei cambiamenti del mondo.
Gnomo. Anche le zanzare e le pulci eran create per loro piacere?
Folletto. Sì, dicevano che erano state create per esercitarli nella pazienza.
Gnomo. In effetti, se non era per le pulci, mica avevano occasioni per esercitare la pazienza.
Folletto. E pensa che secondo un tal Crisippo i porci erano pezzi di carne fatti apposta dalla natura per le cucine e le dispense degli uomini, e conditi con le anime, anziché col sale, perché non imputridissero.
Gnomo. Secondo me, se Crisippo avesse avuto un po’ di sale in zucca, invece che l’anima, non avrebbe immaginato un tale sproposito.
Folletto. E anche quest’altra è bella: moltissime specie di animali non le hanno mai conosciute, perché viventi in luoghi dove non avevano messo piede o perché troppo piccole per essere viste da loro, e di moltissime altre specie non si sono accorti che molto di recente. Lo stesso vale per le piante e per mille altre cose. Eppure, quando coi loro cannocchiali si accorgevano di qualche stella o pianeta, la cui esistenza avevano ignorato per migliaia di anni, subito lo etichettavano tra le loro proprietà. Immaginavano infatti che le stelle e i pianeti fossero moccoli di lanterna piantati lassù per far lume a lor signori, che di notte erano tanto indaffarati.
Gnomo. Sicché, d’estate, quando vedevano cadere quelle fiammelle che certe notti cadono giù, avranno detto che qualche spirito andava smoccolando le stelle, al loro servizio.
Folletto. Ma ora che sono tutti spariti, la terra non sente la loro mancanza, i fiumi seguono il loro corso e il mare, benché non serva più alla navigazione e ai loro traffici, non sembra che si prosciughi.
Gnomo. E le stelle e i pianeti sorgono e tramontano come prima, e non vestono a lutto.
Folletto. E il sole non s’è intonacato il volto di ruggine, come fece, secondo Virgilio, per la morte di Cesare, della quale credo che si desse pena quanto la statua di Pompeo.
Analisi del testo
Il dialogo si può dividere nelle seguenti sequenze:
- incontro tra i due personaggi: Gnomo spiega il motivo del suo spostamento in superficie; Folletto lo informa che la razza umana si è estinta;
- lo Gnomo è legato a un punto di vista antropocentrico, che però viene messo in discussione dal Folletto;
- i due parlano delle cause della rovina degli uomini, provocata dalla loro presunta “civiltà”;
- i due concordano nel criticare l’antropocentrismo ma ciascuno poi ritiene che sia la propria specie al centro dell’universo, concordando infine sulla relatività di ogni punto di vista;
- il dialogo si conclude tornando al tema della presunzione umana.
Il tema centrale è quello della scomparsa del genere umano. L’importanza del tragico evento è tuttavia ridimensionata, fino a essere considerata irrilevante, degna persino d’ironia e di riso. Tutto ciò che per gli uomini assume grande importanza e che li fa sentire indispensabili appare in realtà inutile: denaro, giornali, calendari sono accessori del tutto superflui, mentre gli uomini li consideravano così importanti.
Ma quali le cause della scomparsa e quali le sue conseguenze? Nel dialogo appaiono rilevanti, a questo proposito, due passaggi chiave. Il primo è quello in cui il folletto, con tono tra il serio e l’ironico, individua nelle guerre, nelle navigazioni, nel suicidio, nell’ozio, nello studio, nella vita disordinata e insomma nel ricercare tutte le vie per agire contro la propria natura i motivi che hanno causato l’estinzione del genere umano. Il secondo lo troviamo nella considerazione conclusiva del Folletto, che descrive la totale indifferenza del sole alle sorti dell’umanità, anticipazione di quell’indifferenza della Natura che apparirà poi chiara nel Dialogo della Natura e di un Islandese, del maggio successivo.
