De Laclos, La Marchesa de Marteuil al Visconte de Valmont

relazioni pericolose

Choderlos de Laclos, La Marchesa de Marteuil al Visconte de Valmont

Da Choderlos de Laclos, Le relazioni pericolose

 

Lettera LXXXI

Combattendo senza rischi gli uomini non hanno bisogno di precauzioni. Per voi le sconfitte sono soltanto un successo in meno e in questa gara ad armi impari la fortuna per noi donne è di non perdere, mentre per voi la sfortuna è di non vincere.

Quand’anche potessi riconoscervi delle doti eguali alle nostre, noi le avremmo sempre in quantità maggiore per la necessità in cui ci troviamo di doverne fare continuamente uso! […]

Ora, se malgrado tutto questo, mi avete vista, padrona degli avvenimenti e dei giudizi altrui, far di questi uomini così terribili un balocco per i miei capricci e le mie fantasie e togliere all’uno la volontà, all’altro la possibilità di farmi del male, se ho saputo, di volta in volta e secondo i miei gusti mutevoli, legare a me o respingere codesti “tiranni spodestati ora miei schiavi” se pur tra questi totali capovolgimenti ho potuto conservare una reputazione illibata[1], come non pensare che io sono nata per vendicare appunto il mio sesso, dominando il vostro e inventando metodi che prima dì me erano sconosciuti? […]

Sono entrata in società che ero ancora una ragazzina e quindi votata al silenzio e alla passività per la mia condizione femminile, ma ho saputo approfittarne per osservare e riflettere. Nel tempo in cui pensavano che fossi sventata o distratta, davo poca attenzione, a dire il vero, ai discorsi che si ritenevano tenuti a farmi e invece molta a quelli che cercavano di nascondermi. Questa utile curiosità servì a istruirmi e m’insegnò anche a dissimulare; forzata spesso a nascondere l’oggetto delle mie attenzioni agli occhi di quelli che mi circondavano, imparai a guidare i miei come volevo io e a fingere così quello sguardo distratto che molto spesso anche Voi avete lodato. Incoraggiata da questo primo successo cercai di padroneggiare allo stesso modo i vari movimenti del viso. Se avevo qualche dispiacere, cercavo di mostrarmi serena e magari ridente. Mi esercitai con zelo, sino a patire sofferenze volontarie per esercitarmi ad avere in quei momenti una espressione d’allegria. Con la stessa attenzione e con sforzi anche maggiori mi sono esercitata a reprimere i sintomi d’una gioia improvvisa. A questo modo ho potuto farmi quella. padronanza della mia fisionomia, di cui vi siete mille volte stupito. Ero allora giovanissima e quindi disinteressata; ma sentivo già che il pensiero era l’unico bene che possedevo, e m’indignava pertanto l’idea che altri potesse carpirmelo o sorprenderlo contro la mia volontà. Appena ebbi a mia disposizione queste mie prime armi, cercai di farne uso; e, non contenta d’essere diventata ormai impenetrabile, mi divertii a mostrarmi sotto i più svariati aspetti. E quando fui sicura dei miei gesti mi misi a osservare i miei discorsi, regolando gli uni e gli altri secondo le circostanze o magari secondo i miei capricci. Da questo istante il mio modo di pensare fu una cosa veramente mia, e, del mio pensiero, manifestavo soltanto quel che m’era utile lasciar trapelare. Questo lavorio che avevo compiuto dentro di me m’aveva offerto l’occasione d’esaminare le espressioni dei visi e la natura delle varie fisionomie negli altri: ne guadagnai un occhio sicuro e penetrante che poche volte mi ha ingannato di poi, sebbene l’esperienza mi abbia insegnato a non fidarmene alla cieca. Avevo appena quindici anni e possedevo già tutte le arti dei più famosi uomini politici; eppure ero ancora all’abbiccì della scienza che volevo apprendere.

