Cormac McCarthy, La strada

La strada

Cormac McCarthy, La strada (The Road)

“Nessuna lista di cose da fare. Ogni giornata sufficiente a se stessa. Ogni ora. Non c’è un dopo. Il dopo è già qui. Tutte le cose piene di grazia e bellezza che ci portiamo nel cuore hanno un’origine comune nel dolore. Nascono dal cordoglio e dalle ceneri. Ecco, sussurrò al bambino addormentato. Io ho te”.

In un mondo devastato da un’indefinita catastrofe un padre e un figlio camminano lungo una strada che li porta verso Sud. La madre ha rinunciato a seguirli in questo tentativo, che a lei è parso privo di senso, e si è uccisa. Forse un’esplosione o una guerra nucleare, forse l’impatto di un asteroide hanno distrutto la terra e solo pochi esseri umani sono sopravvissuti, mentre gli animali sono pressoché tutti scomparsi, così come la vegetazione. Gli uomini sono alla ricerca disperata di cibo, nel tentativo di sopravvivere. Questa loro condizione li induce all’assenza di scrupoli e alcuni gruppi si danno al cannibalismo. In mezzo a una natura devastata, gli uomini sopravvivono senza legge e senza vincoli solidaristici, incapaci di mettere in atto adeguati tentativi di vita in comune. La loro vulnerabilità li ha rigettati nella loro crudeltà ancestrale, esasperando le motivazioni individualistiche e antisociali, in un mondo nel quale dominano la legge del più forte, l’interesse individuale ed egoistico.

Così, le giornate dei due protagonisti sono caratterizzate da una costante lotta per procurarsi il cibo, per ripararsi dalle rigidità del clima, nel continuo terrore di imbattersi in altri loro simili. Sulla strada spingono un malandato carrello del supermercato, che contiene i loro scarsi averi. Il padre porta con sé una pistola, nella quale sono rimaste due sole pallottole. La terra è scossa da terremoti, gli alberi scheletriti crollano di tanto in tanto, ridotti in cenere. Le notti sprofondano nel buio e le giornate sono avvolte da una nebbia grigiastra.

L’uomo a più riprese ricorda la sua compagna, madre del bambino, che non ha retto alla disperazione per la condizione tragica e senza vie d’uscita creata dal disastro, che ha lasciato lui e il figlio per uccidersi. Sono passati circa dieci anni dalla catastrofe. Padre e figlio sono riusciti a sopravvivere, ma difficilmente potranno resistere a un altro inverno. Tutti i loro averi sono su quel carrello, il cibo è poco e devono periodicamente avventurarsi tra le macerie a cercare dei viveri. I due visitano la casa d’infanzia dell’uomo, esplorano un supermarket abbandonato. Si muovono in un paesaggio devastato, infernale, in cui l’unico colore è quello delle fiamme degli incendi che ancora bruciano alberi morti.

In uno degli episodi più drammatici e crudi i due trovano, dentro una casa, rinchiuse in uno scantinato, persone che vengono tenute in vita, come animali da allevamento, da una banda di uomini dediti al cannibalismo e via via smembrate. I due sono costretti a una precipitosa fuga, senza poter aiutare quei poveretti, pena il trasformarsi essi stessi in cibo per i cannibali.

Quando ormai sono sul punto di morire di fame scoprono sotto una botola nascosta nel terreno vicino a una casa una riserva abbondante di cibo in scatola e di acqua, che permette loro di riprendersi. Poi ricomincia il cammino, lungo la strada, finché giungono al mare, quando le condizioni di salute del padre, debilitato dagli stenti e dalle fatiche, si sono fortemente aggravate… Il romanzo lascia aperta, nella conclusione, una tenue luce di speranza.