L’universo, gli astri, il tempo, le specie viventi non mostrano di aver subito nessuna ripercussione dopo la scomparsa dell’uomo. Tutto procede normalmente come sempre. La derisione della presunzione umana è il vero motivo ispiratore del dialogo: nel fare questo Leopardi tiene presenti modelli settecenteschi (Voltaire, Fontenelle) di polemica contro l’antropocentrismo e contro il finalismo cristiano o di altra estrazione culturale.
Tra le manifestazioni della superbia e stupidità umana, emerge la pretesa che il cielo stellato sia tale per illuminare le notti dell’uomo, che le stelle e i pianeti fossero, come dire, moccoli da lanterna piantati lassù nell’alto a uso di far lume alle signorie loro, che la notte avevano gran faccende.
In conclusione un dialogo molto attuale. Esso può forse aiutarci a prendere in considerazione con maggiore attenzione le possibili conseguenze dei nostri comportamenti, spesso autodistruttivi come e forse ancor più di quel che si legge nel dialogo. Può aiutarci forse a comprendere, in questo nostro mondo egocentrico e selfie centrico, che in fondo siamo così piccoli e irrilevanti, e che dovremmo usare meglio l’unica dote che in qualche modo ci è stata data, l’intelligenza. Senza per questo avere la pretesa di essere i padroni assoluti dell’universo.
Esercizi di analisi del testo
- Perché gli uomini sono scomparsi dalla faccia della terra?
- Quali conseguenze ha prodotto la loro scomparsa?
- Perché si può parlare di critica all’antropocentrismo?
- A quale proposito il Folletto e lo Gnomo sarebbero proprio disperati?
- Quali conseguenze ha subito la Natura per la scomparsa dell’uomo?
Leopardi, Dialogo di un Folletto e di uno Gnomo (testo originale)
Folletto. Oh sei tu qua, figliuolo di Sabazio? Dove si va?
Gnomo. Mio padre m’ha spedito a raccapezzare che diamine si vadano macchinando questi furfanti degli uomini; perché ne sta con gran sospetto, a causa che da un pezzo in qua non ci danno briga, e in tutto il suo regno non se ne vede uno. Dubita che non gli apparecchino qualche gran cosa contro, se però non fosse tornato in uso il vendere e comperare a pecore, non a oro e argento; o se i popoli civili non si contentassero di polizzine per moneta, come hanno fatto più volte, o di paternostri di vetro, come fanno i barbari; o se pure non fossero state ravvalorate le leggi di Licurgo, che gli pare il meno credibile.
Folletto. Voi gli aspettate invan: son tutti morti, diceva la chiusa di una tragedia dove morivano tutti i personaggi.
Gnomo. Che vuoi tu inferire?
Folletto. Voglio inferire che gli uomini sono tutti morti, e la razza è perduta.
Gnomo. Oh cotesto è caso da gazzette. Ma pure fin qui non s’è veduto che ne ragionino.
Folletto. Sciocco, non pensi che, morti gli uomini, non si stampano più gazzette?
Gnomo. Tu dici il vero. Or come faremo a sapere le nuove del mondo?
Folletto. Che nuove? che il sole si è levato o coricato, che fa caldo o freddo, che qua o là è piovuto o nevicato o ha tirato vento? Perché, mancati gli uomini, la fortuna si ha cavato via la benda, e messosi gli occhiali e appiccato la ruota a un arpione, se ne sta colle braccia in croce a sedere, guardando le cose del mondo senza più mettervi le mani; non si trova più regni né imperi che vadano gonfiando e scoppiando come le bolle, perché sono tutti sfumati; non si fanno guerre, e tutti gli anni si assomigliano l’uno all’altro come uovo a uovo.
Gnomo. Né anche si potrà sapere a quanti siamo del mese, perché non si stamperanno più lunari.
Folletto. Non sarà gran male, che la luna per questo non fallirà la strada.
Gnomo. E i giorni della settimana non avranno più nome.
Folletto. Che, hai paura che se tu non li chiami per nome, che non vengano? o forse ti pensi, poiché sono passati, di farli tornare indietro se tu li chiami?
Gnomo. E non si potrà tenere il conto degli anni.