Come tutte le ragazze, cercavo anch’io d’indovinare che cosa fossero l’amore e i suoi piaceri; ma, poiché non ero stata mai nei monasteri, e non avevo nessuna amica intima, ed ero sorvegliata da una madre vigilante, ne avevo soltanto idee vaghe che non riuscivo in nessun modo a precisare. […] E il desiderio d’imparare era tanto che mi suggerì un espediente. Capii che il solo uomo, col quale avrei potuto parlare di queste cose senza compromettermi, era il confessore. Presi subito la mia decisione; vinsi un residuo di vergogna e vantandomi d’una colpa che non avevo commessa, mi accusai d’aver fatto ciò che fanno tutte le donne. Mi espressi in questi termini, ma mentre parlavo io non sapevo quale fatto stessi rievocando. La mia speranza non venne né interamente delusa né soddisfatta; la paura di tradirmi m’impediva di chiedere più precise spiegazioni; ma il buon Padre mi dipinse un male così grande che ne dedussi che il piacere corrispondente doveva essere estremo; e al desiderio di conoscerlo seguì quello di gustarlo. […] mia madre pochi giorni dopo venne ad annunziarmi che mi dava marito: la certezza che ormai avrei saputo tutto calmò le mie impazienze, e pertanto arrivai vergine tra le braccia del Signor de Merteuil. Attendevo tranquilla il momento di sapere ciò che doveva accadere, e mi ci volle una buona dose di riflessione per fingere l’imbarazzo e la paura. La famosa prima notte, di cui le donne si fanno di solito un’idea troppo dolce o troppo crudele, per me non fu altro che un’occasione d’esperienza, e osservai ogni cosa, dolore e piacere, freddamente, con precisione, come se si trattasse difatti da raccogliere e da meditare. Questo genere di studi cominciò presto a piacermi; ma, fedele ai miei principi e sentendo forse per istinto che non dovevo mai essere sincera con nessuno e specialmente con mio marito, mi feci giudicare da lui addirittura come frigida, e ciò solo perché ero invece molto portata per quelle faccende. La mia apparente freddezza fu il fondamento incrollabile della sua cieca fiducia; e avendo io preso, a seguito d’una più profonda riflessione, l’aria d’una ragazza sventata, che si addiceva bene alla mia età, egli mi giudicò poi sempre ingenua come una bambina, soprattutto quando gliene facevo di tutti i colori. […] Morì, come sapete, poco tempo dopo; e, sebbene, tutto sommato, non avessi da lamentarmi dì lui, apprezzai molto il valore della libertà che la vedovanza m’avrebbe concesso e mi ripromisi d’approfittarne.

Mia madre era convinta che avrei fatto ritorno al Convento o che sarei andata a vivere con lei. Rifiutai entrambe le soluzioni: tutto quel che concessi alle convenienze d’uso fu il ritorno a quella stessa campagna, dove avevo da compiere ancora nuove osservazioni. Le avvalorai con l’aiuto dei libri […] mi resi conto di quello che si può fare, di quello che si deve pensare e di quel che bisogna apparire. Una volta stabiliti questi tre punti, trovai che solo l’ultimo presentava qualche difficoltà d’esecuzione; ma non disperavo di riuscirci e ne cercai i modi opportuni. Cominciavo ad annoiarmi dei miei divertimenti campagnoli, troppo poco vari per un cervello sveglio; sentivo adesso un bisogno di civetteria che mi riconciliava con l’amore, non certo per provarlo, ma per provocarlo, per fingerlo. […] Quella lunga solitudine, quel ritiro austero mi avevano procurato una fama di pinzochera[2] che spaventava i più simpatici cavalieri; costoro si tenevano alla larga e mi lasciavano in balia di un bel gruppo di noiosi che aspiravano tutti alla mia mano. Non era difficile rifiutarli, ma questi rifiuti dispiacevano alla mia famiglia, così perdevo in queste situazioni intricate il tempo che mi auguravo di utilizzare in maniera molto più piacevole. Fui dunque costretta per richiamare gli uni e allontanare gli altri a fare qualche pazzia: nel rovinare la mia reputazione ero stata costretta a mettere l’impegno che contavo di porre nel conservarla. Come potete immaginare, ci riuscii facilmente. […] Appena raggiunto lo scopo prefisso, tornai sui miei passi e feci l’onore di confessare i miei errori ad alcune di quelle dame che, non potendo pretendere di piacere, si adoperano a esaltare la virtù e i buoni costumi. Fu una trovata che mi fruttò più di quanto avessi sperato.