Nello scenario di devastazione descritto dal romanzo, emerge lo struggente rapporto tra padre e figlio, l’amore fortissimo che li lega. Le poche e asciutte parole che si scambiano sono imbevute di profondo affetto, anche quando i due sembrano faticare a comprendersi o quando esprimono punti di vista diversi. Il loro rapporto, le rassicurazioni che cercano l’uno nell’altro, le storie che il padre racconta al figlio per rincuorarlo, la fiducia che il ragazzino mostra per il padre suscitano grande emozione e attenuano la cupa visione del romanzo. Tra la visione del Padre e quella del Figlio c’è però una sorta di contrapposizione. Spinto dall’amore paterno il Padre cerca in ogni modo possibile di proteggere il Figlio, facendo tutto ciò che la razionalità e la praticità rendono necessario, talvolta anche costringendosi a compiere gesti impietosi, dettati dalla loro crudele condizione. Per questo è pronto ad agire, se necessario, in modo non troppo diverso dai criminali che percorrono la sua stessa strada.

Il Figlio più volte non riesce a condividere le scelte del Padre, quando contrastano con i valori e con i sentimenti di bontà e di umana solidarietà che lui stesso gli ha trasmesso. Quando ciò accade, il suo silenzio diventa più eloquente delle parole e il Padre si sente giudicato, come se fosse la sua stessa anima a farlo. Al Figlio sembra non importare tanto la sopravvivenza in sé quanto il mantenere vivo quel “fuoco” interiore di umanità che dà significato alla sopravvivenza stessa, all’esistenza umana:

“Ce la caveremo, vero, papa?

Sì. Ce la caveremo.

E non ci succederà niente di male.

Esatto.

Perché noi portiamo il fuoco.

Sì. Perché noi portiamo il fuoco.”

Noi non mangeremo mai nessuno, vero?

No. Certo che no.

Neanche se stessimo morendo di fame? […] Comunque non mangeremo le persone.

No. Non le mangeremo.

Per niente al mondo.

No. Per niente al mondo.

Perché noi siamo i buoni.

Sì.

E portiamo il fuoco.

E portiamo il fuoco. Sì.

Ok.

Il fuoco di cui si parla nel romanzo è la luce che anima le persone che lottano per ciò in cui credono anche quando tutto sembra o è perduto, la luce della volontà e della speranza, e rappresenta il legame sociale che sta alla base di ogni civiltà. La madre del bambino ha pensato che questo fuoco fosse definitivamente spento, che fosse inutile tentare di tenerlo acceso e di ravvivarlo, perciò ha scelto il suicidio. McCarthy non giudica esplicitamente la diversità delle scelte compiute, anche se sembra far pendere la bilancia nella direzione della scelta paterna.

Il romanzo, in più punti, contiene evidenti richiami biblici e la figura del Figlio, con la sua spontanea e ingenua compassione e solidarietà per gli esseri umani richiama la figura di Cristo (“Sapeva solo che il bambino era la sua garanzia. Disse: Se non è lui il verbo di Dio allora Dio non ha mai parlato”). Lo stile del romanzo è da un lato scarno ed essenziale, a tratti intercalato da un linguaggio solenne e profetico. L’autore sembra volerci dire che, al di là dell’esistenza o meno di Dio, l’amore, la solidarietà, il prenderci cura delle persone danno di per sé significato alla vita, anche quando sembra priva di speranze e di prospettive. L’odio e l’immoralità hanno invece come prezzo il vuoto e la solitudine.

La strada (The Road) è il decimo romanzo di Cormac McCarthy, pubblicato nel 2006, che gli ha valso il Premio Pulitzer per la Letteratura. Da esso è stato tratto un film, The Road (2009).

Ci ammazzeranno, papà?

Tornati in casa, l’uomo cominciò a sferrare colpi al legno tutto intorno alla cerniera della botola finché non riuscì a infilare la lama sotto la staffa della serratura e a forzarla. Era imbullonata al legno e il pezzo venne via tutto insieme, compreso il lucchetto. Battendoci sopra col piede, l’uomo fece scivolare la lama della vanga nell’interstizio fra le assi, si fermò e tirò fuori l’accendino. Poi salì sul codolo della vanga e forzò la botola, si chinò e afferrò lo sportello con le mani.

Papà, sussurrò il bambino.

L’uomo si interruppe. Senti, disse. Devi smetterla. Stiamo morendo di fame. Lo capisci? Poi sollevò lo sportello della botola, lo spalancò e lo appoggiò sul pavimento.

Tu aspetta qui, disse.

Vengo con te.

Pensavo che avessi paura.

Infatti ho paura.

Ok. Vienimi dietro e stammi vicino.