Folletto. Così ci spacceremo per giovani anche dopo il tempo; e non misurando l’età passata, ce ne daremo meno affanno, e quando saremo vecchissimi non istaremo aspettando la morte di giorno in giorno.
Gnomo. Ma come sono andati a mancare quei monelli?
Folletto. Parte guerreggiando tra loro, parte navigando, parte mangiandosi l’un l’altro, parte ammazzandosi non pochi di propria mano, parte infracidando nell’ozio, parte stillandosi il cervello sui libri, parte gozzovigliando, e disordinando in mille cose; in fine studiando tutte le vie di far contro la propria natura e di capitar male.
Gnomo. A ogni modo, io non mi so dare ad intendere che tutta una specie di animali si possa perdere di pianta, come tu dici.
Folletto. Tu che sei maestro in geologia, dovresti sapere che il caso non è nuovo, e che varie qualità di bestie si trovarono anticamente che oggi non si trovano, salvo pochi ossami impietriti. E certo che quelle povere creature non adoperarono niuno di tanti artifizi che, come io ti diceva, hanno usato gli uomini per andare in perdizione.
Gnomo. Sia come tu dici. Ben avrei caro che uno o due di quella ciurmaglia risuscitassero, e sapere quello che penserebbero vedendo che le altre cose, benché sia dileguato il genere umano, ancora durano e procedono come prima, dove essi credevano che tutto il mondo fosse fatto e mantenuto per loro soli.
Folletto. E non volevano intendere che egli è fatto e mantenuto per li folletti.
Gnomo. Tu folleggi veramente, se parli sul sodo.
Folletto. Perché? io parlo bene sul sodo.
Gnomo. Eh, buffoncello, va via. Chi non sa che il mondo e fatto per gli gnomi?
Folletto. Per gli gnomi, che stanno sempre sotterra? Oh questa e la più bella che si possa udire. Che fanno agli gnomi il sole, la luna, l’aria, il mare, le campagne?
Gnomo. Che fanno ai folletti le cave d’oro e d’argento, e tutto il corpo della terra fuor che la prima pelle?
Folletto. Ben bene, o che facciano o che non facciano, lasciamo stare questa contesa, che io tengo per fermo che anche le lucertole e i moscherini si credano che tutto il mondo sia fatto a posta per uso della loro specie. E però ciascuno si rimanga col suo parere, che niuno glielo caverebbe di capo: e per parte mia ti dico solamente questo, che se non fossi nato folletto, io mi dispererei.
Gnomo. Lo stesso accadrebbe a me se non fossi nato gnomo. Ora io saprei volentieri quel che direbbero gli uomini della loro presunzione, per la quale, tra l’altre cose che facevano a questo e a quello, s’inabissavano le mille braccia sotterra e ci rapivano per forza la roba nostra, dicendo che ella si apparteneva al genere umano, e che la natura gliel’aveva nascosta e sepolta laggiù per modo di burla, volendo provare se la troverebbero e la potrebbero cavar fuori.
Folletto. Che maraviglia? quando non solamente si persuadevano che le cose del mondo non avessero altro uffizio che di stare al servigio loro, ma facevano conto che tutte insieme, allato al genere umano, fossero una bagattella. E però le loro proprie vicende le chiamavano rivoluzioni del mondo, e le storie delle loro genti, storie del mondo: benché si potevano numerare, anche dentro ai termini della terra, forse tante altre specie, non dico di creature, ma solamente di animali, quanti capi d’uomini vivi: i quali animali, che erano fatti espressamente per coloro uso, non si accorgevano però mai che il mondo si rivoltasse.
Gnomo. Anche le zanzare e le pulci erano fatte per benefizio degli uomini?
Folletto. Sì erano; cioè per esercitarli nella pazienza, come essi dicevano.
Gnomo. In verità che mancava loro occasione di esercitar la pazienza, se non erano le pulci.
Folletto. Ma i porci, secondo Crisippo, erano pezzi di carne apparecchiati dalla natura a posta per le cucine e le dispense degli uomini, e, acciocché non imputridissero, conditi colle anime in vece di sale.
