Io sono il fu Mattia Pascal

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Luigi Pirandello, Io sono il fu Mattia Pascal

– Ma voi, insomma, si può sapere chi siete?

 

Ma che! Nessuno mi riconosceva, perché nessuno pensava più a me. Non destavo neppure curiosità, la minima sorpresa… E io che m’ero immaginato uno scoppio, uno scompiglio, appena mi fossi mostrato per le vie! Nel disinganno profondo, provai un avvilimento, un dispetto, un’amarezza che non saprei ridire; e il dispetto e l’avvilimento mi trattenevano dallo stuzzicar l’attenzione di coloro che io, dal canto mio, riconoscevo bene: sfido! dopo due anni… Ah, che vuol dir morire! Nessuno, nessuno si ricordava più di me, come se non fossi mai esistito… Due volte percorsi da un capo all’altro il paese, senza che nessuno mi fermasse. Al colmo dell’irritazione, pensai di ritornar da Pomino, per dichiarargli che i patti non mi convenivano e vendicarmi sopra lui dell’affronto che mi pareva tutto il paese mi facesse non riconoscendomi più. Ma né Romilda con le buone mi avrebbe seguito, né io per il momento avrei saputo dove condurla. Dovevo almeno prima cercarmi una casa. Pensai d’andare al Municipio, all’ufficio dello stato civile, per farmi subito cancellare dal registro dei morti; ma, via facendo, mutai pensiero e mi ridussi invece a questa biblioteca di Santa Maria Liberale, dove trovai al mio posto il reverendo amico don Eligio Pellegrinotto, il quale non mi riconobbe neanche lui, lì per lì. Don Eligio veramente sostiene che mi riconobbe subito e che soltanto aspettò ch’io pronunziassi il mio nome per buttarmi le braccia al collo, parendogli impossibile che fossi io, e non potendo abbracciar subito uno che gli pareva Mattia Pascal. Sarà pure così! Le prime feste me le ebbi da lui, calorosissime; poi egli volle per forza ricondurmi seco in paese per cancellarmi dall’animo la cattiva impressione che la dimenticanza dei miei concittadini mi aveva fatto.

Ma io ora, per ripicco, non voglio descrivere quel che seguì alla farmacia del Brìsigo prima, poi al Caffè dell’Unione, quando don Eligio, ancor tutto esultante, mi presentò redivivo. Si sparse in un baleno la notizia, e tutti accorsero a vedermi e a tempestarmi di domande. Volevano sapere da me chi fosse allora colui che s’era annegato alla Stìa, come se non mi avessero riconosciuto loro: tutti, a uno a uno. E dunque ero io, proprio io: donde tornavo? dall’altro mondo! che avevo fatto? il morto! Presi il partito di non rimuovermi da queste due riposte, e lasciar tutti stizziti nell’orgasmo della curiosità, che durò parecchi e parecchi giorni. Né più fortunato degli altri fu l’amico Lodoletta che venne a “intervistarmi” per il Foglietto. Invano, per commuovermi, per tirarmi a parlare mi portò una copia del suo giornale di due anni avanti, con la mia necrologia. Gli dissi che la sapevo a memoria, perché all’Inferno il Foglietto era molto diffuso.

– Eh, altro! Grazie caro! Anche della lapide… Andrò a vederla, sai?

Rinunziò a trascrivere il suo nuovo pezzo forte della domenica seguente che recava a grosse lettere il titolo: MATTIA PASCAL È VIVO!

Tra i pochi che non vollero farsi vedere, oltre ai miei creditori, fu Batta Malagna, che pure – mi dissero – aveva due anni avanti mostrato una gran pena per il mio barbaro suicidio. Ci credo. Tanta pena allora, sapendomi sparito per sempre, quanto dispiacere adesso, sapendomi ritornato alla vita. Vedo il perché di quella e di questo. E Oliva? L’ho incontrata per via, qualche domenica, all’uscita della messa, col suo bambino di cinque anni per mano, florido e bello come lei: – mio figlio! Ella mi ha guardato con occhi affettuosi e ridenti, che m’han detto in un baleno tante cose…

Basta. Io ora vivo in pace, insieme con la mia vecchia zia Scolastica, che mi ha voluto offrir ricetto in casa sua. La mia bislacca avventura m’ha rialzato d’un tratto nella stima di lei. Dormo nello stesso letto in cui morì la povera mamma mia, e passo gran parte del giorno qua, in biblioteca, in compagnia di don Eligio, che è ancora ben lontano dal dare assetto e ordine ai vecchi libri polverosi.