Cominciò a scendere gli scalini di legno grezzo. Chinò la testa poi accese l’accendino e protese la fiammella verso il buio come un’offerta. Freddo e umidità. Un puzzo inumano. Il bambino gli si aggrappava al giaccone. Intravedeva una parete di pietra. Un pavimento di argilla. Un vecchio materasso macchiato di scuro. Si chinò, scese un altro gradino e illuminò lo spazio davanti a sé. Rannicchiate contro la parete opposta c’erano delle persone nude, maschi e femmine, che cercavano di nascondersi, riparandosi il viso con le mani. Sul materasso era steso un individuo con le gambe amputate fino ai fianchi e i moncherini anneriti e bruciati. L’odore era micidiale.

Gesù, sussurrò l’uomo.

Uno dopo l’altro i prigionieri si voltarono, battendo le palpebre per quel barlume di luce. Aiuto, mormorarono. La prego, ci aiuti.

Cristo, disse lui. Oh Cristo.

Si voltò e afferrò il bambino. Svelto, disse. Svelto. L’accendino gli era caduto. Non c’era tempo per cercarlo. Spinse il bambino su per le scale. Aiuto, imploravano quelli.

Svelto.

Ai piedi delle scale apparve un volto barbuto. Ti prego, gridò battendo le palpebre. Ti prego.

Svelto. Svelto, per l’amor di Dio.

Spinse il bambino fuori dalla botola facendolo cadere a terra. Usci, afferrò lo sportello, lo richiuse brutalmente e si voltò per raccogliere il bambino, che però si era già rialzato e stava facendo il suo solito balletto del terrore.

Per l’amor di Dio, muoviti, gli sibilò. Ma il bambino stava puntando il dito verso la finestra e quando l’uomo guardò fuori si sentì gelare il sangue. Quattro individui barbuti e due donne stavano attraversando il prato diretti verso la casa. Afferrò la mano del bambino. Cristo, disse. Corri. Corri.

Attraversarono di corsa la casa fino alla porta d’ingresso e si precipitarono giù dalle scale. A metà del viale l’uomo trascinò il bambino nel prato. Si guardò alle spalle. Erano parzialmente nascosti dai resti del ligustro ma sapeva che avevano a disposizione solo qualche minuto, forse neanche quello. In fondo al prato si infilarono in un boschetto di canne morte, sbucarono sulla strada e tagliarono per il bosco dall’altra parte. Strinse più forte il polso del bambino. Corri, disse. Dobbiamo correre. Guardò verso la casa ma non riusciva a vedere nulla. Se quelli fossero scesi lungo il viale li avrebbero visti scappare in mezzo agli alberi. Questo è il momento. Questo è il momento. Si buttò a terra e tirò a sé il bambino. Shh, gli disse. Shh.

Ci ammazzeranno, papà?

Shh.

Rimasero stesi in mezzo alle foglie e alla cenere con il cuore che batteva all’impazzata. Lui stava per cominciare a tossire. Avrebbe voluto mettersi la mano davanti alla bocca, ma una gliela stringeva il bambino, e non l’avrebbe mollata, nell’altra teneva la pistola. Doveva concentrarsi per trattenere la tosse e al tempo stesso cercava di tendere l’orecchio. Ruotò il mento tra le foglie, tentando di vedere qualcosa. Sta’ giù con la testa, sussurrò.

Stanno arrivando?

No

Strisciarono lentamente verso quello che sembrava un avvallamento. L’uomo rimase in ascolto stringendo a sé il bambino. Li sentiva parlare, sulla strada. La voce di una donna. Poi li sentì passare sulle foglie secche. Afferrò la mano del bambino e ci ficcò la pistola. Prendila, sussurrò. Prendila. Il bambino era terrorizzato. Lui lo abbracciò e lo tenne stretto. Era così magro. Non aver paura, gli disse. Se ti trovano lo devi fare. Hai capito? Shh. Non piangere. Mi ascolti? Lo sai come si fa. Te la metti in bocca e la punti in su. Veloce e deciso. Hai capito? Smettila di piangere. Hai capito?

Penso di sì.

No. Hai capito?

Sì.

Di’ sì papà ho capito.

Sì papà ho capito.

