Fëdor Dostoevskij, Delitto e castigo

delitto e castigo

Fëdor Dostoevskij, Delitto e castigo

 

Raskol’nikov, il protagonista del romanzo, è uno studente universitario squattrinato che vive in un misero appartamento dei bassifondi di Pietroburgo. Egli si convince che per i grandi uomini non valga la comune morale, e che essi per conseguire uno scopo superiore abbiano il diritto-dovere di non fermarsi di fronte all’omicidio. Modello esemplare è per lui Napoleone, che non ha esitato a versare sangue pur di delitto e castigoraggiungere i suoi superiori obiettivi. Raskol’nikov decide così di uccidere una vecchia usuraia per derubarla, spinto dalla miseria ma soprattutto dalla convinzione che la sua eliminazione non sia un atto riprovevole ma meritorio. Pur tra molte incertezze, il giovane prepara il delitto. Un giorno si reca a casa della donna con la scusa di un pegno e le fracassa il cranio con un’accetta. Poco dopo, mentre sta frugando la casa alla ricerca di oggetti di valore, che non trova, sopraggiunge sulla scena del delitto la sorella dell’usuraia e Raskol’nikov è “costretto” ad uccidere anche lei. Scampato fortunosamente il pericolo di essere scoperto, il giovane fa ritorno a casa, ma è presto vittima di un tremendo travaglio psicologico. Raskol’nikov addirittura si ammala di “febbre cerebrale”, poi è preda di rimorsi e pentimenti che lo precipitano in una cupa angoscia. La paura di essere scoperto logora sempre più la psiche del giovane, per il quale il peso del senso di colpa diviene sempre più insostenibile. L’inaspettato incontro con Sonja una giovane costretta a prostituirsi per mantenere la madre tisica e i fratelli, un’anima pura animata da una fede sincera e profonda, apre a Raskol’nikov la speranza di potersi riscattare. L’ incontro con la giovane lo convincerà a costituirsi e ad accettare la pena. Ma il vero riscatto avverrà grazie all’amore di Sonja che lo seguirà anche in Siberia.

«È il rendiconto psicologico di un delitto. Un giovane, che è stato espulso dall’Università e vive in condizioni di estrema indigenza, suggestionato, per leggerezza e instabilità di concezioni, da alcune strane idee non concrete che sono nell’aria, si è improvvisamente risolto a uscire dalla brutta situazione. Ha deciso di uccidere una vecchia che presta denaro a usura…»    (F. Dostoevskij).

«Io, quella vecchia maledetta, l’ammazzerei e la svaligerei, e senza nessuno scrupolo di coscienza, te l’assicuro […]. Se l’ammazzassimo e ci prendessimo e suoi soldi, per dedicarci poi con questi mezzi al servizio di tutta l’umanità e della causa comune, non credi che un solo piccolo delitto sarebbe cancellato da migliaia di opere buone? Per una vita, migliaia di vite salvate dallo sfacelo e dalla depravazione. Una morte sola, e cento vite in cambio: ma questa è aritmetica! E poi, che cosa conta sulla bilancia generale la vita di quella vecchiaccia tisica, stupida e cattiva? Non più della vita di un pidocchio, di uno scarafaggio; anzi, vale meno, perché quella vecchia è dannosa. Distrugge la vita altrui […]»    (F. Dostoevskij).

Fëdor Dostoevskij

Nato a Mosca il 30 ottobre 1821, secondo di sette figli, sua madre morì quand’egli aveva appena sedici anni e due anni dopo perse anche delitto e castigoil padre medico, alcolizzato, morto in circostanze misteriose. Nel corso della sua vita fu costantemente assillato da problemi economici. Studiò all’Istituto militare di ingegneria di Pietroburgo e fu per breve tempo impiegato statale, ma presto si dedicò all’attività letteraria, pubblicando nel 1846 Povera gente, accolto favorevolmente dalla critica, e successivamente Il sosia e Le notti bianche. Nel 1849 fu condannato a morte perché membro di un gruppo d’ispirazione socialista. La  pena, quando già si trovava davanti al plotone d’esecuzione, fu commutata in quattro anni di lavori forzati in Siberia, durante i quali, fu soggetto alle prime crisi di epilessia. Tornato a Pietroburgo riprese l’attività di scrittore, assillato costantemente da problemi economici, aggravati dal vizio incontrollabile del gioco, e colpito da sventure famigliari come la morte della moglie e della figlia. Dalla sua esperienza di deportato nacque il romanzo Memorie da una casa di morti (1861-62). Dagli anni Sessanta iniziò la stagione letterariamente più feconda della sua produzione: dopo Memorie dal sottosuolo (1864) apparvero Delitto e castigo (1866), Il giocatore (1867), L’idiota (1868-69), I demoni (1873), L’adolescente (1975), I fratelli Karamazov (1879-80).

Fra i temi ricorrenti delle sue opere: la duplicità dell’animo umano e l’attenzione agli aspetti demoniaci della personalità umana, per cui ogni tendenza o sentimento sono necessariamente legati al loro opposto; l’impossibilità di ricomporre, attraverso un percorso razionale, il proprio dissidio interiore, al quale solo un’improvvisa rivelazione può dare soluzione. Persa la fiducia nel socialismo, Dostoevskij denuncia gli effetti deleteri della moderna civiltà capitalistica europea ed indica nell’autentica fede religiosa, propria del popolo russo, la forza capace di creare una società più giusta.

I suoi romanzi riprendono taluni aspetti della letteratura poliziesca e d’appendice, ma la loro principale novità sta nel fatto che la narrazione non è più oggettiva ma filtrata dalla coscienza dei protagonisti e il narratore non è più onnisciente ma diventa una delle voci del romanzo. Spesso il tempo della narrazione è dilatato, proprio perché esso è il tempo allucinato e sconvolto della coscienza del protagonista.

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