Villon, Il testamento (Le testament o Le grand testament)

testamento

François Villon, Il testamento (Le testament o Le grand testament)

[…]

BALLATA

Se amo e servo la bella di buon cuore,

Me ne dovete tenere per vile o per sciocco?

Ella ha in sé gioie per tutti i voleri;

Per amor suo io cingo scudo e spada.

Se viene gente, corro a prendere un bicchiere,

Smammo col vino senza far rumore;

Offro acqua, formaggio, pane e frutta.

Se pagano bene saluto: “#Bene stat#,

Tornate qui, quando sarete in caldo

Qui nel bordello dove noi viviamo”.

Certe volte c’è invece un gran casino,

Quando Margot viene a letto senza un soldo;

Non la posso vedere, a morte la odia il mio cuore.

Le strappo il vestito, cintura e sottana,

E le giuro che ci pagherò lo scotto.

Se li stringe sui fianchi, è l’Anticristo,

Grida e giura per la morte di Gesù

Che non l’avrò. Così prendo un tizzone

E le faccio uno sgarro sopra il naso,

Qui nel bordello dove noi viviamo.

Poi si fa pace e mi fa una scorreggia,

Più puzzolente di una mignatta velenosa.

Mi molla ridendo un pugno sulla zucca,

Va’, va’, mi dice, e mi prende per la coscia;

Morti ubriachi dormiamo come un ciocco.

E al risveglio, quando il ventre le borbotta,

Mi monta sopra, per non sciuparsi il frutto,

Gemo sotto di lei, che come un asse mi fa piatto;

A forza di godere mi fa a pezzi,

Qui nel bordello dove noi viviamo.

Vento, grandine, gelo, il pane ce l’ho in caldo.

Sono un lenone, la troia mi segue.

Chi è meglio? Stiamo bene insieme,

L’uno vale l’altro, tale il gatto tale il topo.

La sozzura ci piace, la sozzura ci sta intorno,

Sfuggiamo onore e onore ci sfugge,

Qui nel bordello dove noi viviamo.

[…]

CLXXXVI

Per quanto concerne l’illuminazione,

L’affido a Guillaume du Ru;

Per portare i lembi del sudario,

Mi rimetto ai miei esecutori.

Molto più del solito mi dolgono

Barba, capelli, peli, sopraccigli;

Il male mi sta appresso, è tempo ormai

Ch’io implori a tutti misericordia.

[BALLATA]

Ai Certosini e ai Celestini,

Ai Mendicanti e alle Devote,

Ai perdigiorno e ai damerini,

Ai servitori e alle mignotte

Che portano giacchette e gonne strette,

Ai presuntuosi languidi d’amore

Che vanno fieri dei loro stivaletti,

A tutti imploro di aver misericordia.

Alle fanciulle che mostrano le tette

Per avere clienti in quantità,

A ladri, a mestatori,

A saltimbanchi che mostrano bertucce,

A folli d’ambo i sessi, a sciocchi e sciocche,

Che se ne vanno zufolando sei a sei

A mocciosi e mocciosette,

A tutti imploro di aver misericordia.

Tranne ai cani mastini traditori

Che mi han fatto rosicchiare dure croste,

Faticare sera e mattina di mascelle,

Che ora non temo più di quattro stronzi.

Farei per loro peti e grossi rutti,

Non posso, perché son seduto.

Ma in fondo, per evitare ogni contesa,

A tutti imploro di aver misericordia.

Che gli si spezzino tutte le costole

Con magli duri, forti e massicci,

Con verghe ben piombate e palle simili!

A tutti imploro di aver misericordia

François Villon, Il testamento

Ne Il grande testamento, lungo poema autobiografico di 2023 versi suddivisi in 186 stanze alternate a 3 rondeau e 16 ballate, che ha iniziato a scrivere nel 1462, traspare l’angoscia per la morte che Villon sente prossima, dopo la sentenza di condanna. Il poeta accosta riflessioni esistenziali, invettive e fervori religiosi.

Villon comincia con l’amaro ricordo della sua dura prigionia a Meung-sur-Loire, l’invettiva contro il vescovo di Meung, Thibauld d’Auxigny, la sua gratitudine verso Luigi XI dal quale fu graziato. Poiché si sente debole (ma più di beni che di salute), egli si appresta a fare testamento: il tempo della giovinezza è passato velocemente, senza lasciargli nulla.

I compagni di un tempo hanno seguito strade diverse: alcuni sono morti, altri sono mendichi, altri gran signori. Tutti, però, ricchi e poveri, saggi e folli, belli e brutti, la Morte li afferra senza eccezione, tutti muoiono con dolore. Il poeta fa un bilancio della propria vita, poi prosegue con una serie di ballate in cui emergono i temi dell’ubi sunt (dove sono andati a finire?) e della caducità della vita. L’opera non ha una struttura razionale: a parti riflessive si accostano altre di tono carnevalesco e goliardico.

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