Lui abbassò gli occhi e lo guardò. Vide solo terrore. Gli tolse la pistola. No che non hai capito, disse.

Non so cosa fare, papà. Non so cosa fare. Tu dove sarai? Stai tranquillo.

Non so cosa fare.

Shh. Io sono qui. Non ti lascio.

Me lo prometti?

Sì. Te lo prometto. Volevo scappare. Per cercare di distrarli. Ma non ti posso lasciare.

Papà?

Shh. Sta’ giù.

Ho tanta paura.

Shh.

Rimasero a terra, in ascolto. Ce la farai? Quando sarà il momento? Quando sarà il momento non ci sarà tempo. È questo il momento. Bestemmia Dio e muori. E se si inceppa? Non può incepparsi. Ma se si inceppa? Saresti capace di fracassare quel cranio adorato con un sasso? C’è un essere simile, dentro di te? Di cui tu non sai nulla? Ci può essere? Tienilo stretto. Ecco, così. L’anima è un soffio. Abbraccialo. Bacialo. Svelto.

Aspettò. Con la piccola rivoltella nichelata in mano. Gli veniva da tossire. Si concentrò con tutto se stesso per trattenersi. Cercò di ascoltare ma non sentiva nulla. Non ti lascio, sussurrò. Non ti lascerò mai. Capito? Rimase steso sulle foglie, abbracciato al bambino tremante. Con la rivoltella stretta in mano. Per l’intera durata di quel lungo crepuscolo e anche quando fece buio. Notte fredda e senza stelle. Grazie a Dio. Cominciò a credere che avevano qualche chance. Dobbiamo solo aspettare, sussurrò. Un freddo. Cercava di pensare ma la mente non lo seguiva. Era così debole. Aveva parlato di scappare. Non era in grado di scappare. Quando l’oscurità fu assoluta aprì lo zaino e tirò fuori le coperte, le stese sopra il bambino e di lì a poco il bambino si addormentò.

Durante la notte sentì delle urla agghiaccianti che provenivano dalla casa e cercò di tappare le orecchie al bambino e dopo un po’ le urla cessarono. Rimase sdraiato lì in ascolto. Mentre attraversavano il canneto, poco prima di sbucare sulla strada, aveva visto un riparo. Una specie di casetta da bambini. Capì che era dove si appostavano a sorvegliare la strada. Aspettavano stesi a terra e quando vedevano qualcuno facevano suonare la campana dentro la casa per chiamare i compagni. Si assopì e si risvegliò. Cos’è questo rumore? Passi sulle foglie. No. Solo il vento. Niente. Si alzò a sedere e guardò verso la casa ma vide soltanto buio. Svegliò il bambino. Forza, disse. Dobbiamo andare. Il bambino non rispose ma lui capì che era sveglio. Gli tolse le coperte e le assicurò allo zaino. Forza, sussurrò.

Si misero in cammino nel bosco buio. La luna era da qualche parte, sopra la coltre di cenere, e riuscivano appena a intravedere gli alberi. Barcollavano come ubriachi. Se ci trovano ci ammazzano, vero papà?

Shh. Basta parlare.

Vero, papà?

Shh. Sì. Sì, ci ammazzano.                                                                                                                                                                                                        

La strada (The Road), Einaudi, 2007

 

Come l’inizio di un freddo glaucoma

Quando si svegliava in mezzo ai boschi nel buio e nel freddo della notte allungava la mano per toccare il bambino che gli dormiva accanto. Notti più buie del buio e giorni uno più grigio di quello appena passato. Come l’inizio di un freddo glaucoma che offuscava il mondo. La sua mano si alzava e si abbassava a ogni prezioso respiro. Si tolse di dosso il telo di plastica, si tirò su avvolto nei vestiti e nelle coperte puzzolenti e guardò verso est in cerca di luce ma non ce n’era. […]

Con la prima luce grigiastra l’uomo si alzò, lasciò il bambino addormentato e uscì sulla strada, si accovacciò e studiò il territorio a sud. Arido, muto, senza dio. Gli pareva che fosse ottobre ma non ne era sicuro. Erano anni che non possedeva un calendario. Si stavano spostando verso sud. Lì non sarebbero sopravvissuti a un altro inverno.

La strada (The Road), Einaudi, 2007

 

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