Gnomo. Io credo in contrario che se Crisippo avesse avuto nel cervello un poco di sale in vece dell’anima, non avrebbe immaginato uno sproposito simile.
Folletto. E anche quest’altra è piacevole; che infinite specie di animali non sono state mai viste né conosciute dagli uomini loro padroni; o perché elle vivono in luoghi dove coloro non misero mai piede, o per essere tanto minute che essi in qualsivoglia modo non le arrivavano a scoprire. E di moltissime altre specie non se ne accorsero prima degli ultimi tempi. Il simile si può dire circa al genere delle piante, e a mille altri. Parimente di tratto in tratto, per via de’ loro cannocchiali, si avvedevano di qualche stella o pianeta, che insino allora, per migliaia e migliaia d’anni, non avevano mai saputo che fosse al mondo; e subito lo scrivevano tra le loro masserizie: perché s’immaginavano che le stelle e i pianeti fossero, come dire, moccoli da lanterna piantati lassù nell’alto a uso di far lume alle signorie loro, che la notte avevano gran faccende.
Gnomo. Sicché in tempo di state, quando vedevano cadere di quelle fiammoline che certe notti vengono giù per l’aria, avranno detto che qualche spirito andava smoccolando le stelle per servizio degli uomini.
Folletto. Ma ora che ei sono tutti spariti, la terra non sente che le manchi nulla, e i fiumi non sono stanchi di correre, e il mare, ancorché non abbia più da servire alla navigazione e al traffico, non si vede che si rasciughi.
Gnomo. E le stelle e i pianeti non mancano di nascere e di tramontare, e non hanno preso le gramaglie.
Folletto. E il sole non s’ha intonacato il viso di ruggine; come fece, secondo Virgilio, per la morte di Cesare: della quale io credo ch’ei si pigliasse tanto affanno quanto ne pigliò la statua di Pompeo.
Pirandello, Tutta colpa di Copernico!
Da Pirandello, Il fu Mattia Pascal (Premessa seconda (filosofica) a mo’ di scusa).
Copernico, Copernico, don Eligio mio ha rovinato l’umanità, irrimediabilmente. Ormai noi tutti ci siamo a poco a poco adattati alla nuova concezione dell’infinita nostra piccolezza, a considerarci anzi men che niente nell’Universo, con tutte le nostre belle scoperte e invenzioni e che valore dunque volete che abbiano le notizie, non dico delle nostre miserie particolari, ma anche delle generali calamità? Storie di vermucci ormai le nostre. Avete letto di quel piccolo disastro delle Antille? Niente. La Terra, poverina, stanca di girare, come vuole quel canonico polacco, senza scopo, ha avuto un piccolo moto d’impazienza, e ha sbuffato un po’ di fuoco per una delle tante sue bocche. Chi sa che cosa le aveva mosso quella specie di bile. Forse la stupidità degli uomini che non sono stati mai così nojosi come adesso. Basta. Parecchie migliaja di vermucci abbrustoliti. E tiriamo innanzi. Chi ne parla più?
Don Eligio Pellegrinotto mi fa però osservare che per quanti sforzi facciamo nel crudele intento di strappare, di distruggere le illusioni che la provvida natura ci aveva create a fin di bene, non ci riusciamo. Per fortuna, l’uomo si distrae facilmente.
Questo è vero. Il nostro Comune, in certe notti segnate nel calendario, non fa accendere i lampioni, e spesso – se è nuvolo – ci lascia al bujo. Il che vuol dire, in fondo, che noi anche oggi crediamo che la luna non stia per altro nel cielo, che per farci lume di notte, come il sole di giorno, e le stelle per offrirci un magnifico spettacolo. Sicuro. E dimentichiamo spesso e volentieri di essere atomi infinitesimali per rispettarci e ammirarci a vicenda, e siamo capaci di azzuffarci per un pezzettino di terra o di dolerci di certe cose, che, ove fossimo veramente compenetrati di quello che siamo, dovrebbero parerci miserie incalcolabili.
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