Ho messo circa sei mesi a scrivere questa mia strana storia, ajutato da lui. Di quanto è scritto qui egli serberà il segreto, come se l’avesse saputo sotto il sigillo della confessione. Abbiamo discusso a lungo insieme su i casi miei, e spesso io gli ho dichiarato di non saper vedere che frutto se ne possa cavare.

– Intanto, questo, – egli mi dice: – che fuori della legge e fuori di quelle particolarità, liete o tristi che sieno, per cui noi siamo noi, caro signor Pascal, non è possibile vivere.

Ma io gli faccio osservare che non sono affatto rientrato né nella legge, né nelle mie particolarità. Mia moglie è moglie di Pomino, e io non saprei proprio dire ch’io mi sia.

Nel cimitero di Miragno, su la fossa di quel povero ignoto che s’uccise

alla Stìa, c’è ancora la lapide dettata da Lodoletta:

COLPITO DA AVVERSI FATI

MATTIA PASCAL

BIBLIOTECARIO

CVOR GENEROSO ANIMA APERTA

QVI VOLONTARIO

RIPOSA

LA PIETÀ DEI CONCITTADINI

QVESTA LAPIDE POSE

Io vi ho portato la corona di fiori promessa e ogni tanto mi reco a vedermi morto e sepolto là. Qualche curioso mi segue da lontano; poi, al ritorno, s’accompagna con me, sorride, e – considerando la mia condizione – mi domanda:

– Ma voi, insomma, si può sapere chi siete?

Mi stringo nelle spalle, socchiudo gli occhi e gli rispondo:

– Eh, caro mio… Io sono il fu Mattia Pascal.

Luigi Pirandello, Il fu Mattia Pascal 

 

Analisi del testo

Senza più curarsi di essere riconosciuto, Mattia fa ritorno al paese natio con ansia e rabbia crescenti, e si dirige al palazzo dove abitano Pomino e Romilda. Al suo apparire tutti sono esterrefatti: Pomino cade a terra, la vedova Pescatore emette un grido acutissimo, Romilda sviene. Ma i propositi di vendetta di Mattia si placano, in seguito alla scoperta che la coppia ha una figlia. Mattia li tranquillizza, dicendo di non voler certo tornare ad essere genero della Pescatore. Pomino ricostruisce le vicende che hanno condotto al matrimonio, mentre Mattia racconta qualcosa di quel che gli è accaduto, poi all’alba egli si congeda da loro per sempre.

Così, Mattia si rassegna a vivere con la zia Scolastica, trascorrendo gran parte del tempo in biblioteca in compagnia di don Eligio Pellegrinotto, con l’aiuto del quale scrive la sua incredibile vicenda dietro la promessa che il curato ne manterrà il segreto, come in confessione. Il manoscritto, poi, lo lascerà alla biblioteca, con l’obbligo che nessuno lo apra se non dopo cinquant’anni dalla sua “terza, ultima e definitiva morte”. Nel cimitero di Miragno il protagonista, che ha portato una corona di fiori sulla tomba che porta la lapide a lui intestata, incontra talvolta qualche curioso che lo interroga sulla sua identità, e lui risponde: <<Eh, caro mio… Io sono il fu Mattia Pascal>>.

Esercizi di analisi del testo

  1. Mattia Pascal intravede, a un certo punto della sua vita, l’illusione della libertà, di cui in seguito, scopre gli inevitabili inganni; infine, prova un senso di amara delusione e sconfitta. Riassumi l’intreccio del romanzo secondo le tre principali sequenze cronologiche:
  • Mattia Pascal – Adriano Meis – il fu Mattia Pascal
  1. Come interpreta Don Eligio la storia del fu Mattia Pascal? Come invece il protagonista?
  2. Il brano è tratto dalla conclusione del romanzo. Quali temi emergono dalla lettura del testo? Qual è il messaggio pirandelliano?
  3. Alcune affermazioni del protagonista e molte sue riflessioni manifestano il suo punto di vista e i suoi convincimenti e valori. Esamina il personaggio di Mattia Pascal, sottolineandone il carattere e la psicologia.
  4. La figura di Mattia Pascal richiama alla mente quella dell’inetto, protagonista di molte opere del primo Novecento. Esamina la tipologia dell’inetto in altri autori contemporanei di Pirandello.

 

 

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