Giacomo Leopardi – La vita.

Leopardi

Giacomo Leopardi – La vita

 

1798-1815: Nacque a Recanati, nelle Marche (Stato Pontificio) dal conte Monaldo e dalla marchesa Adelaide Antici. Il padre era di idee reazionarie, la madre, fredda e dogmaticamente religiosa. Giacomo compì i propri studi nella biblioteca paterna, dapprima sotto la guida del padre. Imparò il latino, il greco e l’ebraico. Dal 1809 fu autodidatta e si formò una cultura vastissima, nel corso di sette anni di studio matto e disperatissimo che gli rovinarono la salute: gobba sulla schiena e sul petto, salute cagionevole, vista ridotta quasi a zero. Scrisse una Storia dell’astronomia e un Saggio sopra gli errori popolari degli antichi.

1816: Maturò il cosiddetto passaggio dall’erudizione al bello, che implicava un più originale avvicinamento alla poesia. Oltre ai classici italiani lesse le opere di Alfieri, Monti, Foscolo, Goethe, Chateaubriand e M.me de Stael, che lo introdussero alla comprensione delle idee romantiche. Leopardi intervenne nella polemica fra classicisti e romantici con una Lettera ai compilatori della Biblioteca italiana (1816), non pubblicata, e con il Discorso di un italiano sulla poesia romantica (1818).

1817: Nella “prigione recanatese” il poeta trascorse la giovinezza in solitudine. Si innamorò senza speranza di una cugina ventiseienne, la contessa Geltrude Cassi Lazzari, che gli ispirò il Diario del primo amore e l’elegia di stampo petrarchesco Il primo amore. Iniziò l’amicizia con Pietro Giordani e avviò, inoltre, la stesura dello Zibaldone, sul quale per quindici anni annotò riflessioni e pensieri.

1818-1822: Nel 1818 Giordani si recò presso di lui, a Recanati. La visita dell’amico, esponente di un neoclassicismo progressista che combatteva risolutamente la Restaurazione, provocò in lui l’allontanamento dalle idee reazionarie del padre e l’esigenza di un’attività letteraria come fonte di gloria, impegnata nel riscatto dell’Italia. Scrisse così due canzoni civili: All’Italia e Sopra il monumento di Dante.

1819: Un grave attacco di oftalmia lo privò del conforto della lettura, precipitandolo in un’angosciosa solitudine che lo spinse a un fallito tentativo di fuga da Recanati. Iniziò la cosiddetta conversione dal bello al vero, dalle lettere alla filosofia: Leopardi si convinse che ai moderni non fosse più concessa una poesia di immaginazione come quella degli antichi ma solo una poesia sentimentale e filosofica. Oltre ad alcune altre canzoni civili, scrisse i primi idilli (L’infinito, Alla luna, La sera del dì di festa, La vita solitaria, Lo spavento notturno, Il sogno), che esprimono sentimenti e stati d’animo interiori del poeta.

1822-1825: Alla fine del 1822 il padre gli concesse di allontanarsi da Recanati. Per circa sei mesi Leopardi soggiornò a Roma presso lo zio materno, Carlo Antici, ma l’esperienza si rivelò deludente. La società romana lo disgustò per la sua frivolezza, per la falsa erudizione e la pedanteria degli intellettuali. Strinse amicizia con alcuni studiosi stranieri, come G. B. Niebhur, che lo considerò il maggior filologo italiano. Rientrato nel 1823 a Recanati, Leopardi infittì le riflessioni sullo Zibaldone e compose (nel 1824) il nucleo più consistente delle Operette morali, interrompendo per lungo tempo la produzione poetica. La natura ora gli apparve la principale responsabile dell’infelicità umana (passaggio dal pessimismo storico al pessimismo cosmico).

1825-1827: Liberatosi della tutela familiare, Leopardi cercò di abbandonare definitivamente Recanati, con l’intento di costruirsi una vita autonoma. Soggiornò a Milano, nel 1826, lavorando per l’editore Stella, che gli offrì di dirigere un’edizione delle opere di classici greci e latini, di curare il commento del Canzoniere di Petrarca e due antologie (Crestomazie) della prosa e della poesia italiana. Si trasferì a Bologna e nel 1827 a Firenze dove conobbe Pietro Viesseux e gli intellettuali liberali che davano vita alla rivista Antologia. Nel giugno del 1827 l’editore Stella pubblicò le Operette morali.

1828-1830: Per alcuni mesi visse a Pisa, dove scrisse Il risorgimento e A Silvia. Tornò a Recanati, dove rimase per sedici mesi. Era come sepolto vivo, chiuso nella sua stanza, soffocato da una malinconia che era ormai poco men che pazzia. In questa condizione nacquero i cosiddetti “grandi idilli”, tra cui Le ricordanze, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio, Il canto notturno di un pastore errante dell’Asia.

1830-1833: Grazie a un contributo in denaro da parte degli amici del gruppo Viesseaux si trasferì a Firenze, dove conobbe Fanny Targioni Tozzetti di cui si innamorò, e strinse amicizia con Antonio Ranieri. In seguito alla delusione seguita all’amore per Fanny, che gli preferì il giovane e bello Ranieri, scrisse i canti del cosiddetto “ciclo di Aspasia“, (Il pensiero dominante, Amore e morte, Consalvo, A se stesso).

1833-1837: Nel 1833 si recò a Napoli con Ranieri. Negli ultimi anni, sempre più malato e sofferente, scrisse: la satira politico-culturale dei Paralipomeni della Batracomiomachia, i Pensieri e alcuni canti tra cui La palinodia al Marchese Gino Capponi, due canti sepolcrali, Il tramonto della luna e La ginestra. Quest’ultima costituisce la sintesi della sua riflessione, in cui il radicale pessimismo si coniuga con l’appello a tutti gli uomini a unirsi contro il comune nemico, la natura. Da Napoli, pochi giorni prima di morire (il 14 giugno 1837), scrisse al padre Monaldo:

“I miei patimenti fisici giornalieri e incurabili sono arrivati con l’età ad un grado tale che non possono più crescere: spero che superata finalmente la piccola resistenza che oppone loro il moribondo mio corpo, mi condurranno all’eterno riposo che invoco caldamente ogni giorno non per eroismo, ma per il rigore delle pene che provo”.

 

 

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