Svevo, La moglie Augusta

moglie

Italo Svevo, La moglie Augusta. 

Capitolo VI: La moglie e l’amante (La coscienza di Zeno).

…Augusta ch’era la salute personificata.

Chi è sano e chi malato? La moglie di Zeno, Augusta, è “sana” ma egli ritiene che quella sua salute abbia bisogno d’essere curata. Salute è un rapporto leggero con la vita, con la realtà, un rapporto fatto di inconsapevolezza e di accettazione; malattia è un rapporto fatto di mille dubbi ed incertezze, di estraneità. Il matrimonio si rivela per Zeno una piacevole sorpresa, un promettente avvio ad un futuro di salute e felicità. Augusta si rivela un’ottima, amorosa moglie e Zeno la ricambia con affetto e riconoscenza. Ella è per lui un esempio di “salute personificata”, vive immersa nel presente, fiduciosa nei valori e nelle autorità della società borghese. Le sue abitudini ripetitive sono per lei fonte di stabilità e di assenza di dubbi. Paradossalmente una parte delle sue certezze è riposta in Zeno, il quale è tutt’altro che affidabile e sicuro, tutt’altro che “sano”.

 

Nella mia vita ci furono varii periodi in cui credetti di essere avviato alla salute e alla felicità. Mai però tale fede fu tanto forte come nel tempo in cui durò il mio viaggio di nozze eppoi qualche settimana dopo il nostro ritorno a casa. Cominciò con una scoperta che mi stupì: io amavo Augusta com’essa amava me. Dapprima diffidente, godevo intanto di una giornata e m’aspettavo che la seguente fosse tutt’altra cosa. Ma una seguiva e somigliava all’altra, luminosa, tutta gentilezza di Augusta ed anche – ciò ch’era la sorpresa – mia. Ogni mattina ritrovavo in lei lo stesso commosso affetto e in me la stessa riconoscenza che, se non era amore, vi somigliava molto. Chi avrebbe potuto prevederlo quando avevo zoppicato da Ada ad Alberta per arrivare ad Augusta?

Scoprivo di essere stato non un bestione cieco diretto da altri, ma un uomo abilissimo. E vedendomi stupito, Augusta mi diceva:  – Ma perché ti sorprendi? Non sapevi che il matrimonio è fatto così? Lo sapevo pur io che sono tanto più ignorante di te! Non so più se dopo o prima dell’affetto, nel mio animo si formò una  speranza, la grande speranza di poter finire col somigliare ad Augusta ch’era la salute personificata. Durante il fidanzamento io non avevo neppur intravvista quella salute, perché tutto immerso a studiare me in primo luogo eppoi Ada e Guido. La lampada a petrolio in quel salotto non era mai arrivata ad illuminare gli scarsi capelli di Augusta. Altro che il suo rossore! Quando questo sparve con la semplicità con cui i colori dell’aurora spariscono alla luce diretta del sole, Augusta batté sicura la via per cui erano passate le sue sorelle su questa terra, quelle sorelle che possono trovare tutto nella legge e nell’ordine o che altrimenti a tutto rinunziano.

Per quanto la sapessi mal fondata perché basata su di me, io amavo, io adoravo quella sicurezza. Di fronte ad essa io dovevo comportarmi almeno con la modestia che usavo quando si trattava di spiritismo. Questo poteva essere e poteva perciò esistere anche la fede nella vita. Però mi sbalordiva; da ogni sua parola, da ogni suo atto risultava che in fondo essa credeva la vita eterna. Non che la dicessi tale: si sorprese anzi che una volta io, cui gli errori ripugnavano prima che non avessi amati i suoi, avessi sentito il bisogno di ricordargliene la brevità. Macché! Essa sapeva che tutti dovevano morire, ma ciò non toglieva che oramai ch’eravamo sposati, si sarebbe rimasti insieme, insieme, insieme. Essa dunque ignorava che quando a questo mondo ci si univa, ciò avveniva per un periodo tanto breve, breve, breve, che non s’intendeva come si fosse arrivati a darsi del tu dopo di non essersi conosciuti per un tempo infinito e pronti a non rivedersi mai più per un altro infinito tempo. Compresi finalmente che cosa fosse la perfetta salute umana quando indovinai che il presente per lei era una verità tangibile in cui si poteva segregarsi e starci caldi. Cercai di esservi ammesso e tentai di soggiornarvi risoluto di non deridere me e lei, perché questo conato non potevaessere altro che la mia malattia ed io dovevo almeno guardarmi dall’infettare chi a me s’era confidato. Anche perciò, nello sforzo di proteggere lei, seppi per qualche tempo movermi come un uomo sano.