Quelle, riconoscenti, diventarono le mie apologiste e il loro cieco zelo per quella conversione che ritenevano opera loro arrivò al punto che appena qualcuno si permetteva di fare insinuazioni sul mio conto tutta la schiera delle bigotte gridava allo scandalo e all’offesa. Mi guadagnai con quel piccolo espediente anche l’approvazione delle dame ricercate […] Cominciai allora a sfruttare sulla scena del Bel Mondo quelle doti che avevo acquisito. La mia prima preoccupazione fu quella di crearmi la fama di irraggiungibile. Per riuscirci ebbi l’aria di accettare gli omaggi soltanto di uomini che non mi piacevano. Naturalmente li utilizzai con profitto in modo che mi procurassero tutti gli onori d’una resistenza a oltranza, mentre mi davo senza paura all’Amante prediletto. Ma a questi una mia finta timidezza ha sempre impedito di accompagnarmi nel Bel Mondo; gli sguardi di tutti così erano sempre fissi sull’Amante sfortunato. […]

Da 20 settembre 17…

Da C. de Laclos, Le relazioni pericolose, traduzione di Lucio Chiavarelli,Tascabili economici Newton, Roma, 1993. 

Analisi del testo

Le relazioni pericolose è un romanzo a più voci: ciascun personaggio si esprime mediante le lettere che scrive ai vari destinatari. Ne deriva una prospettiva multifocale che permette al lettore di immedesimarsi nei pensieri e nei sentimenti di ciascun personaggio.

Nei passi tratti dalla lunga lettera della Marchesa de Merteuil al Visconte de Valmont, ella descrive la propria “gloriosa” carriera di libertina fin da quando, giovane sedicenne desiderosa di conoscere i meccanismi reali del mondo in cui viveva, consapevole di essere destinata ad un futuro di sottomissione agli uomini, si esercitava nell’arte della finzione e della dissimulazione.

La Marchesa descrive dapprima la sua vita prima di sposarsi, poi quella durante il matrimonio, infine quella dopo la morte del marito. Persino la prima notte di nozze è per lei un’occasione d’esperienza, per proseguire nelle sue scoperte “scientifiche” sulla natura umana, con lo scopo di dominare e di non essere dominata. Morto il marito, protegge con grande fermezza la propria libertà e crea abilmente attorno a sé un alone di rispettabilità che nasconde una vita consacrata al piacere.

Laboratorio – Analisi del testo.

  1. La lettera della Marchesa evidenzia il “percorso di apprendimento” svolto allo scopo di dominare gli uomini: che cosa sostiene, all’inizio del brano, delle differenze tra uomini e donne? Quali obiettivi afferma di essere personalmente riuscita a raggiungere?
  2. Nelle sequenze successive la Marchesa descrive i mezzi ed il modo con cui è riuscita a conquistare libertà e rispettabilità. Sintetizzali con parole tue.
  3. Considera il personaggio della Marchesa de Marteuil alla luce della lettera da lei scritta al Visconte di Valmont. Descrivine le caratteristiche facendo riferimento alla sua vita prima del matrimonio, durante il matrimonio e dopo la morte del marito. Spiega le motivazioni del suo comportamento.
  4. Dopo aver visto il film Le relazioni pericolose, svolgi un confronto con il romanzo di Laclos.

 


[1]                Illibata: pura, vergine.

[2]                Pinzochera: bigotta, bacchettona

merteuil

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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