Angiolieri, S’i’ fosse foco, arderéi ‘l mondo

Cecco

Cecco Angiolieri, S’i’ fosse foco, arderéi ‘l mondo; (LXXXVI)

De André, S’i fosse foco…

Come in una specie di gioco icastico Cecco immagina impossibili identificazioni in elementi della realtà umana e naturale, scagliandosi con violenza verbale contro il mondo intero. Il sonetto è anche una fine caricatura dello stile cortese e stilnovista.

S’i’ fosse foco, arderéi ‘l mondo;

s’ i’ fosse vento, lo tempesterei;

s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei;

s’i’ fosse Dio, mandereil’en profondo;

 

s’i’ fosse papa, sare’ allor giocondo,

ché tutti cristïani imbrigherei;

s’i’ fosse ’mperator, sa’ che farei?

A tutti mozzarei lo capo a tondo.[1]

 

S’i fosse morte, andarei da mio padre;

s’i’ fosse vita, fuggirei da lui:

similemente farìa da mi’ madre.

 

S’i’ fosse Cecco, com’i’ sono e fui,

torrei le donne giovani e leggiadre:

le vecchie e laide lasserei altrui.

Sonetto con rime incrociate nelle quartine e alternate nelle terzine. Lo schema è ABBA, ABBA; CDC, DCD. La scelta delle parole-rima conferisce al testo una voluta ripetitività.

Parafrasi

Se fossi fuoco, brucerei il mondo; Se fossi vento lo scuoterei con tempeste; Se fossi acqua lo sommergerei; Se fossi Dio lo farei sprofondare; se fossi papa, allora sarei allegro, perché metterei nei guai tutti i cristiani; se fossi imperatore, sai che cosa farei? A tutti mozzerei il capo completamente. Se fossi morte, andrei da mio padre; se fossi vita fuggirei da lui: la stessa cosa farei con mia madre. Se io fossi Cecco, come sono e fui, prenderei le donne giovani e carine le vecchie e brutte le lascerei agli altri.

Analisi del testo.

Nella prima strofa Cecco immagina un’impossibile identificazione con i tre elementi della realtà naturale e con Dio. L’oggetto della sua rabbia distruttiva è il mondo, che farebbe bruciare, se fosse fuoco, che tormenterebbe con continue tempeste, se fosse vento, che sommergerebbe completamente se fosse acqua e che addirittura farebbe sprofondare nel vuoto se fosse Dio.

Nella seconda strofa dalla realtà naturale il discorso si sposta a quella umana. Elemento centrale non è qui la distruzione del mondo ma l’azione delle due massime autorità del tempo, che vengono dissacrate: se Cecco fosse papa si divertirebbe a mettere nei pasticci i cristiani, e se fosse imperatore userebbe il suo potere per fare strage a suo piacimento (con allusione a quel che per Cecco in effetti facevano papi e imperatori veri).

Nella terza strofa dalla realtà pubblica si passa a quella privata: neppure il padre e la madre di Cecco si salvano dall’immaginario sterminio: se fosse morte andrebbe da loro, se fosse vita fuggirebbe da loro. La quarta e conclusiva strofa chiude giocosamente il sonetto: a Cecco in carne ed ossa basta prendersi le donne giovani e belle, lasciando le vecchie e brutte agli altri.

Il sonetto presenta, con una struttura simmetrica, una serie di immagini, introdotte dalle ripetute anafore S’i’ fosse…. Il poeta imita in maniera caricaturale la tecnica del plazer, un genere letterario che consiste nell’elencazione di cose o situazioni piacevoli in un contesto laico e mondano. Esso si rovescia nel suo opposto, l’enueg, cioè l’elencazione di cose noiose per l’esistenza umana, essendo i desideri espressi destinati chiaramente a non essere realizzati.

Nella prima quartina ogni verso è diviso in una prima parte, che funge da premessa (protasi), in cui il poeta immagina l’identificazione con gli elementi naturali e con Dio e in una seconda parte (apodosi), la conseguenza della condizione posta nella protasi, in cui Cecco esplicita le sue intenzioni, se tale identificazione si realizzasse.

Nella seconda strofa, dove l’apodosi risulta dilatata rispetto alla protasi, il poeta fa riferimento alle massime autorità del Medioevo, Papato e Impero con accenti ironici, a sottolineare che non c’è bisogno di lui per comportamenti che di fatto sono già propri di coloro che esercitano il potere.

La violenza dissacratoria si accentua e si fa di nuovo serrata nella prima terzina, in cui Cecco colpisce le “sacre” icone del padre e della madre, che lui avvicinerebbe solo se fosse la morte (quindi che vorrebbe veder morire).

L’ultima terzina riprende, accentuandolo, il tono scherzoso e gaudente della seconda quartina. Nella realtà Cecco può essere solo se stesso, e l’unico vero desiderio, concretamente realizzabile, è quello di godere dell’amore (ben poco spirituale) di donne giovani e carine, lasciando agli altri quelle vecchie e brutte.

Comprensione e analisi

  1. Il poeta impossibili identificazioni: quali?
  2. Quali sono gli “oggetti” contro cui si rivolge la sua fantasia distruttiva?
  3. Nella strofa conclusiva Cecco passa da ipotesi irrealizzabili ad una più concreta: in che cosa consiste?
  4. Evidenzia sul testo con due colori diversi i periodi ipotetici su cui è costruita la poesia, distinguendo la pròtasi dall’apòdosi. Evidenzia poi le altre proposizioni, indicando di quale tipo sono.

[1] …mozzarei lo capo a tondo: Taglierei (mozzarei) la testa (lo capo) a tutti con un taglio netto (a tondo); secondo un’altra interpretazione, «a tondo» va riferito «a tutti»; il significato del verso sarebbe allora taglierei la testa a tutti quelli che mi stanno intorno.

Cecco Angiolieri nacque a Siena nel 1260 circa, da nobile e ricca famiglia. Partecipò nel 1281 all’assedio dei ghibellini senesi, rifugiatisi nel castello di Torri di Maremma, insieme ai suoi concittadini guelfi. Fu multato per infrazioni alla disciplina militare e incorse in diverse altre sanzioni per rissa e vagabondaggio. Intorno al 1296 fu bandito da Siena e dopo la sua morte, avvenuta nel 1313, i figli rinunciarono all’eredità paterna perché troppo gravata da debiti. Nei suoi sonetti riprende e deforma in parodia i temi e i modi della lirica stilnovistica, costruendo un ritratto di sé e della propria vita gaudente. Tra i motivi ricorrenti delle sue opere vi sono l’elogio dei piaceri della vita, le costanti difficoltà economiche, il contrasto con il padre, la passione per il gioco e l’amore sensuale per Becchina. I temi delle sue opere e la vita sregolata che condusse hanno tradizionalmente creato attorno a Cecco Angiolieri un’aura di poeta maledetto e contestatore. Ma la sua poesia è stilisticamente molto elaborata e deve molto alle convenzioni dei poeti giocosi e alla tradizione secolare che rimanda ai Carmina Burana.

 

 

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