Essa sapeva tutte le cose che fanno disperare, ma in mano sua queste cose cambiavano di natura. Se anche la terra girava non occorreva mica avere il mal di mare! Tutt’altro! La terra girava, ma tutte le altre cose restavano al loro posto. E queste cose immobili avevano un’importanza enorme: l’anello di matrimonio, tutte le gemme e i vestiti, il verde, il nero, quello da passeggio che andava in armadio quando si arrivava a casa e quello di sera che in nessun caso si avrebbe potuto indossare di giorno, né quando io non m’adattavo di mettermi in marsina. E le ore dei pasti erano tenute rigidamente e anche quelle del sonno. Esistevano, quelle ore, e si trovavano sempre al loro posto. Di domenica essa andava a Messa ed io ve l’accompagnai talvolta per vedere come sopportasse l’immagine del dolore e della morte. Per lei non c’era, e quella visita le infondeva serenità per tutta la settimana. Vi andava anche in certi giorni festivi ch’essa sapeva a mente. Niente di più, mentre se io fossi stato religioso mi sarei garantita la beatitudine stando in chiesa tutto il giorno.

C’erano un mondo di autorità anche quaggiù che la rassicuravano. Intanto quella austriaca o italiana che provvedeva alla sicurezza sulle vie e nelle case ed io feci sempre del mio meglio per associarmi anche a quel suo rispetto. Poi v’erano i medici, quelli che avevano fatto tutti gli studii regolari per salvarci quando – Dio non voglia – ci avesse a toccare qualche malattia. Io ne usavo ogni giorno di quell’autorità: lei, invece, mai. Ma perciò io sapevo il mio atroce destino quando la malattia mortale m’avesse raggiunto, mentre lei credeva che anche allora, appoggiata solidamente lassù e quaggiù, per lei vi sarebbe stata la salvezza. Io sto analizzando la sua salute, ma non ci riesco perché m’accorgo che, analizzandola, la converto in malattia. E, scrivendone, comincio a dubitare se quella salute non avesse avuto bisogno di cura o d’istruzione per guarire.

Ma vivendole accanto per tanti anni, mai ebbi tale dubbio.

svevo

Analisi del testo.

Tenera, devota e ricca di incrollabili certezze Augusta rappresenta per Zeno la “salute personificata”. Il rapporto affettivo che lega Zeno alla moglie non è di amore vero. È dato dalla consapevolezza che Augusta, tutto sommato, si è rivelata la donna giusta per lui, anche se lei è stata una scelta di ripiego, dopo il rifiuto delle sue sorelle, e in particolare di Ada di cui Zeno era, o si riteneva, innamorato. D’altra parte la sicurezza e serenità di Augusta sono riposte in Zeno che, paradossalmente, non è affatto sicuro. Egli è un inetto, convinto di essere malato. Il paradosso è che Augusta ripone la sua sicurezza su un uomo che non lo è per nulla, che è pieno di dubbi e di incertezze. Augusta è una donna “semplice”, che trae sicurezza dalle autorità della terra (polizia, medici, ecc.) e del cielo (Dio, la religione), oltre che dalle piccole cose quotidiane della vita: le ore scandite dalla regolarità degli eventi, gli oggetti, i riti di tutti i giorni. Zeno, dopo vani tentativi di darsi la salute, prendendo esempio dalla moglie. Egli tuttavia in fondo considera la sicurezza di Augusta come una malattia, perché non ne vede, in effetti, la fondatezza. Forse anche quella pretesa “salute” ha bisogno di essere curata.

Esercizi di analisi del testo.

  1. Sintetizza il contenuto del brano in un massimo di dieci righe. Individua le sequenze in cui è scomponibile il brano.
  2. Che tipo di amore è quello che lo unisce alla donna.
  3. Perché la sicurezza di Augusta nei suoi confronti è mal riposta?
  4. Quali sono le attività “sane” da cui Augusta trae sicurezza nella vita?
  5. Ti sembra che Zeno condivida questa fiducia? (Analizza l’ultimo periodo del testo e commenta la riflessione di Zeno).
  6. Rifletti sul concetto salute/malattia in Svevo.

Produzione.

  1. Illustra gli elementi di frattura tra il romanzo di Svevo e quello ottocentesco facendo riferimento al mutato contesto culturale. Esamina con attenzione le tecniche narrative utilizzate da Svevo nella Coscienza di Zeno e illustra le principali differenze con il romanzo realista e naturalista dell’Ottocento; rifletti, inoltre, sul rapporto fra le scelte narrative e le tematiche della “crisi” che caratterizzano il romanzo del primo Novecento.

augusta

 

/ 5
Grazie per aver votato!

Print Friendly, PDF & Email

Copyright © 2012 giorgiobaruzzi. All Rights Reserved.